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Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the MoveN° 101 (Suppl.), August 2006
Migrazione e itineranza da e per i Paesi a maggioranza Islamica. Come migliorare la situazione?Prospettive
S.E. Mons. Giovanni Lajolo Segretario per i Rapporti con gli Stati Segreteria di Stato Città del Vaticano
Ringrazio il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti di aver convocato questa Riunione Plenaria su un tema che tanto interessa oggi la comunità internazionale e sul quale in misura crescente le comunità di accoglienza sono chiamate a confrontarsi. 200 milioni di persone vivono oggi fuori dalle frontiere della propria patria, circa la metà delle quali è costituita da donne. Tuttavia, non vi è ancora una definizione formale accettata internazionalmente di migrante, e, come rileva lOrganizzazione Internazionale per le Migrazioni, la definizione di migrazione riveste carattere discrezionale e dipendente dalle considerazioni e dagli obiettivi politici, sociali, economici e statistici. Seguendo il criterio geografico, la migrazione è il movimento di persone (o di gruppi di persone) da una unità geografica allaltra, attraverso una frontiera amministrativa o politica, desiderose di stabilirsi in altro luogo diverso da quello di origine. Si può anche considerare emigrante una persona che lasci il suo paese per andare a vivere in via temporanea o definitiva in altro paese, mentre la qualifica di immigrato dipende dalla legislazione della nazione ricevente[1]. Diverse e complesse sono poi le tipologie delle migrazioni (migrazioni per lavoro, ricongiungimenti familiari, rifugiati, studenti allestero, ecc.). Non tratterò invece degli sfollati interni (sono 25 milioni solo coloro che sono stati costretti a sfollare a causa di conflitti o violenze), la cui situazione meriterebbe più coraggiose decisioni da parte della comunità internazionale. I. La normativa internazionale sulle migrazioni Le migrazioni sono oggetto di numerose norme internazionali. Qui potrò solo limitarmi a citare le più importanti. Il diritto di emigrare è un diritto fondamentale, affermato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dellUomo (Articoli 13 e 14). Tra gli accordi internazionali che hanno attinenza con i diritti dei migranti, ricordo le Convenzioni internazionali del 16 dicembre 1966 sui Diritti Civili e Politici (artt. 12 e 13) e sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (art. 11, che riconosce ad ogni individuo il diritto ad un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa una alimentazione, un vestiario, un alloggio adeguati...); la Convenzione dellONU sui diritti del Bambino del novembre 1989 (art. 22); la Convenzione n. 143 dellOrganizzazione Internazionale del Lavoro del giugno 1975 sulle migrazioni abusive e sulla promozione della parità di possibilità e di trattamento per i lavoratori migranti; la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del dicembre 1990, in vigore dal 1° luglio 2003. Più in particolare, la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati ed il suo Protocollo del 1967 assicurano la protezione internazionale a chi è fuggito dal proprio paese a causa di persecuzione. Da citare è pure la Convenzione riguardante lo Status degli Apolidi (1954) e la Convenzione del 1961 sulla riduzione dellapolidia. La Convenzione del 1969 dellOrganizzazione per lUnità Africana del 1969 per Governare gli Aspetti Specifici del Problema dei Rifugiati in Africa riconosce come rifugiati anche coloro che fuggono per altre cause che mettono in pericolo la loro vita, diverse dallaggressione[2]. Sono state elaborate anche dichiarazioni dei diritti delluomo di carattere islamico che hanno, però, carattere piuttosto limitativo dei diritti affermati nella Dichiarazione dei Diritti dellUomo e nelle Convenzioni internazionali: la Dichiarazione islamica universale dei diritti delluomo (Consiglio Islamico dEuropa, settembre 1981), la Dichiarazione del Cairo dei diritti delluomo nellIslam (XIX Conferenza Islamica dei Ministri degli Affari Esteri, agosto 1990), la Carta Araba dei diritti delluomo (Consiglio della Lega degli Stati Arabi, settembre 1994). II. I flussi migratori che interessano paesi a forte componente islamica. Dinamiche e disparità Si va progressivamente modificando la distinzione tra paesi di origine, di transito e di destinazione dei migranti: molti oggi rientrano in tutte e tre le categorie. Per mancanza di tempo accennerò sommariamente solo ai flussi migratori più importanti. a) Larea del Mediterraneo e del Medio Oriente. Secondo lOIM nellarea del Nord Africa e Medio Oriente vi sono circa 14 milioni di migranti, oltre a 6 milioni di rifugiati nel Medio Oriente Arabo. I paesi del Golfo continuano ad attirare migranti dallarea Mediorientale, dallAsia e, di recente, dagli Stati dellEx-Unione Sovietica. Egiziani, yemeniti e giordani si spostano verso i paesi del Golfo, specialmente Arabia Saudita, mentre gli iracheni si dirigono generalmente verso Giordania e Siria. Oltre ai 2 milioni di egiziani emigrati in altri paesi Arabi (metà in Arabia Saudita), circa 800.000 sono negli USA e in vari paesi europei, mentre in Egitto si trovano 2,7 milioni di migranti, di cui 1/3 provenienti dal Sudan. Libano e Siria ricevono lavoratori non qualificati dallAsia. La Giordania importa manodopera non specializzata dai paesi del Nord Africa, con piccoli numeri in provenienza da India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Filippine e Malaysia ed esporta lavoratori specializzati. La Turchia, che ospita immigrati in gran parte irregolari provenienti principalmente dallex blocco Sovietico, dallAsia e dal Medio Oriente, resta anche un paese di transito, principalmente da Iran, Iraq, Afghanistan. Di contro, nel 2001 si contavano 3,6 milioni di turchi emigrati, di cui 2 milioni solo in Germania. Tutto il Medio Oriente Arabo è sia luogo di partenza che luogo di accoglienza per i rifugiati, provenienti sia dallinterno che dallesterno della regione. Lo Yemen attrae alti numeri di richiedenti asilo dallAfrica Sub-Sahariana. LEgitto ospita 3milioni di rifugiati sudanesi non riconosciuti (che si aggiungono ai 2,7 milioni di migranti di cui sopra), oltre a numerosi altri rifugiati di varie nazionalità (soprattutto Somali e Palestinesi). Anche Libano e Giordania ospitano numerosi rifugiati, principalmente Palestinesi. La Giordania accoglie il più alto numero di rifugiati al mondo: oltre 5 milioni, di cui 2,4 milioni palestinesi e 300.000 iracheni. Su circa 120.000 persone trasportate irregolarmente ogni anno attraverso il Mediterraneo, il primato spetta alla Libia, da cui partono soprattutto verso Malta e la Sicilia dagli 80.000 ai 120.000 migranti irregolari, provenienti dallarea sub-sahariana (circa il 35%), da Asia e Africa Centrale e Orientale (30%) e per il resto dal sud e est del Mediterraneo. Le donne e le ragazze vittime della tratta vengono trasportate dalle zone di guerra dellAfrica Orientale verso i paesi del Golfo, mentre dal Ghana e da altri Paesi dellAfrica sub-sahariana vengono portate in Libia, in Europa e in Libano. Anche se non vi sono dati attendibili circa il traffico di minori che giungono dallAfrica, soprattutto dal Marocco, dalla Sierra Leone, dalla Somalia e dallAngola, esso interessa vari paesi dEuropa. Una forma particolare di traffico concernente il Medio Oriente arabo riguarda la vendita di bambini del Bangladesh, del Pakistan, dellIndia e del Sudan (spesso dopo essere stati rapiti) in Qatar e negli Emirati Arabi Uniti, per essere impiegati come fantini in gare di cammelli (fonti: OIM World Migration Report 2005;UNICEF 2006). Vi è poi una migrazione volontaria dallAsia del sud e dallEtiopia verso il Medio Oriente arabo, ove le condizioni di lavoro sono non di rado paragonabili a quelle della schiavitù. Secondo il Rapporto di maggio 2006 dellOrganizzazione Internazionale del Lavoro, in Medio Oriente e nellAfrica del Nord si conterebbero 260.000 lavoratori forzati. b) Asia Il Medio Oriente resta la destinazione preferita anche dai migranti dellAsia Meridionale, con recenti cambiamenti nei flussi verso paesi della stessa area e lEuropa. India e Pakistan sono le principali zone di transito dal Bangladesh e dal Nepal, e luoghi di emigrazione verso il Medio Oriente e lEuropa. Il Bangladesh esporta manodopera verso il Medio Oriente e la Malaysia, ma si ritiene che oltre un milione di bangladesi viva oggi in Europa, USA, Sud Africa e Australia. Da questo paese, come anche dal Nepal, poi, i lavoratori si spostano per lunghe stagioni di raccolti in India. Dalla Malaysia i migranti si dirigono in gran parte verso il Brunei, mentre i lavoratori dallIndonesia sono impiegati principalmente in Malaysia, Singapore, Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong, Brunei, Giappone e oltre la metà solo in Medio Oriente. LIndonesia è un punto privilegiato di transito e di traffico di clandestini (manodopera cinese, donne e bambini filippini, tailandesi o del Myanmar). LAfghanistan è stato il generatore del più grande gruppo di rifugiati della regione. Oltre 4.000.000 di afgani sono rimpatriati, ma ne restano ancora circa 3,5 milioni allestero, soprattutto in Iran e in Pakistan. Anche lIran emerge come paese di provenienza dei rifugiati che nel 2000 erano oltre 1.800.000 (fonte: OIM International Migration Report 2002) soprattutto in Europa e in Medio Oriente. Il traffico di persone in Asia rappresenta circa 1/3 del traffico totale (1 milione di persone circa), con il 60% delle vittime destinate alle grandi città ed il 40% alle altre regioni del mondo (fonte: United Nations, 2003, cit. in OIM: International Migration Report 2005). Così le donne e i bambini dal Bangladesh vengono trafficati in India e, attraverso lIndia, verso il Pakistan e il Medio Oriente per prostituzione, servizi domestici e lavoro forzato. LAsia ospita inoltre circa la metà delle persone assistite a livello mondiale dallAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. c) Europa I paesi dellEuropa Centrale e occidentale ospitano circa 39 milioni di migranti internazionali, di cui i musulmani sarebbero 7,4 milioni (Dossier statistico Immigrazione 2005 di Caritas/Migrantes). Le comunità musulmane più numerose si trovano in Germania (2.800.000) Francia (1.500.000), Italia (919.492) e Spagna (540.000), mete preferite dai migranti irregolari dal Nord Africa, dallAfrica sub-sahariana, dal Corno dAfrica e dallAsia (ibidem). Queste stime, tuttavia, sembrano attestate su criteri prudenziali. LEuropa resta una delle mete ambite dai migranti di ogni parte del mondo. Molti arrivano in modi irregolari e tante sono le persone vittime della tratta: si ritiene che le donne vittime della tratta in Europa siano circa 500.000 (di cui 300.000 provenienti o transitate attraverso i Balcani). Numerosi sono anche i minori che vengono trafficati ogni anno, per elemosinare (soprattutto da Albania e Romania), per prostituzione o pedopornografia, come corrieri della droga, per lavoro in nero (Repubbliche ex-Sovietiche, Bulgaria, Albania, Nigeria, Sierra Leone, Cina, Afghanistan e Sri Lanka). Una strada della pedofilia è purtroppo ladozione internazionale di minori, mentre preoccupa lalto numero di minori che giungono in Europa non accompagnati e che divengono facilmente preda di persone senza scrupoli (cf. Dagmar Thiel, ottobre 2001 in www.stopchildtrafficking.org della Federazione Internazionale Terre des hommes, maggio 2006). I paesi dellEx-Unione Sovietica hanno sperimentato complessi movimenti migratori negli ultimi 15 anni, con movimenti interni alla regione, che è anche zona di provenienza, di transito e ultimamente di destinazione. Gli imponenti flussi migratori provenienti dalle repubbliche ex-sovietiche sembrano ora diminuire (eccetto dalla regione del Caucaso) e dirigersi per nuove opportunità lavorative specialmente nella Federazione Russa (ove, nel 2003, circa la metà dei lavoratori immigrati proveniva dalle ex-Repubbliche sovietiche, un altro 20% dalla Cina) e nel Kazakhstan (prevalentemente migranti dallAsia Centrale), che con la Bielorussia e lUcraina sono nellarea i paesi di destinazione per i migranti per motivi economici. Oltre ad essere fonte di emigrazione irregolare, la regione continua ad essere luogo di transito per i migranti dellAsia del Sud e Sud-Est, dalla Cina e dallAfghanistan.Vi prosperano le attività di contrabbando e traffico di persone, gestite generalmente in maniera organizzata. Larea è usata principalmente come transito, ma recentemente anche come destinazione (Kazakhstan, Russia). Donne e bambini dei paesi delle repubbliche occidentali sono trafficati verso lEuropa, i Balcani e gli USA, mentre quelli dallAsia Centrale sono inviati principalmente verso gli Emirati Arabi Uniti, lArabia Saudita, la Turchia e la Corea del Sud. III. Le cause delle migrazioni a) La povertà e la disoccupazione sono le cause principali della migrazione irregolare, favorita da controlli inadeguati alle frontiere e da grande domanda di manodopera abusiva connessa con politiche restrittive dingresso. Le difficili condizioni economiche nei Paesi più poveri causano nella popolazione una speranza di vita nettamente inferiore, divari nelleducazione e nellimpiego delle persone specializzate ed hanno effetti sulla crescita demografica. La maggior parte delle persone emigra per motivi strettamente economici, per la disparità dei salari (nellAfrica subsahariana il 45,7% delle persone vive con meno di un dollaro al giorno) e per gli alti tassi di disoccupazione (il 12,2% nel Nord Africa e il 15%, nel Medio Oriente Arabo, che ha il più alto tasso di disoccupazione in assoluto, 3 volte la media mondiale [fonte: United Nations Development Program (UNDP), 2002], comparato con il 6,6% medio nelle economie industrializzate). Per quanto riguarda le migrazioni dalle aree del Maghreb (Marocco, Tunisia, Libia e Algeria) e 13 Stati del Medio Oriente Arabo, comprendenti quelle del Masreq (Egitto, Giordania, Iraq, Libano, Siria e Yemen, oltre ai Territori Palestinesi) e quelli del Gulf Cooperation Council (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) le cause che caratterizzano la migrazione dallarea possono essere in gran parte riferite allalto tasso di disoccupazione; alla crescente mancanza di posti di lavoro (gli analisti prevedono il raddoppio delle forze lavorative entro il 2020); al basso tasso di impiego presso il settore privato in rapporto ad una notevole percentuale di lavoratori impiegati presso il settore pubblico; alla crescita del settore informale e illegale. In questi paesi la migrazione è favorita anche a livello istituzionale da una dipendenza strutturale dalle rimesse dallestero e (sia da parte dei paesi daccoglienza che di quelli di provenienza) da una dipendenza strutturale dal lavoro dei migranti. Dal punto di vista dello sviluppo (fonte UNDP 2004: Human Development Index) i paesi della regione a sud del Mediterraneo sono molto diversi: se Bahrain, Kuwait, Qatar e EAU sono tra i paesi più sviluppati, ed altri (Libia, Tunisia, Giordania, Libano, Oman, Turchia, Algeria, Egitto, Marocco), sono a livello medio, la Siria (con lAlbania) è in posizione più arretrata e lo Yemen è al livello inferiore. Se lArabia Saudita conta l8% di disoccupati, la percentuale raggiunge il 28% in Marocco e in Algeria. Le cause di ciò sono le più varie, ma, fra queste, tra le ragioni economiche pesa la dicotomia tra pubblico e privato, scoraggiato da una pesante normativa. Nel 2003 nei paesi del Golfo la percentuale dei lavoratori nel settore pubblico era molto alta e passava dal 22% dellArabia Saudita al 94% del Kuwait. Non sembra, invece, che incida in modo significativo sulla determinazione di emigrare il desiderio di acquisire maggiori specializzazioni culturali. In genere, la popolazione immigrata entra nei paesi di destinazione con qualifiche corrispondenti ai nativi in paesi ove questi ultimi hanno livelli di educazione medi (Grecia, Italia, Spagna, Irlanda), mentre in altri paesi i nativi sono mediamente più qualificati degli immigrati. b) Altre cause sono le tensioni politiche ed etniche, ma anche i conflitti, le violazioni dei diritti umani, le violenze sociali ed anche domestiche. I conflitti violenti sono una delle principali cause di migrazione nella regione mediorientale. Nel 2003 essa ospitava circa 6 milioni di rifugiati, inclusi 4 milioni di Palestinesi, la più numerosa popolazione rifugiata nel mondo. c) Anche la pressione demografica, tuttora alta, collegata con le insufficienti condizioni economiche è un forte incentivo alla migrazione e si prevede che ciò crescerà nei prossimi anni. Sebbene in Algeria, Marocco e Tunisia si sia avuto un calo di fertilità negli ultimi 25 anni equivalente in percentuale a quello della Francia, negli ultimi 2 secoli, e la Tunisia abbia raggiunto lo stesso livello di fertilità dei paesi occidentali, non si prevede di notarne gli effetti sul mercato del lavoro, fino al 2010. Per converso, in Europa, come in altre regioni del mondo, il declino demografico legato allaumento dellaspettativa di vita costituisce un fattore determinante per attirare persone provenienti da altre regioni, rispetto a qualunque altra regione. Tuttavia, nei paesi europei si nota che lintegrazione avviene più lentamente che negli USA o in Canada. IV. Aspetti che caratterizzano i flussi migratori Come nota la Commissione Mondiale per le Migrazioni Internazionali, (Rapporto, ottobre 2005) la mobilità umana, oggi in espansione, è anche estremamente complessa nelle sue dinamiche, nella composizione dei gruppi, nelle categorie dei migranti individuali, ecc. Il diritto a migrare citato dagli strumenti internazionali mira prevalentemente (ma non esclusivamente) a soddisfare alcuni diritti di carattere economico e sociale che comportano un impegno finanziario da parte dei paesi daccoglienza e si riflettono, daltra parte, sulle economie dei paesi di origine. Come ho detto, la maggior parte dei migranti si sposta per motivi economici, per sfuggire a situazioni di povertà. Tuttavia, lesodo incide al contempo non poco sul persistere delle situazioni di povertà nei loro paesi, per lo spostamento delle migliori forze lavorative, giovani e motivate. a) Le rimesse dallestero regolari costituiscono globalmente il triplo delle somme trasferite nei paesi in via di sviluppo come aiuti ufficiali allo sviluppo. Sono anche una importante risorsa nella critica situazione economica di tutti i paesi dellarea del Nord Africa e Medio Oriente, di cui rappresentano una significativa percentuale rispetto al Prodotto Interno Lordo (nel 2001, il 23% del P.I.L. della Giordania ed il 9,7% del Marocco). Il 90% del totale delle rimesse dallestero proviene dai paesi sviluppati (28% da USA, 15% da Arabia Saudita, seguono Germania, Belgio e Svizzera). Per quanto riguarda in particolare i paesi asiatici, le rimesse integrano in maniera notevole il prodotto interno lordo, benché qui non contribuiscano in maniera significativa ad alzare il livello dello sviluppo del paese ricevente (per il loro carattere di aiuto familiare, la scarsa dimestichezza dei migranti con gli strumenti finanziari, ecc.). Non si deve sottovalutare, a questo proposito, limportanza economica di questo grande flusso di capitali. Da più parti si invoca la riduzione delle tariffe per il trasferimento dei fondi, la trasparenza delle transazioni e dei trasferimenti, come la massimizzazione dellimpatto delle rimesse sullo sviluppo dei paesi riceventi. b) Benché le rimesse costituiscano un capitolo importante della economia dei paesi in via di sviluppo, la forte emigrazione da queste aree di manodopera giovane e talora già formata, cui si aggiunge quella di scienziati specializzati, penalizza pesantemente lo sviluppo dei paesi dorigine. Mancano dati attendibili sul brain drain (la fuga di cervelli) di numerosi paesi. Ad esempio, lalto livello di specializzazione è un elemento che caratterizza numerosi migranti dal Maghreb e dagli Stati Arabi. Tuttavia, sembra che non sia la paga il primo incentivo ad emigrare, quanto la difficoltà di carriera, le condizioni sociali, linsoddisfazione del lavoro. La migrazione porta però le imprese che investono nellarea a coprire, a loro volta, con lavoratori esterni la carenza di personale qualificato locale. I salari di esperti stranieri e della manodopera qualificata straniera in questi paesi raggiungono l80-90% degli aiuti allo sviluppo e degli investimenti. Vi sono studi e tentativi da parte dellOrganizzazione Internazionale delle Migrazioni, dellUNDP e della Banca Mondiale per affrontare il problema e tentare di risolverlo o, almeno, di gestirlo, eventualmente con una brain circulation, considerandone sia i legami con la situazione economica e di rispetto dei diritti umani dei paesi di provenienza, sia la possibilità che esso si trasformi in un brain gain, tanto per i paesi daccoglienza, che per quelli di origine, al momento del rimpatrio di questi migranti specializzati. È importante, a questo riguardo, agevolare la circolazione della manodopera qualificata su base temporanea, stimolare, tramite loro, il trasferimento di tecnologie e di capitale verso la madrepatria e favorire il crescente interesse dei paesi industrializzati ad affidare programmi e servizi alla manodopera altamente qualificata in paesi in via di sviluppo. Particolare preoccupazione desta nella comunità internazionale la forte emorragia dai paesi in via di sviluppo del personale sanitario. c) Per quanto concerne il mercato del lavoro, negli anni più recenti, nei paesi occidentali, il settore privato sta esercitando una forte pressione sugli Stati affinché adottino misure meno restrittive in tema di spostamenti di manodopera (qualificata o non qualificata, e, comunque, considerata flessibile e a basso costo) da un paese allaltro, cui si unisce la richiesta di liberalizzare decisamente il trasferimento di beni e di servizi. Negoziati a questo riguardo sono in corso presso lOrganizzazione Mondiale del Commercio. I Governi, daltra parte, si confrontano con i timori di una parte della società che lentrata di stranieri possa avere conseguenze negative sulla sicurezza e la stabilità dello Stato e diminuire le opportunità di lavoro per i cittadini, anche se limpiego lavorativo di lavoratori migranti sembra avere solo limitate ricadute negative sulloccupazione dei lavoratori autoctoni. Di una gestione accorta e trasparente delle migrazioni potrebbero beneficiare sia i paesi di origine che quelli di destinazione. La comunità internazionale si sta interrogando con crescente frequenza e determinazione sulle misure che potrebbero assicurare i migliori risultati, dal punto di vista dei diritti dei migranti, dei loro spostamenti, delloccupazione e dei salari, della salute, dellintegrazione e degli effetti pensionistici, ecc.. V. Conseguenze sociali, culturali, religiose, politiche a) I migranti, generalmente giovani e motivati, e specialmente quelli che si trovano in posizione regolare, portano un indubbio contributo alle economie dei paesi occidentali, sia per lassunzione di impegni che i nativi non desiderano o non possono più assumersi, sia per il ringiovanimento della compagine sociale, con la conseguente maggiore capacità di iniziativa e creatività nellattività lavorativa, e per lassunzione di obblighi fiscali e contributivi che alleviano il fardello delle future generazioni. Il tempo non consente di approfondire questo tema, peraltro molto dibattuto in varie nazioni europee, timorose di aprire il proprio territorio e, tuttavia, in cronica necessità di manodopera giovane, flessibile e a buon mercato, il cui impiego lavorativo sembra avere, daltra parte, solo limitate ricadute negative sulloccupazione dei lavoratori autoctoni. b) Gli immigrati sono spesso raggiunti dalla famiglia e costituiscono anche un fattore di stabilità demografica per le società occidentali in rapido invecchiamento e in calo demografico. Si stima che oggi la crescita demografica dei paesi sviluppati, là dove avviene, sia dovuta per i tre quarti agli immigrati. Secondo la Commissione Mondiale per le Migrazioni Internazionali dal 1995 al 2000 la popolazione europea si sarebbe ridotta del 4,4% senza limmigrazione, che dal 1990 al 2000 ha contribuito per l89% allaumento della popolazione europea. Per la stessa fonte, anche per la popolazione degli Stati Uniti dAmerica laumento del tasso demografico in misura del 75% dal 1995 al 2000 è dovuto allimmigrazione. A fronte dei proclami lanciati da alcuni circa lalto tasso di fertilità degli immigrati musulmani nei paesi occidentali, tale che i credenti nellIslam raggiungerebbero nel giro di pochi anni il numero dei cattolici (cf. studi dellIstituto centrale di archivi islamici di Soest, Germania), altri (Prof. Tito Boeri, Università Bocconi, Milano) obiettano che il tasso di fertilità, capace allinizio di alzare i tassi del paese ricevente, si riallinea alla misura precedente entro due generazioni. c) I benefici economici apportati alle società di accoglienza, tuttavia, come pure i problemi di vario genere, debbono essere studiati anche per il profondo impatto sociale di numerose comunità immigrate, soprattutto se non integrate pienamente. La composizione della società che le riceve si troverà in pochi anni a misurarsi con una realtà che, nel migliore dei casi sarà multiculturale, o altrimenti, divisa. Lesperienza insegna poi che i problemi di integrazione non si limitano alla prima generazione, ma chiedono notevole impegno anche per quelle seguenti, pena la crescita di una latente ostilità, sia nella società di accoglienza che fra gli immigrati, che può sfociare da una parte nellemarginazione o nella xenofobia e, dallaltra, nella chiusura e nel rifiuto di ogni integrazione. Più in generale, limpatto sociale di importanti contingenti di migranti interessa questioni di sviluppo e di lavoro, come pure aspetti ambientali, sanitari, educativi, culturali, politici, religiosi. Ciò vale in generale per tutti i migranti, ma sembra oggi attenere in maniera particolare alla numerosa presenza di persone di fede musulmana nelle società occidentali, queste, finora almeno in Europa culturalmente omogenee. d) È interessante notare che la religione costituisce per varie persone provenienti dai paesi a maggioranza islamica un elemento di profonda identificazione, anche se si riscontrano, anche in queste comunità, vari casi di riduzione della pratica religiosa e di allontanamento dalla convinzione religiosa. Secondo varie fonti i membri delle comunità islamiche nei maggiori paesi europei che frequentano le moschee sono circa il 10%.[3] È stato detto che la migrazione islamica devessere studiata attraverso la lente transnazionale, nel senso che questi migranti continuano a giocare un ruolo nel proprio paese, a gestirvi interessi economici, familiari, politici, sociali, ecc., pur vivendo nel paese di emigrazione. LIslam svolge un ruolo importante relativamente allintegrazione (o alla mancata integrazione) dei migranti di religione musulmana nei nuovi ambiti, anche se ciò varia, in dipendenza dalle politiche dei diversi Stati. Alcuni governi dei loro paesi di origine mantengono un coinvolgimento nella vita religiosa degli emigrati, anche attraverso le Ambasciate, favorendo il trapianto delle istituzioni religiose nei paesi di accoglienza e promuovendo forti legami tra gli emigrati e la loro terra. È risaputo che le associazioni religiose islamiche hanno un forte ruolo aggregativo e ideologico sulle comunità della diaspora musulmana. Inoltre, le reti create dalla comune appartenenza religiosa regolano importanti meccanismi sociali formali e informali di assistenza legale, sanitaria, laiuto allimpiego. e) Oggi uomini e donne sono chiamati a vivere in realtà caratterizzate da culture e religioni diverse, con la possibilità di fratture ove questa differenza è vissuta da una parte o da entrambe le parti con diffidenza, pregiudizi e reciproche paure. Nelle società oggi definite post secolari (in cui la religione ha ripreso un certo ruolo, anche se spesso non in forme istituzionali), governi e legislatori si interrogano sulladozione o sulla revisione delle politiche, strategie e collaborazioni per rispondere alle nuove realtà sociali. Ci si misura con la sensibilizzazione dellopinione pubblica alla accettazione delle diversità e delle pratiche religiose (che comporta, fra laltro, il riconoscimento delle feste religiose, del ruolo di scuole confessionali o della possibilità di indossare vesti o portare oggetti aventi carattere religioso), sui modi di promuovere la tolleranza e la necessità di evitare lesclusione, la xenofobia, come da parte degli immigrati stessi il rigetto dellintegrazione e, al contempo, laccettazione di ciò che è percepito come appoggio e accoglienza, da qualunque parte provenga, offrendo così ansa al proselitismo di gruppi fondamentalisti. La tendenza attuale a relegare le pratiche religiose nella sfera privata, nella convinzione che ciò sia richiesto dalla struttura di una società multiculturale, devessere ripensato (certo con la dovuta prudenza), tra laltro, anche per il pericolo di costituire ghetti che potrebbero creare nuovi problemi dintegrazione. Non si può disconoscere il ruolo dei mezzi di comunicazione nellindirizzare lopinione pubblica verso laccettazione (o il rifiuto) di questi immigrati. Essi creano sovente scenari minacciosi, ma costituiscono anche importanti fori di dialogo e di reciproca conoscenza. VI. La libertà religiosa La Santa Sede ha più volte ribadito la necessità che ciascun migrante, si trovi esso in condizione di ingresso legale o illegale nel paese, veda riconosciuti pienamente la propria dignità ed i propri diritti, sia quelli naturali, sia quelli sanciti dalla normativa internazionale. Ciò significa, tra laltro, il riconoscimento del diritto alla libertà religiosa, che può esprimersi oltre che nella sfera individuale o privata, anche mediante atti collettivi, personali o comunitari, aventi una visibilità pubblica. La pratica religiosa, sul piano personale, comprende la libertà di aderire o non aderire ad una fede ed alla corrispondente comunità e di cambiare la propria religione senza alcuna costrizione nellambito civile; di compiere individualmente e collettivamente atti di culto in luoghi di culto, secondo il bisogno; la libertà nellambito civile da ogni costrizione, sul piano personale o sociale, a compiere atti contrari alla fede finora tenuta, o di aderire a gruppi che abbiano principi contrari alla propria convinzione religiosa e di non subire discriminazioni sul piano civile per tale motivo; di beneficiare dellassistenza religiosa anche allestero, o in luoghi di cura, nelle caserme militari, nei luoghi di detenzione, nei campi profughi, ecc.; la libertà dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni e la possibilità di far loro frequentare linsegnamento religioso. Anche quando uno Stato accorda ad una religione uno status giuridico particolare, esso è tenuto a rispettare effettivamente il diritto alla libertà di coscienza di tutti: vale a dire dei cittadini, come anche degli stranieri che si trovano sul suo territorio. Da parte dei migranti, il primo passo verso la società che li accoglie dovrà essere quello del rispetto della legislazione e dei valori su cui tale società fonda le proprie radici, inclusi i valori religiosi. In mancanza di ciò lintegrazione sarà di fatto vana pretesa, priva di fondamento. Se il fattore religioso era considerato in passato marginale negli studi sulle migrazioni, oggi cresce linteresse per le questioni connesse con lappartenenza religiosa degli immigrati. Tuttavia, mancano dati attendibili su tale appartenenza e vi sono discordanze circa leffettiva appartenenza religiosa di interi gruppi di migranti. Per quanto riguarda i paesi di religione islamica, sappiamo che abbiamo di fronte non un interlocutore omogeneo, ma un Islam che ha volti diversi, che occorre tenere in considerazione in ogni contesto. Si può notare recentemente, tuttavia, da parte dei paesi a maggioranza islamica, una tendenza generale a promuovere anche allestero una condotta conforme a precetti islamici in forma sempre più radicale e ad affermare una maggiore presenza pubblica di tale forma di condotta. Questo fenomeno che sfocia, talora, in fanatismo religioso con forti pressioni sociali ed istituzionali sulle minoranze di fede diversa, è dovuto in parte ai gruppi salafita e wahabita che si espandono dallArabia Saudita. In ambito sciita, ha avuto un grande influsso la rivoluzione dellAyatollah Komeini e la costituzione della Repubblica islamica dIran. Fino a qualche decennio fa, lAsia, ove vive la maggior parte dei seguaci di Maometto, non presentava particolari sfide e la convivenza tra musulmani e seguaci di religioni diverse si svolgeva più o meno pacificamente. Negli ultimi anni si assiste alla crescita di gruppi estremisti e perfino terroristi, con fenomeni crescenti di violenze contro le minoranze. Vi sono poi precise strategie che favoriscono la forte espansione dellIslam nel continente africano, come anche sebbene in misura minore in Europa. In alcuni paesi a maggioranza islamica, specie in Asia, le prime vittime delle persecuzioni per motivi religiosi sono gli adepti di un Islam considerato non ortodosso. La già segnalata crescente radicalizzazione preoccupa però, in particolare, a motivo dei casi di cristiani ingiustamente sottoposti ai tribunali islamici a motivo della loro fede. Se da più parti si invoca almeno la reciprocità del rispetto e delle concessioni (libertà di culto, costruzione di luoghi di culto,...), tuttavia questo concetto, ormai entrato nella regolamentazione dei rapporti (per esempio in materia fiscale) tra numerosi Stati di vari continenti, sembra per ora estraneo in materia religiosa a gran parte dei paesi musulmani, che invocano per i loro cittadini allestero la pienezza dei diritti che non riconoscono, invece, ai migranti di altre fedi sul proprio territorio. La grande varietà dei paesi a forte componente islamica rende sempre più importante il ruolo particolare delle grandi Organizzazioni internazionali islamiche nella determinazione delle politiche e delle strategie concertate. Cito solo le più importanti:
VII. La Chiesa Cattolica Non tratterò qui il gran numero di iniziative condotte dalla Chiesa Cattolica per laccoglienza dei migranti, anche di fede islamica: il Dicastero conosce meglio di me la situazione di queste attività, la buona volontà, i risultati e le difficoltà che le organizzazioni cattoliche sono chiamate quotidianamente ad affrontare nellaccogliere, come il buon samaritano, queste persone, senza chiedere nulla in cambio, ma attendendo la ricompensa solo dal Signore. Citerò solo limportanza delle strutture degli enti religiosi esistenti nei paesi che ricevono i migranti (nidi dinfanzia, scuole, case daccoglienza, ospedali, ecc.). Esse costituiscono un valido supporto per laccoglienza, lassistenza e lintegrazione dei migranti nella nuova realtà sociale, nel rispetto dellidentità religiosa e culturale, senza alcun intento di proselitismo. Sono inoltre importanti e da valorizzare, seguendoli con la giusta attenzione, i tentativi condotti in vari paesi dalle comunità di istituti religiosi e da aggregazioni laicali, per il dialogo e la formazione alla reciproca tolleranza tra chi professa la religione della maggioranza e gli appartenenti alle minoranze, costituite frequentemente da immigrati che seguono religioni diverse. VIII. Come migliorare la situazione? Prospettive Ciò di cui, invece, dovrei ora parlare, sono gli atteggiamenti da prendere, le misure che possiamo adottare nel nostro approccio alle persone di fede islamica, tenendo presente che queste questioni avranno importanza crescente negli anni a venire. a) In linea di principio, occorre dire che di fronte allIslam la Chiesa è chiamata a vivere la propria identità fino in fondo, non arretrare e prendere posizioni chiare e coraggiose per affermare lidentità cristiana. Sappiamo bene che lIslam radicale approfitta di ogni segno che esso interpreta come di debolezza.
b) Ciò non esime ed anzi spinge a prestare attenzione alle iniziative di dialogo in atto, anche in ambito internazionale a livello delle Nazioni Unite o di singole organizzazioni o paesi, anche nellambito del Mediterraneo, luogo privilegiato dincontro tra le due sponde (cito a questo riguardo il Processo di Barcellona che include vari aspetti di questo dialogo). È evidente che le iniziative di dialogo su temi religiosi non spettano agli Stati, ma agli esponenti religiosi, anche se esse possono essere facilitate dai responsabili politici. c) Da un punto di vista strettamente politico, possiamo dire che un problema di fondo che emerge nel trattare con i paesi a maggioranza islamica è la mancanza di una separazione tra religione e Stato, tra ambito religioso e ambito politico. Ciò, come ben sappiamo, ha numerose ricadute sullo status giuridico e sulla libertà religiosa delle persone di altre fedi siano esse autoctone o immigrate in quei paesi. Occorre contribuire a far maturare lidea della necessità di distinguere i due ambiti, promuovere la reciproca autonomia, pur nella collaborazione delle diverse sfere (che possono coesistere senza contraddirsi), ed il dialogo tra le autorità religiose e le autorità politiche, nel rispetto della rispettiva competenza e reciproca indipendenza, promuovendo tale impostazione nellambito della diplomazia bilaterale e multilaterale. In questo ambito la Santa Sede può offrire ed offre il suo contributo nei diversi fori internazionali, sviluppando in merito una elaborazione dottrinale. È importante che i paesi occidentali creino aree di scambio con i paesi a maggioranza islamica, su tutti i temi che interessano il bene comune internazionale. Si potrà partire dai temi della sicurezza e della cooperazione, che coinvolgono grandi masse di migranti. Per inciso, con riferimento agli aspetti economici e inerenti al mercato del lavoro, ricordo che la Santa Sede ha appoggiato i negoziati in corso presso lOrganizzazione Mondiale del Commercio (WTO) riguardanti i movimenti di persone qualificate o semi-qualificate (Mode 4), ritenendo che la facilitazione della migrazione temporanea per motivi di lavoro potrà offrire ai paesi in via di sviluppo lopportunità di sfruttare alcuni dei loro vantaggi: stipendi limitati, collegati, in molti casi, ad alte qualifiche. d) Un tema particolarmente delicato è il rispetto delle minoranze e dei diritti umani, particolarmente della libertà religiosa che include, come ho già detto, anche la libertà di cambiare senza costrizioni la propria religione e di abbracciarne unaltra. Sappiamo che, anche in ambito musulmano, hanno buona eco le dichiarazioni e gli interventi del Papa a questo proposito. La comunità internazionale dovrebbe riesaminare politiche e strategie che hanno ripercussioni sulla libertà religiosa e sugli altri diritti umani, verificando, inoltre, che non si abusi del partenariato delle organizzazioni non governative con le istituzioni internazionali a carattere umanitario e di assistenza ai migranti e ai rifugiati, per scopi di proselitismo religioso.[4] La Santa Sede non cesserà di far udire la propria voce presso le Organizzazioni e nelle Conferenze internazionali, per promuovere il rispetto dei diritti umani dei migranti, il riconoscimento di una situazione giuridica adeguata alla dignità di ogni persona. e) Continuerà, inoltre, a dichiarare la propria ferma opposizione ad ogni tentativo di sfruttare la religione per giustificare il terrorismo e la violenza, che ancor oggi costringe alla fuga dal proprio paese un gran numero di persone. f) Un problema delicato per la Chiesa è costituito dalla protezione dei cristiani in paesi a maggioranza islamica, che sta inducendo migliaia di cristiani a lasciare la loro patria ove non sono più adeguatamente protetti nei loro diritti fondamentali. È particolarmente dolorosa la situazione dei cristiani in Terra Santa; ma anche in Turchia e negli altri paesi del Medio Oriente la loro presenza si è ridotta considerevolmente. Molti dei cristiani che vi si trovano sono stranieri soggiornanti in via temporanea. È triste constatare oggi anche lesodo dei cristiani dallIraq, ove la presenza cristiana è minoritaria ma ben radicata. È impossibile citare in proposito dati precisi, atteso che in quei paesi (compreso Israele) non vi sono censimenti, tuttavia, comparando i dati degli Annuari Statistici della Chiesa con altri delle Nazioni Unite, del Dipartimento di Stato americano e quelli riferiti dalle Nunziature Apostoliche, risulta che in Iran la popolazione di fede cattolica costituiva lo 0,1% del totale della popolazione nel 1973, mentre nel 2005 essa si è ridotta allo 0,01%; in Iraq tale presenza è diminuita dei 2/3: dal 2,6% della popolazione nel 1973, essa è passata all1% nel 2005; sempre nel 1973, in Siria i cattolici costituivano il 2,8% della popolazione, nel 2005 essi sono scesi all1,9%; nel 1973, in Israele-Palestina i cattolici erano l1,9% della popolazione, mentre nel 2003 tale presenza risultava dimezzata, ossia l1% della popolazione. Concomitante a tale diminuzione, è la crescita in questi paesi del numero dei matrimoni misti, in cui il coniuge cattolico è particolarmente indifeso a motivo dei regimi giuridici ispirati allislam. Occorre tuttavia continuare gli sforzi a tutti i livelli e non stancarsi di chiedere, intensificando il dialogo in loco, che vengano prese in esame le misure legislative che possano difendere i cristiani (molti dei quali sono deboli e indifesi a doppio titolo, appartenendo spesso alle classi più povere ed emarginate). La Santa Sede, da parte sua, cerca tramite i Rappresentanti Pontifici di favorire il dialogo con le autorità dei paesi interessati, a sostegno dei cristiani, stipulando, ove possibile, Accordi su specifiche e limitate materie e chiedendo il rispetto degli strumenti internazionali sui diritti umani, ai quali hanno aderito anche alcuni paesi a maggioranza islamica. In questi paesi sarà anche opportuno appoggiare il rafforzamento della società e del diritto civile, lelevazione culturale ed in particolare la formazione alle scienze umanistiche e storiche, il miglioramento della condizione delle donne. Sarà importante identificare gli interlocutori qualificati, con i quali affermare i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace, la sacralità della vita e, in generale, il servizio ai valori morali fondamentali, la difesa della dignità della persona e dei diritti che da essa derivano (cf. Discorso di S.S. Benedetto XVI alle Comunità musulmane in Germania, Colonia, 20 agosto 2005). g) Per quanto riguarda la presenza dei migranti musulmani nei paesi a maggioranza cristiana, come si è detto, occorre sottolineare limportanza dellintegrazione. Preliminarmente ed in via generale, vorrei osservare che la Chiesa, in conformità alla natura cattolica della sua missione ed alla sua scelta preferenziale per i poveri, è in favore dellaffermazione del diritto ad emigrare e alla tutela dei diritti dei migranti. Ciò non toglie che sia grave compito dei politici di regolare la consistenza e la forma dei flussi migratori, così che gli immigrati possano sentirsi accolti umanamente con dignità e la popolazione del paese che li riceve non sia posta in condizioni oggettivamente favorevoli al rigetto, con conseguenze nefaste per gli immigrati, ma non meno per la cultura umana della popolazione ospitante e per i rapporti tra i popoli. Ciò premesso, in ogni caso i cristiani e gli stessi Pastori sono sfidati a nuovi impegni di solidarietà e di condivisione, che sono legati alla necessità di approfondire la conoscenza delle culture di coloro che si aggiungono alla loro comunità sociale, ma anche, inscindibilmente, di dare testimonianza dei propri valori, in vista del rispettoso annuncio della propria fede. Molte volte, ciò che colpisce questi immigrati è il sentimento di trovarsi allinterno di società che hanno perso, con le proprie radici religiose, ogni riferimento etico. Vi sono poi molti di questi immigrati che, pur provenendo da paesi a maggioranza islamica, non hanno alcuna pratica religiosa. Tutti dovrebbero trovare persone consapevoli dellamore di Dio e capaci di comunicarlo ai fratelli, senza timori o reticenze. Coloro che vogliono convertirsi alla fede cattolica dovranno essere seguiti e assistiti, giacché contro di loro possono essere esercitate gravi pressioni (non escluse minacce di morte) dalle famiglie o persino dai servizi segreti o da funzionari delle Ambasciate dei loro paesi di provenienza. Essi dovranno essere sufficientemente forti nella loro fede, anche per affrontare limpatto che su di essa può avere leventuale ritorno nella loro patria, o la rinuncia ad un tale ritorno. Sembra opportuno, quindi, che nelle Conferenze Episcopali dei paesi interessati da questa immigrazione vi sia almeno qualche Presule incaricato di seguire con attenzione ed attivo interessamento la presenza dellIslam e dei suoi fedeli. Analogamente, è utile la formazione di gruppi di laici specializzati su questo tema, che potrebbero aiutare i Vescovi ed i sacerdoti con opportune iniziative di dialogo e di incontro, oltre che di confronto. h) I mezzi di comunicazione sociale della Chiesa cattolica potranno dare un importante contributo per formare i cristiani in questo campo e per diffondere la conoscenza della nostra fede anche tra i musulmani, mediante programmi radiofonici recepibili in paesi confinanti, siti Internet, programmi trasmessi via satellite. i) Sarà infine di grande importanza la collaborazione con i Dicasteri della Curia Romana, con le Conferenze Episcopali e le Chiese locali maggiormente interessati allargomento, nonché con le altre Chiese e confessioni cristiane, per esaminare levoluzione della situazione, scambiare punti di vista e lanciare opportune iniziative. Il Santo Padre, nellincontro con le Comunità musulmane a Colonia, il 20 agosto 2005, ha affermato che Il dialogo interreligioso e interculturale tra i cristiani e i musulmani non può essere ridotto ad un extra opzionale. Esso è una vitale necessità, da cui dipende in larga misura il nostro futuro. Mettiamo mano, quindi, a questo lavoro, con prudenza e attenzione, ma anche con libertà di spirito e speranza, certi che Colui che guida i destini della storia chiede anche il nostro impegno ed il nostro amore per raggiungere il grande mondo dei credenti musulmani ed arricchirlo del fermento evangelico. È un nostro dovere e, non dimentichiamolo, parimenti un loro diritto.
[1]Cf. Organizzazione Mondiale per le Migrazioni -
World Migration 2003.
[2]"...ogni persona che, a causa di aggressione esterna, occupazione, dominazione straniera, o eventi che turbino seriamente lordine pubblico in tutto o parte del suo paese dorigine o di nazionalità, è costretto a lasciare il luogo di sua residenza abituale per cercare rifugio in unaltro posto fuori del suo paese dorigine o di nazionalità".
[3]O addirittura il 5% (Cf. Farian Sabahi
Islam: identità inquieta dellEuropa ed. Il Saggiatore). Secondo lUniversità di Padova, il 49% dei musulmani in Italia sarebbero osservanti, a fronte di un 23% di secolarizzati.
[4]Ci si dovrebbe interrogare sulla proibizione del proselitismo, parola di cui occorre chiarire il significato, giacché dal suo concetto dovrebbe esserne esclusa ogni libera e non polemica esposizione della propria fede.
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