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Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the Move N° 102, December 2006 IL MONDO ENTRA A VERONA* Ernesto DIACO Capita di tutto al convegno della Chiesa italiana. Anche di sedersi accanto a un prete dagli occhi a mandorla o ad una colf filippina. Pure lei, per venire a Verona, ha dovuto chiedere una settimana di ferie. Nessuna meraviglia, però. Sono una trentina gli immigrati che parteciparono ai lavori, in rappresentanza delle diverse comunità nazionali diffuse lungo tutto lo Stivale. Non ospiti, si faccia bene attenzione, ma delegati a pieno titolo. Se il loro passaporto è differente, la fede è la stessa, come il motivo per cui sono qui: offrire un contributo di esperienza e di idee al grande laboratorio in cui si disegna il futuro ecclesiale del nostro Paese. Una terra che adesso è anche la loro. Senegal, Brasile, Corea del Sud, Nicaragua. È lungo lelenco delle provenienze. Ci sono studenti e professionisti, badanti e operai. Sono pezzetti di mondo che fanno più vivo il tessuto delle nostre parrocchie, e talvolta chiudono anche qualche buco. La Chiesa italiana ha il volto che vediamo ogni giorno sul tram, al supermercato, a scuola. Ha i colori e i profumi dei cinque continenti. Non potrebbe essere altrimenti, per una comunità che da duemila anni legge nelle proprie Scritture: «Non cè più né giudeo, né greco». Davanti al Vangelo, si sbriciolano anche gli ultimi muri: quelli innalzati dalla paura del diverso e del nuovo. È un bel segno per unassemblea che ha fra i suoi obiettivi quello di ridare speranza alla società italiana, di sciogliere i nodi che la tengono aggrovigliata su se stessa, incapace di investire nel futuro. Uniniezione di fiducia e di fantasia, ecco ciò che la Chiesa può legittimamente aspettarsi da questi suoi figli approdati sui lidi nostrani, giunti fra noi proprio rincorrendo le loro speranze. La via italiana alla testimonianza evangelica nel villaggio globale non può che scaturire da questo mescolarsi di dialetti attorno allunica Parola. Poco importa se laccento cade su una sillaba diversa o se alcuni vocaboli escono più difficili, magari un po storpiati. Nei gruppi di lavoro del Convegno, gli immigrati porteranno lanelito delle loro terre dorigine, insieme al vissuto non raramente tinti di martirio delle Chiese che li hanno visto partire. Entrambi interessano ai lavori del convegno. Un incontro che vede al centro la risurrezione di Gesù non può avere orizzonti ristretti. Il mondo entra a Verona attraverso le loro vicende: storie di fatica non meno di accoglienza, di precarietà come di amicizia. Altra preziosa finestra sul villaggio globale in cerca di speranza sono i venti delegati venuti a rappresentare gli italiani che risiedono allestero. E che, spesso, insieme al marchio del Belpaese, hanno esportato oltre confine anche tradizioni intrise di vangelo. È unaltra prima volta per un convegno ecclesiale. Queste presenze, infatti, non sono fortunate coincidenza, ma sono state desiderate e programmate. Un segno ulteriore, se ce ne fosse bisogno, di come questi eventi sono luoghi aperti, in cui si guarda lontano e si leggono anche le trasformazioni sociali con gli occhi di unaltra economia. Quella cioè di una salvezza offerta a tutti; un dono che raggiunge anche gli angoli più dimenticati della coscienza e dellatlante. Daltronde, questa è la Chiesa. E il Convegno di Verona ne è un piccolo eloquente concentrato. Unesperienza che, una volta gustata in tutti i suoi sapori, entrerà in modo stabile nel menu delle nostre comunità. Per stuzzicare il palato di quanti e sono molti hanno fame di una speranza vera.
* Da
Avvenire, 18 ottobre 2006.
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