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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Quando pagano i poveri

Lunedì, 16 giugno 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.136, Mart. 17/06/2014)

 

Sono sempre i poveri a pagare il prezzo della corruzione. Di ogni corruzione: quella dei politici e degli imprenditori, ma anche quella degli ecclesiastici che trascurano il loro «dovere pastorale» per coltivare il «potere». Papa Francesco è tornato a denunciare con parole forti «il peccato della corruzione», nel quale cadono «tante persone che hanno potere, potere materiale o potere politico o potere spirituale». E durante la messa celebrata lunedì mattina, 16 giugno, a Santa Marta, ha invitato a pregare in particolare per «quelli — tanti, tanti — che pagano la corruzione, che pagano la vita dei corrotti, questi martiri della corruzione politica, della corruzione economica e della corruzione ecclesiastica».

Prendendo spunto dal passo del primo libro dei Re (21, 1-16) proclamato durante la liturgia, il Pontefice ha ricordato la storia di Nabot di Izreèl, il quale si rifiuta di cedere al re Acab la sua vigna, ereditata dal padre, e per questo, su istigazione della regina Gezabèle, viene lapidato. «Un brano molto triste della Bibbia» ha commentato il vescovo di Roma, notando che il racconto segue la stessa struttura di quello del processo di Gesù o del martirio di Stefano, e richiamando in proposito una frase del Vangelo di Marco (10, 42): «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono».

«Questo Nabot — ha sottolineato il Papa — sembra un martire, un martire di quel re, che governa tiranneggiando e opprimendo». Per impadronirsi della vigna, Acab al principio fa a Nabot una proposta onesta: «Ma io te la compro, te la cambio per un’altra». Poi però, di fronte al rifiuto dell’uomo di privarsi dell’«eredità dei suoi padri», se ne va a casa «amareggiato, sdegnato», comportandosi quasi come un «bambino capriccioso» che fa «le bizze». È a questo punto che sua moglie Gezabèle — «la stessa che aveva minacciato di morte il profeta Elia, dopo che lui aveva ucciso i sacerdoti di Baal» — organizza un processo farsa con falsi testimoni e fa uccidere Nabot, consentendo al marito di prendere possesso della vigna. E Acab lo fa, ha fatto notare il Pontefice, «tranquillo, come se niente fosse accaduto».

Si tratta di una storia, ha ammonito Francesco, che «si ripete continuamente in tante persone che hanno potere, potere materiale o potere politico o potere spirituale. Ma questo è un peccato: è il peccato della corruzione». E come si corrompe una persona? «Si corrompe — ha detto il Papa — sulla strada della propria sicurezza. Primo, il benessere, i soldi, poi il potere, la vanità, l’orgoglio, e di là tutto: anche uccidere».

«Sui giornali — ha osservato il vescovo di Roma — noi leggiamo tante volte: è stato portato in tribunale quel politico che si è arricchito magicamente. È stato in tribunale, è stato portato in tribunale quel capo di azienda che magicamente si è arricchito, cioè sfruttando i suoi operai; si parla troppo di un prelato che si è arricchito troppo e ha lasciato il suo dovere pastorale per curare il suo potere». Dunque, ci sono «i corrotti politici, i corrotti degli affari e i corrotti ecclesiastici». E ce ne sono «dappertutto». Perché la corruzione, ha spiegato il Pontefice, «è proprio il peccato a portata di mano, che ha quella persona che ha autorità sugli altri, sia economica, sia politica, sia ecclesiastica. Tutti siamo tentati di corruzione. È un peccato a portata di mano».

Del resto, ha aggiunto, «quando uno ha autorità si sente potente, si sente quasi Dio». La corruzione quindi «è una tentazione di ogni giorno», nella quale può cadere «un politico, un imprenditore, un prelato».

Ma — si è chiesto Francesco — «chi paga la corruzione?». Certamente non la paga chi «porta la tangente»: egli infatti rappresenta solo «l’intermediario». In realtà, ha constatato il Pontefice, «la corruzione la paga il povero!». Non a caso la corruzione del re Acab «l’ha pagata Nabot, il povero uomo fedele alla sua tradizione, fedele ai suoi valori, fedele all’eredità ricevuta da suo padre».

«Se parliamo dei corrotti politici o dei corrotti economici, chi paga questo?» si è domandato ancora il Papa. «Pagano — ha detto — gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione. Loro sono i moderni Nabot, che pagano la corruzione dei grandi». E, ha continuato, «chi paga la corruzione di un prelato? La pagano i bambini, che non sanno farsi il segno della croce, che non sanno la catechesi, che non sono curati; la pagano gli ammalati che non sono visitati; la pagano i carcerati, che non hanno attenzioni spirituali». In definitiva, a pagare la corruzione sono sempre i poveri: i «poveri materiali» e i «poveri spirituali».

«Tra voi però non è così» dice in proposito Gesù ai discepoli, esortando chi «ha potere» a diventare «il servitore». E in effetti, ha ricordato Francesco, «l’unica strada per uscire dalla corruzione, l’unica strada per vincere la tentazione, il peccato della corruzione, è il servizio. Perché la corruzione viene dall’orgoglio, dalla superbia, e il servizio ti umilia: è proprio la carità umile per aiutare gli altri».

In conclusione il vescovo di Roma ha rimarcato il valore della testimonianza di Nabot, il quale «non ha voluto vendere l’eredità dei suoi padri, dei suoi antenati, i valori»: una testimonianza tanto più significativa se si pensa che spesso, «quando c’è corruzione», anche il povero rischia di perdere «i valori, perché vengono imposte abitudini, leggi, che vanno contro i valori ricevuti dai nostri antenati». Da qui l’invito a pregare per i tanti «martiri della corruzione», perché «il Signore ci avvicini a loro» e dia a questi poveri la «forza per andare avanti» nella loro testimonianza.

 



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