BOLLA
DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XIV
OFFICII NOSTRI
Il Vescovo Benedetto, Servo dei Servi di Dio.
A perpetua memoria.
I doveri del nostro Ufficio non solo Ci impongono l’impegno di rispettare scrupolosamente e di dar corso alle Leggi dei Sacri Canoni e alle Costituzioni dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, nella interpretazione delle quali nessun dubbio o ambiguità è dato riscontrare; ma anche Ci richiedono di provvedere ad amputare e rimuovere, pubblicando opportune dichiarazioni, una nascente messe di dubbi circa alcune di quelle leggi.
1. E invero il Nostro Predecessore Papa Gregorio XIV di felice memoria, avendo presente la provvida sanzione del Diritto Canonico, per la quale appunto, sotto il titolo “De homicidio volontario, vel casuali” cap. I, era stato rinnovato l’antico precetto della Legge dettata da Dio nell’Esodo: “Se alcuno intenzionalmente e proditoriamente avrà ucciso il suo prossimo, lo trascinerai via dal mio Altare e lo manderai a morte”, attraverso la Sua Costituzione, edita nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1591, il 24 maggio, che comincia: “Cum alias”, decretò che non si doveva affatto accordare l’immunità Ecclesiastica a coloro che avessero ucciso in modo proditorio il loro prossimo e che si fossero poi rifugiati nelle Chiese e nei luoghi sacri. Inoltre anche il Papa Benedetto XIII Nostro Predecessore, di venerata memoria, che ha accresciuto il Nostro prestigio, ha pubblicato, nell’anno della Incarnazione del Signore 1725, il giorno 8 giugno, una Costituzione che comincia con “Ex quo divina” che escluse e respinse dal beneficio dell’immunità Ecclesiastica non solo coloro che avessero compiuto in modo proditorio (come detto sopra) un omicidio, ma anche gli uccisori del loro prossimo con premeditata decisione. Infine il recente Predecessore Nostro Clemente Papa XII, di santa memoria, nella sua Costituzione che comincia con “In supremo justitiae solio”, pubblicata nell’anno della Incarnazione del Signore 1734, il 1° gennaio, volle e decretò che del beneficio della predetta immunità per nulla godessero coloro che in una rissa avessero compiuto un omicidio, purché l’omicidio non fosse stato accidentale o conseguente alla propria difesa.
2. Inoltre gli stessi Predecessori già ricordati, Benedetto e Clemente, a quei delitti che erano compresi nel Diritto Canonico e nella Costituzione Gregoriana, ne aggiunsero parecchi altri; stabilirono che chi li avesse commessi sarebbe stato escluso dal predetto diritto d’asilo e dalla facoltà di rifugiarsi presso le Chiese e i luoghi sacri e religiosi; soppressero, con dichiarazioni e definizioni, varie questioni e controversie sollevate da Dottori interpreti del predetto Diritto e delle Costituzioni Apostoliche che trattano della immunità locale, come si può desumere dallo spirito di quelle stesse Costituzioni e anche da una delle nostre Istituzioni che pubblicammo quando reggevamo la Chiesa arcivescovile di Bologna (per l’istruzione di quel popolo affidato alla Nostra sollecitudine) e che è stampata nel secondo tomo delle Edizioni Italiche n. 21, mentre nella edizione latina portano il numero 61.
3. Oltre a ciò, si stabilisce come possa una Curia Ecclesiastica, nel caso di un delitto in tal modo contemplato, procedere alla cattura del delinquente dal luogo immune e trasferirlo alle proprie carceri, avendo il nominato Predecessore Benedetto stabilito che, circa la qualità del delitto in questione e della persona incriminata, vi fosse un congruo numero di quegli indizi che solitamente vengono reputati sufficienti a decretare la cattura. Per essere poi legalmente in grado di rimettere e consegnare il prigioniero ai Ministri e ai Funzionari della Curia Secolare, Benedetto aveva decretato che dal processo informativo istruito contro lo stesso prigioniero dovevano risultare indizi che conforme alle norme del diritto si chiamano “ultra torturam”; successivamente l’altro Predecessore Clemente XII più ampiamente dichiarò che quante volte risultasse al giudice Ecclesiastico, dagli indizi raccolti non oltre la tortura ma soltanto attraverso la tortura, che il delitto contemplato era stato commesso dal prigioniero, egli stesso poteva rimettere e consegnare il prigioniero alla Curia secolare. D’altronde gli stessi Predecessori non vollero che per alcun verso fosse sminuita l’Autorità Ecclesiastica in ragione di quanto detto, né che fosse colta occasione alcuna di ledere la giustizia. Piuttosto stabilirono che mai si potesse procedere alla cattura di tali delinquenti in luogo immune senza l’autorizzazione del Vescovo e senza l’intervento di persona Ecclesiastica incaricata dallo stesso Vescovo; e che mai si potesse affidare e consegnare gli stessi prigionieri (anche quando concorrano i predetti indizi) ai Funzionari della Curia secolare, se non in forza di quella legge (da rispettare sotto minaccia di gravissime censure) per cui devono essere restituiti alla Chiesa o al Luogo immune gli stessi prigionieri, fino a quando non siano chiariti e confutati tali indizi nel corso del processo.
4. Poiché quelle norme che dal ricordato Predecessore Clemente furono aggiunte alle sanzioni del comune diritto e delle Costituzioni Gregoriane e Benedettine, non si estendevano affatto oltre i confini dei Domini temporali della Sede Apostolica, ci parve opportuno estenderle anche alle altre regioni, i cui Principi ne facessero richiesta. Pertanto nei Concordati che furono stipulati sia nell’anno 1741 col carissimo in Cristo figlio Nostro Carlo, illustre Re delle Due Sicilie, sia, nell’anno seguente 1742, con l’altro parimenti carissimo in Cristo figlio Nostro Carlo Emanuele, illustre Re di Sardegna, concedemmo che nei Domini degli stessi Re avessero vigore le premesse disposizioni e le altre contenute nella predetta lettera di Clemente; di poi estendemmo ed ampliammo i Concordati anche ad altri Domini di Principi che ne facevano richiesta, pubblicando una specifica lettera (di cui un esempio è dato vedere nel primo Tomo del Nostro Bullario, Constitut. 88), che comincia: “Alias felicis”.
5. Invero, poiché tutte queste misure adottate dai predetti Nostri Predecessori e da Noi stessi non bastarono a togliere di mezzo o a prevenire completamente tutte le questioni che di solito insorgono nei Tribunali sia circa la natura degli omicidi da considerare in relazione ai prigionieri, sia circa il modo di applicare le predette Costituzioni nei vari casi di tali omicidi e di altri delitti dei prigionieri, giudicammo che Ci fosse riservato questo ulteriore compito, di non tollerare che in nessun modo rimanessero inerti, di fronte alle difficoltà e ai dubbi, le regole d’intervento in tali questioni, con le quali molto spesso è necessario soppesare e condurre a termine gli atti processuali sia dei Giudici Ecclesiastici, sia Secolari.
Pertanto, dopo aver soppesato prontamente ogni questione e aver udito non pochi Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa e altri autorevoli uomini e periti in Diritto Canonico ed esperti in processi criminali, per Nostra decisione e per quella pienezza di Autorità Apostolica che esercitiamo, decretammo di dichiarare il pensiero Nostro e dei Nostri Predecessori e di porre di nuovo alcune questioni nel seguente modo.
6. E in primo luogo, mentre nella ricordata Costituzione del Predecessore Gregorio che comincia con “Cum alias” si enumerano quei delitti che devono essere considerati esclusi dal beneficio della immunità Ecclesiastica e si fa menzione solamente dei delinquenti Laici, e solo di essi ha anche parlato l’altro Predecessore Benedetto nella sopracitata Costituzione che comincia con “Ex quo Divina”, piacque al lodato Predecessore Clemente XII estendere ed ampliare la sua Costituzione che comincia “In supremo Justitiae solio” anche agli Ecclesiastici di ogni grado e ordine che hanno perpetrato un omicidio con volontà premeditata, in modo che essi, in ogni caso, non possano godere della immunità Ecclesiastica; purché tuttavia il processo per l’omicidio da loro commesso sia riconosciuto dal loro giudice Ecclesiastico competente e da questo i colpevoli, se furono riconosciuti tali prima della pena del sangue, siano puniti dopo aver prestato degna attenzione alle prescrizioni dei Sacri Canoni.
7. Inoltre, poiché fu avanzato il dubbio se entro questo ampliamento ed estensione del Predecessore Clemente siano compresi anche gli insegnanti degli Ordini Regolari e gli alunni, Noi, per togliere ogni dubbio in materia, decidemmo e dichiarammo che saranno da includervi tutti e ciascuno di qualunque Ordine, Congregazione, Compagnia e Istituto regolare, tanto i Professi in tali Sodalizi quanto gli aggregati di qualunque modo, di qualunque grado e condizione fossero, anche se insigniti di qualche privilegio degli stessi Ordini o di qualunque altra espressa e distinta menzione personale e dei loro Ordini: siano compresi nella censura della presente e delle precedenti Costituzioni. Se accadesse mai (Dio non voglia) che qualcuno avesse perpetrato un omicidio premeditato, dovrà essere escluso dal beneficio della Immunità Ecclesiastica, secondo il dettato delle stesse Costituzioni di Benedetto e di Clemente.
8. E poiché il ricordato Predecessore Clemente, con speciale decreto pubblicato nel giorno 5 ottobre dell’anno 1736, dichiarò espressamente che anche le donne che avessero commesso qualche delitto di tal fatta (da doversi considerare fra quelli esclusi dal beneficio della Immunità locale in conformità delle disposizioni già dette) dovevano essere giudicate con diritto pari a quello degli uomini e che nel disposto della sua Lettera che comincia “In supremo Justitiae solio” devono essere comprese assolutamente in modo equo, Noi, secondo lo spirito di questa Nostra Costituzione, approviamo e confermiamo la predetta dichiarazione e aggiungiamo ad essa l’intatta forza di una legge inviolabile, secondo la quale occorre essere giudicati nei casi che si presentano. Decidiamo del pari e confermiamo, in base al disposto dello stesso Clemente e di questa Nostra Costituzione, che anche i soldati siano compresi in tutte e per tutte le disposizioni, né si può favorirli o attribuire ad essi, in tal materia, alcun privilegio militare.
9. Inoltre, poiché nella predetta Costituzione del Predecessore Clemente sono esclusi dal beneficio della predetta Immunità tutti e ciascuno, tanto Laici che Ecclesiastici, inquisiti e processati, perseguiti in contumacia e condannati “per causa e in occasione di un omicidio, anche commesso nel corso di una rissa, con le armi o sia con arnesi idonei per loro natura ad uccidere, purché l’omicidio non sia stato causale o dovuto alla propria difesa”, spesso avvenne di discutere se si debba considerare escluso dal beneficio d’Immunità locale colui che non accidentalmente o per legittima difesa in una rissa commise un omicidio o con un bastone o con un sasso che, beninteso, non sono armi, se così si possono definire, e comunque non sono di solito considerate armi per loro natura idonee ad uccidere, Noi dunque, nel chiarire un tal dubbio, stabilimmo che qualunque omicida, sia uomo sia donna, sia Laico sia Ecclesiastico secolare o regolare di qualsivoglia Ordine che anche con un bastone o con un sasso abbia ucciso il suo prossimo, non può affatto godere del diritto di asilo ecclesiastico, quando sia accertato dalle circostanze del delitto che il suo atto, anche se compiuto in una rissa non per accidente o per necessaria autodifesa, fu commesso per odio e con intenzione e volontà di nuocere. Questa Nostra definizione è conforme alla Legge Divina che si trova nelLibro dei Numeri, dove, designati i luoghi d’asilo per coloro che involontariamente avessero effuso il sangue del prossimo, così si prosegue: “Se alcuno avrà ferito di spada e il ferito ne morirà, sarà reo di omicidio ed egli stesso dovrà morire. Se avrà lanciato una pietra e il colpo avrà ucciso, sia punito allo stesso modo. Se chi è percosso da un bastone morirà, sarà vendicato col sangue del picchiatore. Il parente dell’ucciso ucciderà l’omicida; non appena sarà catturato, lo uccida. Se un tale per odio avrà colpito un uomo o in un agguato gli avrà lanciato qualcosa o, come nemico, lo abbia percosso di mano e lo abbia ucciso, il picchiatore sarà reo di omicidio; il parente dell’ucciso, non appena avrà trovato l’uccisore, lo sgozzerà. Che se poi per caso e senza odio e inimicizia avrà compiuto alcuno di quegli omicidi e ciò sia stato provato al cospetto del popolo e fra il colpevole e il vicino di sangue la questione sia dibattuta, l’innocente sarà sottratto alla mano vendicatrice e per sentenza sarà ricondotto nella città nella quale si era rifugiato e quivi rimarrà finché il Grande Sacerdote, che fu unto dall’Olio Santo, non morirà” (Nm 35,16-25).
10. Accade poi negli omicidi (ciò che non ha luogo negli altri delitti denunciati) che chi sia stato percosso o colpito non muoia all’istante ma che piuttosto sopravviva per qualche ora o qualche giorno. Frattanto il picchiatore, rifugiandosi in una Chiesa o in altro luogo immune, gode del diritto d’asilo di cui non può essere privato come omicida finché chi è stato percosso da lui rimane fra i vivi; mentre da quello stesso luogo immune egli non tralascia di spiare con ansia la vita del ferito, se capisce che questi potrà vivere a lungo, in nessun modo si allontana dal rifugio raggiunto; quando poi viene a sapere che quegli ha perso la vita in seguito alla ferita infertagli, presa la fuga eludendo la sorveglianza dei magistrati, in buon punto provvede a se stesso e si sottrae alle meritate pene. Poiché da coloro che sono preposti all’amministrazione della giustizia a Noi fu detto che un tale fatto accade spesso, e certo non senza grave danno della pubblica tranquillità per la speranza d’impunità che i facinorosi concepiscono, convinti di poter evadere nel medesimo modo, gli stessi magistrati ci hanno chiesto di rimuovere con gli opportuni rimedi della Nostra previdenza un male di tal fatta.
11. Perciò Noi, per consiglio dei predetti Nostri Fratelli e di altri saggi, con la presente lettera giudichiamo e decidiamo che, quando un violento si rifugi in una Chiesa o in altro Sacro o Religioso luogo, se i chirurghi chiamati ad esaminare la ferita avranno riferito “essere presente un grave pericolo di vita”, allora sia consegnato alle carceri il violento, dopo averlo strappato dal luogo immune, rispettando le procedure; e che in forza di questa legge, egli sia restituito alla Chiesa, qualora il ferito sopravviva oltre il tempo stabilito dalle leggi e per di più subisca le stesse pene alle quali (nelle ricordate Lettere di Benedetto e di Clemente) sono sottoposti coloro che rifiutano di restituire il delinquente loro affidato in base a indizi sufficienti per torturarlo dopo che il delinquente avrà chiarito gli indizi in sua difesa.
12. E invero nella citata Costituzione del Predecessore Gregorio circa la facoltà di chiedere l’estradizione dei delinquenti da luogo immune nei casi previsti, fu stabilito che tale facoltà appartenga solo ai Vescovi e agli altri Prelati superiori ai Vescovi e non già agli altri inferiori ai Vescovi, anche se gli altri sono Ordinari o di Nessuna Diocesi. Cosicché, verificandosi il caso delittuoso in luogo escluso e non sottoposto ad alcuna Diocesi, allora tale affare sia affidato al più vicino Vescovo, come fu confermato anche dall’altro Nostro Predecessore Benedetto nella sopracitata sua Costituzione; la stessa norma Noi pure approviamo e confermiamo ai sensi della presente Lettera. Ma poiché su tale argomento furono a Noi riportate non poche lagnanze che certe Curie Ecclesiastiche avanzarono a nome dei Funzionari della Curia Secolare, e convennero di rinviare la cattura dei delinquenti, nei casi contemplati, più a lungo del lecito, Noi con ogni premura e impegno persuadiamo e con riguardo ordiniamo che gli stessi Venerabili Fratelli Vescovi e gli altri superiori Presuli delle Chiese facciano in modo di rimuovere ogni occasione di querele per questo genere di questioni, e ogni volta che si tratti di delinquenti nei casi previsti, non ricusino di raccogliere gli opportuni indizi contro di essi; e se ammettono che quegli indizi, richiesti conforme alle premesse, sono veramente sufficienti, quanto prima decidano di trarre fuori gli stessi delinquenti dal luogo immune, affinché siano detenuti o nelle carceri episcopali in nome della Chiesa, o siano trasferiti con le debite cautele alle carceri della Curia Laicale, ove saranno ristretti in nome della stessa Chiesa. Infatti non si può invocare l’obbligo dello zelo Ecclesiastico nell’impedire il corso della giustizia, prescritto dalle Costituzioni Apostoliche contro i facinorosi, ma piuttosto nell’affermare e sostenere l’immunità della Chiesa e di tutti gli altri luoghi Ecclesiastici e i diritti personali, quando accada che siano infrante e violate le prescrizioni delle sacre leggi. Quando tuttavia riteniamo che tali indugi intervengano soprattutto se i predetti acclarati delitti sono perpetrati non nelle Città ma in Diocesi, in luoghi remoti dalla sede della Curia Ecclesiastica, per questo motivo Noi tramite questa stessa Lettera concediamo facoltà e comunichiamo ai predetti Vescovi e agli altri Superiori Prelati che ogni volta che saranno interpellati circa casi di tal genere da parte della Curia laicale, potranno affidare ai loro Vicari foranei o alle altre persone ecclesiastiche da deputare a tale funzione da parte degli stessi superiori, l’incarico di raccogliere gli indizi giuridicamente necessari per la cattura, affinché, esaminati appunto tali indizi, gli stessi Superiori, conforme al diritto, siano al più presto idonei alla cattura dei delinquenti.
13. E certamente tutte queste disposizioni che fin qui annunciammo, definimmo e prescrivemmo sia in questa Nostra Urbe, sia a Bologna, Ferrara, Benevento e in tutte le altre città, terre e luoghi direttamente o indirettamente soggetti a Noi e alla Santa Romana Chiesa e che richiedono una speciale e distinta menzione, e nelle Curie Ecclesiastiche e Secolari dei quali luoghi, anche Baronali, come anche in altri Regni, Province e Possedimenti ai quali le citate Costituzioni dei Nostri Predecessori, sia con particolari concessioni (come sopra è detto), sia per mezzo di Concordati furono estese e ampliate (fin dove appunto si distinguano convenientemente, ma in armonia con gli stessi Concordati, dai quali in nessun modo intendiamo derogare), vogliamo che siano rispettate in ogni caso e decidemmo che abbiano perpetuo fondamento e che raggiungano e ottengano i loro dovuti effetti in tutti i singoli Domini, Regni e Luoghi, tanto dai Giudici delle Curie Ecclesiastiche che Secolari, dai Magistrati, dai Funzionari, dai Ministri e da tutti coloro i quali hanno e avranno competenza pro tempore in materia.
14. Ciò che nelle citate Costituzioni dei Nostri Predecessori, sotto minaccia di gravissime pene, fu vietato, e cioè che né le Curie Secolari né i loro Magistrati, Giudici e Funzionari catturino, portino via dalle Chiese, dai Monasteri e dai luoghi sacri o imprigionino, anche nei casi previsti, un delinquente senza l’intervento dell’Autorità Ecclesiastica, o che osino o presumano di giungere in qualche modo a dichiarare che dai predetti prelevati sono stati commessi crimini previsti nelle Costituzioni degli stessi Predecessori (mentre questa facoltà, come si è detto, è riconosciuta appartenere ai soli Vescovi), Noi con sentimento, autorità e insistenza confermiamo e ordiniamo anche ad essi, e a tutti coloro ai quali questa funzione compete e competerà in avvenire, di rispettare le presenti norme sempre, senza eccezione. Abbiamo deciso e sancito che chi agirà in senso contrario e i trasgressori debbano incorrere in quelle stesse pene che sono state indicate nelle predette Costituzioni, ritenendo che si debbano considerare fra i trasgressori anche coloro che, disprezzando l’Autorità Ecclesiastica e le Sanzioni canoniche, trascurano il prescritto ricorso ai Superiori Ecclesiastici, presumono di poter assediare i Luoghi immuni e vietano che siano portati alimenti a coloro che si proteggono in un Sacro rifugio, o altrimenti li costringono a darsi in potere della Curia Secolare. Noi infatti decidiamo e dichiariamo che coloro che hanno osato tanto, sia che fuggano da delitti accertati, sia che si trovino inquisiti di altri non accertati, incorrano in tutte e nelle singole pene e censure previste contro chi viola l’Immunità Ecclesiastica secondo il diritto e le pene annunciate e prescritte nelle predette Costituzioni Apostoliche. Certo non ignoriamo che anche in altri tempi ricorrevano spesso azioni violente, ma insieme sappiamo che dalla Chiesa furono sempre condannate e proscritte; e ciò dimostrano a sufficienza quegli Statuti che furono raccolti in parecchi Concili Provinciali, allo scadere del decimoterzo e decimoquarto secolo della Chiesa. Ivi infatti sono ricordati gli assedi delle Chiese, la sottrazione degli alimenti e gli altri espedienti per i quali coloro che si erano rifugiati nelle Chiese erano costretti alla resa; tutti quelli che avranno osato tentare tali azioni, saranno feriti dalla spada dell’anatema. E Noi dunque che non possiamo né vogliamo abbandonare lo spirito della Chiesa tante volte apertamente manifestato circa le questioni predette e dai Nostri Predecessori costantemente rispettato, fedeli in tutto a tale spirito, giudichiamo e dichiariamo che tutti e i singoli che abbiano osato usare violenza in tal modo contro coloro che si trovano sotto la tutela dell’Immunità Ecclesiastica, oltre alle altre pene e censure prescritte e sancite e da applicare senza altra dichiarazione contro quelli che violano la stessa immunità, come si è detto, saranno privati e considerati indegni di ogni beneficio e privilegio del rifugio e dell’asilo Ecclesiastico, tanto presso le Chiese e i luoghi immuni da loro così violati, quanto presso le altre Chiese e i Luoghi Sacri e Religiosi e saranno da giudicare alla stessa stregua di tutti “coloro che fanno violenza sui rifugiati o li catturano di forza e li portano via dalla Chiesa o da altro luogo immune”; il lodato Predecessore Benedetto XIII, nella sua citata Costituzione, dichiarò invero che “essi non potranno né dovranno mai godere non solo della immunità della Chiesa che hanno violato, ma anche di ciascuna altra Chiesa”. E Noi giudicammo che anche i predetti siano da ascrivere nel numero dei violenti.
15. Infine poiché, come abbiamo appreso, tra le Curie del nostro Dominio Temporale e di non pochi Domini confinanti, è invalsa una certa consuetudine, per cui coloro che abbiano commesso delitti di una certa specie nell’uno o nell’altro di tali Domini e si siano rifugiati entro i confini dell’altro, siano catturati nella Curia vicina a quel Dominio in cui fu commesso il delitto e consegnati alla stessa Curia. E quando, come a Noi fu riferito, accada talvolta di frapporre indugio in tali trasferimenti, per il fatto che quei delinquenti si erano messi al sicuro nelle terre verso cui erano fuggiti, sotto la tutela di una Chiesa o di alcun altro Luogo immune, allora Noi, volendo opportunamente congiungere le ragioni della Immunità Ecclesiastica con la retta amministrazione della Giustizia e con la tranquillità dello Stato, deliberammo e ordinammo che se tali fuggitivi avranno commesso un delitto di quelli che sono compresi nelle predette Costituzioni Apostoliche e nel Dominio temporale della Chiesa Romana, si raccolgano e si accumulino gli indizi (richiesti per procedere alla cattura) da parte del Vescovo Diocesano o da quello più vicino a quel luogo ove fu commesso il delitto. Quegli indizi, poi, senza indugio siano trasmessi al Vescovo dell’altro luogo in cui il delinquente trovò asilo, affinché con la sua autorità e con l’intervento di persona Ecclesiastica si possa procedere alla sua estradizione dal Luogo immune. Con lo stesso criterio si deve procedere se nei predetti Domini di altri Principi, nei quali vige la consuetudine della citata consegna, viene commesso un delitto di tale specie: ciò, sia in forza delle Costituzioni Gregoriana e Benedettina, sia a motivo delConcordatocon la Sede Apostolica, sia per estensione di altra Costituzione di Clemente XII richiamata espressamente dalla Sede Apostolica.
Vogliamo e ordiniamo che il Vescovo, al quale la materia compete in forza del luogo in cui il delitto fu commesso, provveda a che siano raccolti gli accennati indizi necessari per la cattura, e li trasmetta al Vescovo dello Stato Ecclesiastico nel cui territorio il reo del delitto scelse l’asilo, affinché, con l’autorità di questo Antistite, fatti salvi i principi da rispettare, il delinquente possa essere estradato dal luogo del rifugio e, se così esige la norma, essere consegnato alla Curia esterna che ne fece richiesta.
Vogliamo tuttavia che in ognuno dei casi predetti, nei quali si tratti soltanto dei delitti descritti più sopra, siano osservate rigorosamente le leggi e le procedure sia delle Costituzioni di Clemente sia dei Concordati, sia ovviamente quando il delinquente sia ristretto nelle carceri in nome della Chiesa, sia anche quando, solamente da parte dei Vescovi, sia espresso un giudizio negativo finché da tutti gli altri Giudici Ecclesiastici si dichiari (in base agli indizi, come si è detto, sufficienti alla tortura) se il delitto, di cui si tratta, debba essere annoverato tra quelli descritti o meno; e infine, anche nel caso che si riferisce all’obbligo di restituire il reo sulla scorta delle citate Costituzioni, fino a quando costui nel corso del processo non avrà emendato e attenuato gli indizi che sono contro di lui.
16. Vogliamo infine che la presente Lettera e i suoi contenuti abbiano potere e forza di perpetua validità e i suoi integri e pieni effetti nei luoghi e nei Domini predetti e, con particolare riguardo, in qualsiasi luogo e popolo; che sia rispettata da tutti e dai singoli ai quali è rivolta e in ogni caso si rivolgerà anche in futuro secondo le circostanze, sotto la minaccia delle pene e delle censure previste, in cui devono tosto incorrere i trasgressori; e così, e non altrimenti, come nelle premesse, decretiamo che sia applicata da tutti i Giudici Ordinari e Delegati, anche dai Cardinali della Santa Chiesa Romana, anche dai Legatide latere, da tutte le Congregazioni dei Cardinali e dai Nunzi della Sede Apostolica, nonché dalle Curie secolari, dai Magistrati, e da chiunque altro sia o sarà investito di qualsivoglia carica o potere, anche se degno di particolare nota e menzione, e da quanti, in qualsiasi altro modo, abbiano facoltà e autorità di giudicare e di interpretare; e sia nullo e inefficace il giudizio che, da chicchessia o da qualsiasi autorità, scientemente o per ignoranza espresso, indicherà di operare diversamente.
17. Nonostante le premesse e tutte le altre Costituzioni Apostoliche, le Regole e le Ordinazioni e ogni Legge Ecclesiastica o Secolare, gli editti, gli scritti, gli usi e le consuetudini anche immemorabili; i privilegi, gl’indulti, le facoltà, le persone d’ogni sorta degne di speciale menzione e illustri per quale e quanta vuoi sublime carica e autorità, e anche oberate di qualsivogliano urgentissime cause, o gli Ordini di Regolari, anche di Mendicanti, di Militari e anche di San Giovanni Gerosolimitano, o di Monaci, o le Congregazioni di Chierici Regolari, le Società e gl’Istituti, anche della Compagnia di Gesù, e tutti gli altri che vanno sotto qualunque forma e denominazione, e con qualunque clausola e decreto, anche affini per obiettivi e per pienezza di potere, concessi concistorialmente o in qualunque modo contrario a quanto premesso, anche se più volte confermati e rinnovati: A tutti questi ed ai singoli – i concetti, la forma e le finalità dei quali, anche se impliciti e riservati, con la presente Lettera s’intendono pienamente espressi – Noi, da questo ufficio, con piena conoscenza e potestà, ai sensi di quanto premesso, deroghiamo; e vogliamo sia derogato, respinta ogni eccezione contraria. Se ad alcuni, tutti assieme o separatamente, sia stato concesso da questa stessa Sede che in nessun caso, o al di fuori di certi casi, e per cause diverse, non possano essere scomunicati, sospesi o interdetti, se non per Lettere della stessa Sede, i medesimi facciano piena e motivata menzione di tale Indulto, parola per parola.
18. Affinché, poi, la presente Lettera e il suo contenuto siano recati a conoscenza di tutti, e affinché nessuno osi allegare l’ignoranza della materia, vogliamo che la Lettera sia pubblicata alle porte della Chiesa di San Giovanni in Laterano, della Basilica del Principe degli Apostoli dell’Urbe, della Cancelleria Apostolica, della Curia Generale Innocenziana e negli altri soliti e consueti luoghi dell’Urbe, per mezzo dei Nostri Cursori, come è di costume; vogliamo che copie di essa siano affisse, in modo che così pubblicate e affisse, tutti e ciascuno – cui essa è rivolta e sarà rivolta in futuro – ne dispongano, come se a ciascuno di essi fosse comunicata e notificata personalmente; vogliamo anche che le copie di essa, anche a stampa, purché sottoscritte di pugno da un pubblico Notaio e munite del sigillo di persona dotata di dignità Ecclesiastica, abbiano in ogni luogo la stessa fiducia che si avrebbe per la presente Lettera se fosse esibita e mostrata in originale.
19. Pertanto a nessuno sia lecito violare questa pagina delle Nostre dichiarazioni, definizioni, ordinazioni, affermazioni, proibizioni, mandati, decreti e volontà, od opporsi ad essa con atto temerario. Se qualcuno poi avrà osato tanto, incorrerà nell’indignazione di Dio Onnipotente e dei Beati Pietro e Paolo suoi Apostoli.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, nell’anno 1749 dell’Incarnazione del Signore, il 15 marzo, anno decimo del Nostro Pontificato.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana