PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
La fede non è mai un fatto privato
Giovedì, 28 novembre 2013
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 274, Ven. 29/11/2013)
Il divieto di adorare Dio è il segno di una «apostasia generale», è la grande tentazione che prova a convincere i cristiani a prendere «una strada più ragionevole, più tranquilla», obbedendo «agli ordini dei poteri mondani» che pretendono di ridurre «la religione a una cosa privata». E soprattutto non vogliono che Dio sia adorato «con fiducia e fedeltà». È proprio da questa tentazione che Papa Francesco ha messo in guardia nella messa celebrata, giovedì 28 novembre, nella cappella di Santa Marta.
Come di consueto il Pontefice ha preso spunto dalla liturgia della Parola che, ha sottolineato, «ci fa pensare agli ultimi giorni, al tempo della fine, della fine del mondo, al tempo della venuta finale di nostro Signore Gesù Cristo». Infatti, ha spiegato, «nella nostra vita, la vita di ognuno di noi, abbiamo tentazioni. Tante. Il demonio ci spinge per non essere fedeli al Signore. Alcune volte fortemente». Come quella volta di cui Gesù ha parlato a Pietro: «il demonio voleva passarlo al vaglio come il grano. Tante volte noi abbiamo avuto questa tentazione e, peccatori, siamo caduti». Ma nella liturgia, ha detto il Papa, oggi «si parla della tentazione universale, della prova universale, del momento che tutto il creato, tutta la creazione del Signore sarà davanti a questa tentazione fra Dio e il male, fra Dio e il principe di questo mondo».
Del resto, ha proseguito, «con Gesù il demonio ha incominciato a fare questa prova all’inizio della sua vita, nel deserto. E ha cercato di convincerlo di prendere un’altra strada, più ragionevole, più tranquilla, meno pericolosa. Alla fine ha fatto vedere la sua intenzione: se tu mi adori io ti darò questo! Cercava di essere il dio di Gesù». E Gesù stesso, ha affermato il Papa, ha avuto «poi tante prove nella sua vita pubblica: gli insulti, le calunnie» o quando si sono presentati davanti a lui in modo ipocrita «per metterlo alla prova». Anche «alla fine della sua vita è stato messo alla prova dal principe di questo mondo sulla croce: “ma se tu sei il Figlio di Dio scendi e tutti noi crediamo!”». Ecco, ha proseguito il Pontefice, che Gesù si è trovato davanti «un’altra volta la prova di scegliere un’altra via di salvezza». Ma alla fine la risurrezione di Gesù è avvenuta attraverso la via «che il Padre voleva e non quella che voleva il principe di questo mondo».
Nella liturgia, ha detto il Papa, oggi «la Chiesa ci fa pensare alla fine di questo mondo, perché questo finirà. La facciata di questo mondo sparirà». E c’è una parola nel Vangelo «che ci colpisce abbastanza: tutte queste cose verranno». Ma fino a quando bisognerà aspettare? La risposta che ci dà il Vangelo di Luca (20, 21-28) è «finché i tempi dei pagani non siano compiuti». E infatti, ha detto il Papa, «anche i pagani hanno un tempo di pienezza»: il kairòs dei pagani. «Loro — ha ripetuto — hanno un kairòs che sarà questo, il trionfo finale: Gerusalemme calpestata» e, si legge nel Vangelo, «vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte».
In pratica «è la calamità» ha precisato il Papa. «Ma quando Gesù parla di questa calamità in un altro brano, ci dice che sarà una profanazione del tempio, una profanazione della fede, del popolo. Sarà l’abominazione. Sarà la desolazione della abominazione (Daniele 9, 27). Cosa significa? Sarà come il trionfo del principe di questo mondo, la sconfitta di Dio. Sembra che lui, in quel momento finale di calamità, s’impadronirà di questo mondo» diventando così il «padrone del mondo».
Papa Francesco ha spiegato poi come possa essere rintracciata nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Daniele (6, 12-28), «il centro di questa strada, di questa lotta fra il Dio vivente e il principe di questo mondo». In sostanza «Daniele è condannato soltanto per adorazione, per adorare Dio. E la desolazione della abominazione si chiama divieto di adorazione».
In quel tempo, ha spiegato il Pontefice, «non si poteva parlare di religione: era una cosa privata» i segni religiosi andavano tolti e bisognava obbedire agli ordini che venivano «dai poteri mondani». Si potevano «fare tante cose, cose belle ma non adorare Dio», era vietato. Questo era il centro, «il kairòs di questo atteggiamento pagano». Ma proprio «quando si compie questo tempo, allora sì, verrà Lui». Come si legge nel passo evangelico «vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria».
La parola di Dio ci ricorda, ha proseguito il Papa, come «i cristiani che soffrono tempi di persecuzioni, tempi di divieto di adorazione, sono una profezia di quello che accadrà a tutti». Ma proprio in momenti come quello, quando cioè i tempi dei pagani si sono compiuti, «risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Infatti, ha spiegato il vescovo di Roma «il trionfo, la vittoria di Gesù Cristo è portare la creazione al Padre alla fine dei tempi».
Ma non dobbiamo avere paura. Il Papa ha ripetuto la promessa di Dio il quale «ci chiede fedeltà e pazienza. Fedeltà come Daniele, che è stato fedele al suo Dio e ha adorato Dio fino alla fine. E pazienza, perché i capelli della nostra testa non cadranno, così ha promesso il Signore». E ha concluso invitando a riflettere, soprattutto in questa settimana, su «questa apostasia generale che si chiama divieto di adorazione». E a porre a se stessi una domanda: «Io adoro il Signore? Io adoro Gesù Cristo il Signore? O un po’ metà e metà e faccio il gioco al principe di questo mondo? Adorare fino alla fine con fiducia e fedeltà è la grazia che dobbiamo chiedere».
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana