VISITA PASTORALE ALLA DIOCESI DI CHIETI
SANTA MESSA A TERMOLI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Solennità di San Giuseppe
Termoli - Sabato, 19 marzo 1983
1. “Canterò senza fine le grazie dei Signore” (Sal 89, 1).
Le parole del Salmo responsoriale, che è stato testé proclamato, salgono spontaneamente alle mie labbra volgendo lo sguardo a questa vostra magnifica assemblea, carissimi fratelli e sorelle delle Chiese di Termoli e Larino, di Campobasso, di Isernia e Trivento, che siete qui convenuti per incontrarvi con me, pellegrino nella vostra terra, e per manifestare - con la presenza, con la voce, col canto - la gioia di essere parte viva dell’unico ovile di Cristo.
Sì, rendo grazie al Signore per lo spettacolo di fede che mi offrite in questo incontro, nel quale mi è dato di prendere diretto contatto con la popolazione forte e generosa di questa terra molisana dalle antiche tradizioni di laboriosità, di rettitudine, di fedele attaccamento alla religione dei padri. Rendo grazie al Signore e rivolgo a voi il mio saluto più cordiale.
Un saluto che va innanzitutto al vostro Vescovo, il venerato Fratello Cosmo Francesco Ruppi, che da tre anni circa guida le diocesi unite di Termoli e Larino. So che l’odierno incontro si inserisce nel programma della visita pastorale, che egli sta attuando nelle diverse Comunità nelle quali si articola questa porzione del gregge di Cristo a lui affidata, e ho appreso con gioia del risveglio di fede che si va sviluppando nelle diocesi grazie all’impegno pastorale dei sacerdoti, religiosi e laici. Serva questa mia venuta tra voi a confermare le promettenti primizie di questa rinnovata primavera di vita cristiana.
Saluto pure i Vescovi delle altre diocesi del Molise e della regione d’Abruzzo, i quali hanno voluto partecipare a questa Eucaristia per recarmi la testimonianza dei vincoli di fraterna comunione che legano le loro Chiese al successore di Pietro. Li ringrazio e affido loro l’incarico di portare alle rispettive popolazioni l’assicurazione del mio affetto e della mia preghiera.
Un saluto rispettoso e cordiale rivolgo altresì alle autorità di ogni ordine e grado, qui convenute, e in particolare ai Sindaci dei 136 Comuni molisani, che hanno voluto onorare con la loro presenza questo nostro incontro. Nell’esprimere grato apprezzamento per questo gesto cortese, amo leggere in esso l’espressione della sincera volontà di collaborare con la Chiesa, entro i limiti delle rispettive competenze, per il raggiungimento di quegli obiettivi di civile progresso ai quali aspirano le forze migliori di questa nobile e spesso duramente provata regione.
Uno speciale saluto, infine, desidero rivolgere alle Comunità italo-albanesi e slave, che da quasi quattro secoli vivono nella diocesi di Termoli e Larino, portando avanti una loro linea di fedeltà al Vangelo di Cristo e alla Chiesa da lui fondata. Auspico che, attingendo al ricco patrimonio delle loro tradizioni, esse sappiano perseverare in tale impegno di operosa coerenza cristiana per far sì che la fiaccola della fede possa essere trasmessa, sempre ardente e luminosa, alle generazioni che verranno.
2. Oggi la Chiesa festeggia san Giuseppe, l’“uomo giusto”, che nell’umiltà della bottega di Nazaret provvide col lavoro delle proprie mani al sostentamento della Sacra Famiglia. Oggi, quindi, è innanzitutto il giorno degli uomini del lavoro. A voi, dunque, operai, contadini, artigiani, pescatori, a voi lavoratori della terra e del mare che col sudore quotidiano guadagnate il necessario per le vostre famiglie, desidero rivolgere in modo particolare il mio pensiero e la mia parola, per additare alla vostra riflessione l’esempio di Colui che, avendo condiviso la vostra esperienza, può capire i vostri problemi, raccogliere le vostre ansie, orientare i vostri sforzi verso la costruzione di un avvenire migliore.
San Giuseppe sta davanti a voi come uomo di fede e di preghiera. A lui la Liturgia applica la parola di Dio nel Salmo 88: “Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, / mio Dio e roccia della mia salvezza” (Sal 89, 27). Oh, sì: quante volte nel corso delle lunghe giornate di lavoro Giuseppe avrà elevato il suo pensiero a Dio per invocarlo, per offrirgli la sua fatica, per implorare luce, aiuto, conforto. Quante volte!
Ebbene, quest’uomo, il quale con tutta la sua vita sembrava gridare a Dio: “Tu sei mio padre”, ottenne questa particolarissima grazia: il Figlio di Dio sulla terra lo trattò da padre. Giuseppe invoca Dio con tutto l’ardore del suo animo di credente: “Padre mio”, e Gesù, che lavorava al suo fianco con gli strumenti del carpentiere, si rivolgeva a lui chiamandolo “padre”.
Mistero profondo: Cristo che, in quanto Dio, faceva direttamente l’esperienza della Paternità divina nel seno della Santissima Trinità, visse quest’esperienza in quanto uomo attraverso la persona di Giuseppe, suo padre putativo. E Giuseppe, a sua volta, nella casa di Nazaret offrì al bambino che gli cresceva accanto il sostegno del suo equilibrio virile, della sua lungimiranza, del suo coraggio, delle doti proprie di ogni buon padre, attingendole a quella fonte suprema “da cui ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome” (Ef 3, 15).
Grande compito, questo, della paternità, al quale non pochi genitori, oggi, sono tentati di abdicare, optando per un rapporto “alla pari” con i figli, che finisce per privare questi ultimi di quel sostegno psicologico e di quell’appoggio morale, di cui abbisognano per superare felicemente la fase precaria della fanciullezza e della prima adolescenza. Qualcuno ha detto che oggi stiamo vivendo la crisi di una “società senza padri”. Si avverte sempre più chiaramente il bisogno di poter contare su padri che sappiano svolgere il loro ruolo, unendo la tenerezza alla serietà, la comprensione al rigore, il cameratismo all’esercizio dell’autorità, perché solo così i figli potranno crescere armoniosamente, dominando le proprie paure e disponendosi ad affrontare con coraggio le incognite della vita.
Ma dove potrete attingere, carissimi papà, l’energia necessaria per assumere nelle varie circostanze l’atteggiamento giusto che i vostri figli, anche senza saperlo, attendono da voi? La risposta ve la offre san Giuseppe: è in Dio, fonte di ogni paternità, è nel suo modo di agire con gli uomini, quale ci è rivelato dalla Sacra Scrittura, che voi potete trovare il modello di una paternità capace di incidere positivamente sul processo educativo dei vostri figli, non soffocandone, da una parte, la spontaneità, né abbandonandone dall’altra, la personalità ancora immatura alle esperienze traumatizzanti dell’insicurezza e della solitudine.
3. Giuseppe e la sua sposa castissima, la Vergine Maria, non abdicarono all’autorità che loro competeva come genitori. Significativamente di Gesù è detto nel Vangelo: “. . . e stava loro sottomesso” (Lc 2, 51). Una sottomissione “costruttiva” quella di cui furono testimoni le pareti della casa di Nazaret, giacché è detto ancora nel Vangelo che, grazie ad essa, il Bambino “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio ed agli uomini” (Lc 2, 52).
In tale crescita umana Giuseppe guidava e sosteneva il fanciullo Gesù, introducendolo alla conoscenza delle consuetudini religiose e sociali del popolo ebraico e avviandolo alla pratica del mestiere di carpentiere, del quale egli, in tanti anni di esercizio, aveva assimilato ogni segreto. Questo è un aspetto che mi preme, oggi, sottolineare: san Giuseppe insegnò a Gesù il lavoro umano, nel quale egli era esperto. Il divino Fanciullo lavorava accanto a lui, ed ascoltandolo e osservandolo imparava a maneggiare anche lui gli strumenti propri del carpentiere con la diligenza e la dedizione che l’esempio del padre putativo gli trasmetteva.
Lezione grande anche questa, carissimi fratelli e sorelle: se il Figlio di Dio ha voluto imparare da un uomo un lavoro umano, ciò sta ad indicare che nel lavoro v’è uno specifico valore morale con un preciso significato per l’uomo e per la sua autorealizzazione. Nell’enciclica Laborem Exercens ho appunto annotato che “mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 9).
Come non riconoscere allora la grande dignità del lavoro, qualunque esso sia nella sua espressione concreta? Come non vedere il ruolo fondamentale che esso svolge nella vita del singolo della famiglia della società? Purtroppo la cupidigia e l’egoismo hanno spesso spinto gli uomini a sfruttare le capacità intellettuali e fisiche dei loro simili e ad imporre loro prestazioni lavorative che si sono rivelate in vari modi lesive della loro personale dignità. Contro queste degenerazioni del rapporto di lavoro giustamente insorgono le associazioni sindacali, per difendere quanti vedono conculcati i loro legittimi diritti.
Se questo è giusto e merita approvazione, non sarebbe peraltro comprensibile un atteggiamento che giungesse a contestare il lavoro come tale, non riconoscendone la funzione provvidenziale, indicata nel comando biblico originario: “Soggiogate la terra!” (cf. Gen 1, 28). Tale funzione san Giuseppe riconobbe e accettò nella propria vita, trasmettendo al piccolo Gesù che gli cresceva accanto il senso di gioiosa disponibilità con cui ogni mattina egli riprendeva la quotidiana fatica. Anche per questo san Giuseppe sta davanti al popolo cristiano come luminoso modello di vita, al quale ogni padre può e deve guardare nelle scelte concrete che gli sono imposte dalla responsabilità di una famiglia.
4. “Ti ho costituito padre di molti popoli” (Rm 4, 17), è stato proclamato poc’anzi nella prima Lettura della Messa. Le parole che Dio disse ad Abramo ormai vecchio e privo ancora di una discendenza, la Liturgia le applica oggi a san Giuseppe, il quale non ebbe affatto discendenza carnale; e noi che riflettiamo sulla sua vicenda personale possiamo apprezzare appieno l’opportunità di tale accostamento. Dopo essere stato, infatti, uno strumento particolare della divina Provvidenza nei confronti di Gesù e di Maria, soprattutto durante la persecuzione di Erode, san Giuseppe continua a svolgere la sua provvidenziale e “paterna” missione nella vita della Chiesa e di tutti gli uomini.
“Padre di molti popoli”: la devozione con cui i cristiani di ogni parte del mondo, in ciò incoraggiati dalla Liturgia, si rivolgono a san Giuseppe per confidargli le proprie pene e per implorarne la protezione, conferma il fatto singolare di questa paternità senza confini.
Guardate, dunque, con fiducia a san Giuseppe anche voi, uomini e donne del Molise e dell’Abruzzo, perseverando in una devozione che è tanto profondamente inscritta nelle tradizioni dei vostri avi. Non è egli forse un magnifico esempio per ogni laico impegnato che, all’interno della parrocchia e dei vari movimenti ecclesiali, voglia rendere la sua coraggiosa testimonianza a Cristo?
A san Giuseppe ricorrete in particolare voi, sacerdoti e religiosi, voi anime consacrate, che nella sua castità verginale e nella sua spirituale paternità vedete rispecchiati gli ideali più alti della vostra vocazione. Egli vi insegna l’amore al raccoglimento e alla preghiera, la fedeltà generosa agli impegni assunti davanti a Dio e alla Chiesa, la dedizione disinteressata alla Comunità nella quale la Provvidenza vi ha posti, per quanto piccola e ignorata sia. Nella luce del suo esempio voi potete imparare ad apprezzare il valore di tutto ciò che è umile, semplice, nascosto, di ciò che si compie, senza appariscenze e senza clamori, ma con effetti decisivi, nelle profondità insondabili del cuore.
E voi, famiglie di oggi, che state vivendo le rapide trasformazioni della società contemporanea e ne subite a volte preoccupanti contraccolpi, voi potete trovare nella famiglia di Nazaret, su cui Giuseppe vigilava con trepida cura, il modello sempre attuale di una comunità di persone, nella quale l’amore assicuri un’intesa ogni giorno rinnovata. Invocando Gesù, Maria, Giuseppe, possano i componenti di ogni famiglia delle vostre Comunità ecclesiali ritrovare nei vari momenti della loro esistenza la gioia del dono reciproco, il conforto della solidarietà nelle prove, la pace serena di chi sa di poter contare sulla onnipresente, se pur misteriosa, Provvidenza divina.
“Egli mi invocherà: Tu sei mio Padre”. Come san Giuseppe, invocate anche voi con una preghiera assidua e fervorosa il Padre celeste e sperimenterete anche voi, come lui, la verità delle successive parole del Salmo: “Gli conserverò sempre la mia grazia, la mia alleanza gli sarà fedele” (Sal 89, 29).
Così sia!
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