PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
La ninnananna di Dio
Giovedì, 11 dicembre 2014
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.283, Ven. 12/12/2014)
Dio è per noi come la mamma che ci canta teneramente la ninnananna e non ha paura di sembrare persino «ridicolo» per quanto ci ama. Per questo Francesco ha messo in guardia dalla «tentazione di mercificare la grazia», con una certezza: «Se noi avessimo il coraggio di aprire il nostro cuore a questa tenerezza di Dio, ma quanta libertà spirituale avremmo!». E per vivere questa esperienza, durante la messa celebrata giovedì mattina, 11 dicembre, nella cappella della Casa Santa Marta, il Papa ha suggerito di aprire la Bibbia e leggere il passo del profeta Isaia proposto dalla liturgia del giorno: capitolo 41, versetti 13-20.
«Il profeta Isaia — ha fatto subito notare il Pontefice — parla della salvezza, di come Dio salva il suo popolo, e torna su quell’immagine, su quella realtà che è proprio la vicinanza di Dio al suo popolo». Del resto «Dio salva facendosi vicino; non salva a distanza: si fa vicino e cammina con il suo popolo». E «questa è la salvezza di Dio». Così «nel libro del Deuteronomio lo ha detto chiaramente al popolo: dimmi, quale popolo ha un Dio così vicino come te? Nessuno!».
«È proprio la vicinanza di Dio al suo popolo quello che fa la salvezza». Una «vicinanza che progredisce, progredisce, fino a prendere la nostra umanità». E «in questo brano — ha spiegato Francesco — c’è una cosa che forse ci farà un po’ sorridere, ma è bella». Infatti è talmente «tanta la vicinanza, che Dio si presenta qui come una mamma, come una mamma che dialoga con il suo bambino: una mamma quando canta la ninnananna al bambino e prende la voce del bambino e si fa piccola come il bambino e parla con il tono del bambino al punto di fare il ridicolo se uno non capisse cosa c’è lì di grande». Si legge infatti nella Scrittura: «Non temere, vermiciattolo di Giacobbe».
«Quante volte — ha proseguito il Pontefice — una mamma dice queste cose al bambino mentre lo carezza!». È lo stesso linguaggio che troviamo nella Scrittura: «Ecco, ti rendo come una trebbia acuminata, nuova... ti farò grande...!». E così dicendo la mamma «lo carezza, e lo fa più vicino a lei». Ma anche «Dio fa così: è la tenerezza di Dio» che «è tanto vicino a noi, che si esprime con questa tenerezza, la tenerezza di una mamma». E questo vale «anche quando il bambino non vuole la mamma e si allontana, piange». Così «Gesù sul monte, quanto vedeva Gerusalemme, ha pianto, perché il popolo si era allontanato». Ma «Dio si presenta con questo atteggiamento di mamma: la vicinanza».
E «questa è la grazia di Dio» ha affermato Francesco. Infatti «quando noi parliamo di grazia, parliamo di questa vicinanza». Così «quando uno dice: io sono in stato di grazia, io sono vicino al Signore o lascio che il Signore mi si avvicini: quella è la grazia!». Invece «noi, tante volte, per essere sicuri, vogliamo controllare la grazia, come se il bambino dicesse alla mamma: “Ma, sta bene, adesso sta’ zitta, lasciami vivere, va bene, io so che tu mi ami”». E da parte sua «la mamma continua a dire queste cose, che fanno ridere, ma è l’amore, l’amore che si esprime così». Ebbene «il bambino ferma la mamma? No! Si lascia amare, perché è un bambino. Così quando Gesù dice: il regno dei cieli è come il bambino che si lascia amare da Dio». E «questa è la grazia!».
Francesco ha quindi messo in guardia dalla «tentazione di mercificare la grazia» che «noi abbiamo tante volte nella storia e anche nella nostra vita». Si tratta cioè di trasformare «questa grazia che è una vicinanza, una vicinanza delle viscere di Dio», in «una merce o una cosa controllabile». Perché «noi vogliamo controllare la grazia». E «così, quando si parla di grazia, abbiamo la tentazione di dire: “Io ho tanta grazia, sì, io sono in grazia!”. Ma cosa vuol dire: che sei vicino al Signore? “No, anche ho l’anima pulita, sono in grazia!”». Finisce però che «questa verità tanto bella della vicinanza di Dio scivola in una contabilità spirituale: “No, io faccio questo perché questo mi darà 300 giorni di grazia... Io faccio quell’altro perché questo mi darà questo, e così accumulo grazia...”». Con questo modo di ragionare la grazia si riduce, appunto a «una merce».
«Nella storia — ha spiegato il Papa — questa vicinanza di Dio al suo popolo è stata tradita, per questo nostro atteggiamento egoista di voler controllare la grazia, mercificarla». Come «esempio» Francesco ha indicato «i partiti nel tempo di Gesù». A cominciare dai «farisei: per loro la grazia era proprio nel fare la legge, seguire la legge e quando c’era il dubbio se ne faceva un’altra perché fosse chiara quella legge». Ma così facendo «avevano finito con 300, 400 comandamenti». E «una mamma, quando carezza il suo figlio, non fa questo: è pura gratuità». Invece «i farisei con la gratuità di Dio hanno fatto una strada di santità che li rendeva schiavi». Ecco perché «Gesù li rimprovera: “Voi che caricate tanto sulle spalle del popolo, tante leggi!”». Rendendo di conseguenza «la grazia di Dio, questa vicinanza, mercificata».
C’erano poi «i sadducei»: secondo loro la grazia di Dio era far «convivere politicamente il popolo con gli occupanti e fare patti politici» argomentando «ma, stiamo bene, il popolo va avanti, così andiamo... Questa è la grazia, siamo in grazia di Dio, perché possiamo andare avanti». Ma «Gesù rimprovera» anche loro.
E, ancora, c’erano «gli esseni» che «erano buoni, buonissimi, ma avevano tanta paura, non rischiavano e così se ne andarono nel monastero a pregare». E così «quella grazia che porta avanti, quella vicinanza di Dio è diventata una chiusura monacale nel monastero, ma non la grazia di Dio».
Dal canto loro, invece, «gli zeloti pensavano che la grazia di Dio fosse proprio la guerra di liberazione, le guerriglie di liberazione di Israele». E questa era «anche un’altra maniera di mercificare la grazia». Però, ha riaffermato il Papa, «la grazia di Dio è un’altra cosa: è vicinanza, è tenerezza». E ha suggerito una «regola» che «serve sempre: se tu nel tuo rapporto con il Signore non senti che Lui ti ama con tenerezza» significa che «ancora ti manca qualcosa, ancora non hai capito cos’è la grazia, ancora non hai ricevuto la grazia che è questa vicinanza».
Francesco ha voluto condividere anche una sua esperienza sul campo, ricordando quando, tanti anni fa, gli si avvicinò una signora dicendogli: «Padre, devo fare una domanda perché non so se devo confessarmi o no». «Sabato scorso — ha proseguito riportando le parole della donna — siamo andati alle nozze di amici e c’era la messa lì e abbiamo detto, con mio marito: ma sta bene, questa messa, sabato sera? Serve? È valida per domenica? Sa, padre, che le letture non erano quelle della domenica, erano quelle delle nozze e io non so se questo era valido o io ho peccato mortalmente perché non sono andata domenica all’altra messa». Nel porre quella questione, ha ricordato Papa Francesco, «quella donna soffriva». Allora «ho detto a quella signora: “Il Signore la ama tanto: lei è andata lì, ha ricevuto la comunione, è stata con Gesù... Sì, ma stai tranquilla, il Signore non è un commerciante, il Signore ama, è vicino”».
Anche «san Paolo reagisce con forza contro questa spiritualità della legge» ha ribadito Francesco. Scrive infatti: «Io sono giusto se faccio questo, questo, questo. Se non faccio questo non sono giusto». Piuttosto «tu sei giusto perché Dio ti si è avvicinato, perché Dio ti carezza, perché Dio ti dice queste cose belle con tenerezza: questa è la giustizia nostra, questa vicinanza di Dio, questa tenerezza, questo amore». E «il nostro Dio è tanto buono» fino al punto di correre il «rischio di sembrarci ridicolo». Tanto che, ha affermato il Papa, «se noi avessimo il coraggio di aprire il nostro cuore a questa tenerezza di Dio, ma quanta libertà spirituale avremmo! Quanta!». E ha concluso con un consiglio pratico: «Oggi, se avete un po’ di tempo, a casa vostra, prendete la Bibbia: Isaia, capitolo 41, dal versetto 13 al 20, sette versetti. E leggetelo!». Per entrare così più a fondo nell’esperienza di «questa tenerezza di Dio», di «questo Dio che ci canta a ognuno di noi la ninnananna, come una mamma».
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