PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Questione di stile
Venerdì, 9 settembre 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.207, 10/09/2016)
L’evangelizzazione si fa con la testimonianza e poi con la parola, stando ben attenti a non cadere nella tentazione di ridursi a funzionari che passeggiate o fanno proselitismo. Rilanciando «lo stile» evangelizzatore di san Paolo, il suo «farsi tutto a tutti» senza cercare il vanto personale, nella messa celebrata venerdì mattina, 9 settembre, nella cappella della Casa Santa Marta, Papa Francesco ha voluto anche riproporre la figura di san Pietro Claver, gesuita missionario tra i deportati.
«L’apostolo Paolo spiega ai cristiani di Corinto cosa è evangelizzare», ha subito affermato il Pontefice riferendosi alla prima lettura proposta dalla liturgia odierna (1 Corinzi 9, 16-19.22-27). «Anche noi — ha spiegato — possiamo oggi riflettere su cosa significa evangelizzare, perché noi cristiani siamo chiamati a evangelizzare, a portare il Vangelo, che significa dare testimonianza di Gesù Cristo».
E Paolo, rivolgendosi appunto ai cristiani di Corinto, comincia così il suo ragionamento «Fratelli, cosa non è evangelizzare? Annunciare il Vangelo non è per me un vanto». Dunque, non ci si deve certo vantare «di andare a evangelizzare: vado a fare questo, vado a fare quell’altro», quasi che evangelizzare sia «fare una passeggiata». Sarebbe come «ridurre l’evangelizzazione a una funzione: io ho questa funzione». E «sto parlando — ha fatto notare il Papa — di cose che succedono in qualche parrocchia nel mondo, quando il parroco ha sempre la porta chiusa».
Può anche capitare, ha proseguito Francesco, di incontrare «laici che dicono “io faccio questa scuola di catechesi, faccio questo, questo, questo…”». Riducendo così quello «che loro chiamano evangelizzare a una funzione». Magari vantandosi dicendo: «io faccio questa funzione, sono un funzionario catechista, sono funzionario di questo, di quello, di quello... e poi continuo la mia vita».
Ma questo è proprio l’atteggiamento di chi si vanta, ha insistito il Papa, «è ridurre il Vangelo a una funzione o anche a un vanto: “io vado a evangelizzare e ho portato in Chiesa tanti”». Già, ha proseguito, «anche fare proselitismo è un vanto». Invece, «evangelizzare non è fare proselitismo». Di più: evangelizzare non è mai «fare la passeggiata; ridurre il Vangelo a una funzione; fare proselitismo».
Cosa significa davvero evangelizzare, ha spiegato il Pontefice, lo ripete efficacemente san Paolo: «Per me non è un vanto, per me è una necessità che mi si impone». Infatti, ha rilanciato il Papa riflettendo sulle espressione paoline, «un cristiano ha l’obbligo, ma con questa forza, come una necessità, di portare il nome di Gesù, ma dal proprio cuore». E ha scandito le chiare parole dell’apostolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!».
Un’ammonizione — «guai a te!» — che raggiunge quel cattolico che pensa: «Vado a messa, faccio questo e poi niente di più». Invece, ha messo in guardia Francesco, «se tu dici che sei cattolico, che hai ricevuto il battesimo, che sei cresimato o cresimata, devi andare oltre e portare il nome di Gesù: è un obbligo!».
Le indicazioni concrete di Paolo, ha proseguito il Papa, portano a chiederci quale deve essere il nostro «stile dell’evangelizzazione». Insomma, «come posso essere sicuro di non fare la passeggiata, di non fare proselitismo e di non ridurre l’evangelizzazione a un funzionalismo? Come posso capire qual è lo stile giusto?».
La risposta la suggerisce sempre Paolo: «Lo stile è farsi tutto a tutti». Scrive infatti l’apostolo: «Mi sono fatto tutto per tutti». Significa, in sostanza, «andare e condividere la vita degli altri, accompagnare nel cammino della fede, far crescere nel cammino della fede».
In pratica, ha spiegato Francesco, si tratta di comportarci come quando «si accompagna un bambino, per esempio: quando vogliamo che un bambino impari a parlare, non prendiamo I promessi sposi e gli diciamo: “Parla, leggi questo e parla!”». Piuttosto gli insegnamo a dire anzitutto «Mamma e papà». E così facendo, ha proseguito il Pontefice, «noi ci facciamo come bambini perché il bambino cresca».
Ecco, ha rimarcato ancora il Papa, «con i fratelli dobbiamo fare lo stesso: stare alla condizione in cui è lui e se lui è ammalato, avvicinarmi, non ingombrarlo con argomenti; essere vicino, assisterlo, aiutarlo». Dunque, per rispondere alla domanda sullo stile da usare per annunciare il Vangelo, Francesco ha risposto che si evangelizza proprio «con questo atteggiamento di misericordia: farsi tutto a tutti», nella certezza che «è la testimonianza che porta la Parola».
E in questa prospettiva, il Papa ha voluto condividere anche una confidenza personale: «Quando ero in Polonia, a Cracovia, a pranzo con i giovani nella giornata mondiale della gioventù, un giovane mi ha domandato: “Padre, cosa devo dire a un amico che è bravo — è bravo! — ma è ateo, non crede: cosa devo dirgli perché creda?». Questa, ha proseguito Francesco, «è una bella domanda, tutti noi conosciamo gente allontanata dalla Chiesa: cosa dobbiamo dire loro?». In quella occasione, ha ricordato, la sua risposta alla domanda di quel giovane è stata: «Senti, l’ultima cosa che devi fare è dire qualcosa! Incomincia a fare e lui vedrà cosa tu fai e ti domanderà; e quando lui ti domanderà, tu di’».
Insomma, ha affermato, «evangelizzare è dare questa testimonianza: io vivo così, perché credo in Gesù Cristo; io risveglio in te la curiosità della domanda “ma perché fai queste cose?”». E la risposta del cristiano deve essere questa: «Perché credo in Gesù Cristo e annuncio Gesù Cristo e non solo con la Parola — si deve annunciarlo con la Parola — ma soprattutto con la vita». Dunque «farsi tutto a tutti, andare dove tu ti trovi, nello stato di anima in cui tu sei, nello stato di crescita nel quale tu sei».
Ecco cosa «è evangelizzare e anche questo si fa gratuitamente» ha spiegato il Papa. Lo scrive Paolo: «Qual è la mia ricompensa? Annunciare gratuitamente il Vangelo. Gratuitamente perché? Perché noi abbiamo ricevuto gratuitamente il Vangelo. La grazia, la salvezza non si compra e neppure si vende: è gratis! E gratis dobbiamo darla». Proprio «questa gratuità, questa testimonianza nell’annunciare Gesù Cristo — ha fatto presente Francesco — la vediamo in tanti uomini, donne, consacrate, consacrati, sacerdoti, vescovi, che si fanno tutto a tutti, gratuitamente».
Una gratuità che si ritrova in tutta la storia della Chiesa. «Oggi — ha infatti voluto ricordare il Papa — ricorre la memoria di san Pietro Claver, un missionario: è andato lontano ad annunciare il Vangelo. Forse lui pensava che il suo futuro sarebbe stato predicare: nel suo futuro il Signore gli ha chiesto di essere vicino, accanto agli scartati di quel tempo, agli schiavi, ai negri, che arrivavano lì, dall’Africa, per essere venduti». E quest’uomo «non ha fatto la passeggiata dicendo che evangelizzava; non ha ridotto l’evangelizzazione a un funzionalismo e neppure a un proselitismo». San Pietro Claver «ha annunciato Gesù Cristo con i gesti, parlando agli schiavi, vivendo con loro, vivendo come loro». E «come lui nella Chiesa ce ne sono tanti che annientano se stessi per annunciare Gesù Cristo».
Prima di riprendere la celebrazione, il Pontefice ha affermato che «anche tutti noi, fratelli e sorelle, abbiamo l’obbligo di evangelizzare, che non è bussare alla porta al vicino e alla vicina e dire: “Cristo è risorto!”». È anzitutto «vivere la fede, è parlarne con mitezza, con amore, senza voglia di convincere nessuno, ma gratuitamente». Perché evangelizzare «è dare gratis quello che Dio gratis ha dato a me».
L’evangelizzazione si fa con la testimonianza e poi con la parola, stando ben attenti a non cadere nella tentazione di ridursi a funzionari che fanno passeggiate o fanno proselitismo. Rilanciando «lo stile» evangelizzatore di san Paolo, il suo «farsi tutto a tutti» senza cercare il vanto personale, nella messa celebrata venerdì mattina, 9 settembre, nella cappella della Casa Santa Marta, Papa Francesco ha voluto anche riproporre la figura di san Pietro Claver, gesuita missionario tra i deportati.
«L’apostolo Paolo spiega ai cristiani di Corinto cosa è evangelizzare», ha subito affermato il Pontefice riferendosi alla prima lettura proposta dalla liturgia odierna (1 Corinzi 9, 16-19.22-27). «Anche noi — ha spiegato — possiamo oggi riflettere su cosa significa evangelizzare, perché noi cristiani siamo chiamati a evangelizzare, a portare il Vangelo, che significa dare testimonianza di Gesù Cristo».
E Paolo, rivolgendosi appunto ai cristiani di Corinto, comincia così il suo ragionamento: «Fratelli, cosa non è evangelizzare? Annunciare il Vangelo non è per me un vanto». Dunque, non ci si deve certo vantare «di andare a evangelizzare: vado a fare questo, vado a fare quell’altro», quasi che evangelizzare sia «fare una passeggiata». Sarebbe come «ridurre l’evangelizzazione a una funzione: io ho questa funzione». E «sto parlando — ha fatto notare il Papa — di cose che succedono in qualche parrocchia nel mondo, quando il parroco ha sempre la porta chiusa».
Può anche capitare, ha proseguito Francesco, di incontrare «laici che dicono “io faccio questa scuola di catechesi, faccio questo, questo, questo…”». Riducendo così quello «che loro chiamano evangelizzare a una funzione». Magari vantandosi dicendo: «io faccio questa funzione, sono un funzionario catechista, sono funzionario di questo, di quello, di quello... e poi continuo la mia vita».
Ma questo è proprio l’atteggiamento di chi si vanta, ha insistito il Papa, «è ridurre il Vangelo a una funzione o anche a un vanto: “io vado a evangelizzare e ho portato in Chiesa tanti”». Già, ha proseguito, «anche fare proselitismo è un vanto». Invece, «evangelizzare non è fare proselitismo». Di più: evangelizzare non è mai «fare la passeggiata; ridurre il Vangelo a una funzione; fare proselitismo».
Cosa significa davvero evangelizzare, ha spiegato il Pontefice, lo ripete efficacemente san Paolo: «Per me non è un vanto, per me è una necessità che mi si impone». Infatti, ha rilanciato il Papa riflettendo sulle espressioni paoline, «un cristiano ha l’obbligo, ma con questa forza, come una necessità, di portare il nome di Gesù, ma dal proprio cuore». E ha scandito le chiare parole dell’apostolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!».
Un’ammonizione — «guai a te!» — che raggiunge quel cattolico che pensa: «Vado a messa, faccio questo e poi niente di più». Invece, ha messo in guardia Francesco, «se tu dici che sei cattolico, che hai ricevuto il battesimo, che sei cresimato o cresimata, devi andare oltre e portare il nome di Gesù: è un obbligo!».
Le indicazioni concrete di Paolo, ha proseguito il Papa, portano a chiederci quale deve essere il nostro «stile dell’evangelizzazione». Insomma, «come posso essere sicuro di non fare la passeggiata, di non fare proselitismo e di non ridurre l’evangelizzazione a un funzionalismo? Come posso capire qual è lo stile giusto?».
La risposta la suggerisce sempre Paolo: «Lo stile è farsi tutto a tutti». Scrive infatti l’apostolo: «Mi sono fatto tutto per tutti». Significa, in sostanza, «andare e condividere la vita degli altri, accompagnare nel cammino della fede, far crescere nel cammino della fede».
In pratica, ha spiegato Francesco, si tratta di comportarci come quando «si accompagna un bambino, per esempio: quando vogliamo che un bambino impari a parlare, non prendiamo I promessi sposi e gli diciamo: “Parla, leggi questo e parla!”». Piuttosto gli insegniamo a dire anzitutto «Mamma e papà». E così facendo, ha proseguito il Pontefice, «noi ci facciamo come bambini perché il bambino cresca».
Ecco, ha rimarcato ancora il Papa, «con i fratelli dobbiamo fare lo stesso: stare alla condizione in cui è lui e se lui è ammalato, avvicinarmi, non ingombrarlo con argomenti; essere vicino, assisterlo, aiutarlo». Dunque, per rispondere alla domanda sullo stile da usare per annunciare il Vangelo, Francesco ha risposto che si evangelizza proprio «con questo atteggiamento di misericordia: farsi tutto a tutti», nella certezza che «è la testimonianza che porta la Parola».
E in questa prospettiva, il Papa ha voluto condividere anche una confidenza personale: «Quando ero in Polonia, a Cracovia, a pranzo con i giovani nella giornata mondiale della gioventù, un giovane mi ha domandato: “Padre, cosa devo dire a un amico che è bravo — è bravo! — ma è ateo, non crede: cosa devo dirgli perché creda?». Questa, ha proseguito Francesco, «è una bella domanda, tutti noi conosciamo gente allontanata dalla Chiesa: cosa dobbiamo dire loro?». In quella occasione, ha ricordato, la sua risposta alla domanda di quel giovane è stata: «Senti, l’ultima cosa che devi fare è dire qualcosa! Incomincia a fare e lui vedrà cosa tu fai e ti domanderà; e quando lui ti domanderà, tu di’».
Insomma, ha affermato, «evangelizzare è dare questa testimonianza: io vivo così, perché credo in Gesù Cristo; io risveglio in te la curiosità della domanda “ma perché fai queste cose?”». E la risposta del cristiano deve essere questa: «Perché credo in Gesù Cristo e annuncio Gesù Cristo e non solo con la Parola — si deve annunciarlo con la Parola — ma soprattutto con la vita». Dunque «farsi tutto a tutti, andare dove tu ti trovi, nello stato di anima in cui tu sei, nello stato di crescita nel quale tu sei».
Ecco cosa «è evangelizzare e anche questo si fa gratuitamente» ha spiegato il Papa. Lo scrive Paolo: «Qual è la mia ricompensa? Annunciare gratuitamente il Vangelo. Gratuitamente perché? Perché noi abbiamo ricevuto gratuitamente il Vangelo. La grazia, la salvezza non si compra e neppure si vende: è gratis! E gratis dobbiamo darla». Proprio «questa gratuità, questa testimonianza nell’annunciare Gesù Cristo — ha fatto presente Francesco — la vediamo in tanti uomini, donne, consacrate, consacrati, sacerdoti, vescovi, che si fanno tutto a tutti, gratuitamente».
Una gratuità che si ritrova in tutta la storia della Chiesa. «Oggi — ha infatti voluto ricordare il Papa — ricorre la memoria di san Pietro Claver, un missionario: è andato lontano ad annunciare il Vangelo. Forse lui pensava che il suo futuro sarebbe stato predicare: nel suo futuro il Signore gli ha chiesto di essere vicino, accanto agli scartati di quel tempo, agli schiavi, ai negri, che arrivavano lì, dall’Africa, per essere venduti». E quest’uomo «non ha fatto la passeggiata dicendo che evangelizzava; non ha ridotto l’evangelizzazione a un funzionalismo e neppure a un proselitismo». San Pietro Claver «ha annunciato Gesù Cristo con i gesti, parlando agli schiavi, vivendo con loro, vivendo come loro». E «come lui nella Chiesa ce ne sono tanti che annientano se stessi per annunciare Gesù Cristo».
Prima di riprendere la celebrazione, il Pontefice ha affermato che «anche tutti noi, fratelli e sorelle, abbiamo l’obbligo di evangelizzare, che non è bussare alla porta al vicino e alla vicina e dire: “Cristo è risorto!”». È anzitutto «vivere la fede, è parlarne con mitezza, con amore, senza voglia di convincere nessuno, ma gratuitamente». Perché evangelizzare «è dare gratis quello che Dio gratis ha dato a me».
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