MESSA PER GLI STUDENTI E I DOCENTI DEGLI ATENEI ROMANI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Basilica Vaticana - Giovedì, 13 dicembre 1990
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).
1. Gesù parla con Nicodemo. L’interlocutore di Gesù è un conoscitore della Scrittura, è un uomo di animo nobile. Vive della fede d’Israele, quindi vive nell’attesa dell’Avvento della promessa di cui parlano le Scritture: Mosè e i Profeti.
Gesù parla con Nicodemo. Gli dice che l’Avvento dell’antica alleanza ha raggiunto la sua realizzazione. Dalla promessa è emersa la Verità. Al posto delle previsioni che adombravano il tempo futuro è subentrata la realtà. Questa realtà è il Figlio mandato da Dio nel mondo. Dio è il Padre. Israele ha creduto nella paternità di Dio, l’ha sperimentata nel corso della sua storia. Proprio per questo ha perseverato nell’aspettare la realizzazione delle promesse. L’intero Avvento è stato intessuto dalla fede d’Israele e dalle sue attese. Basta seguire la liturgia quotidiana di questo periodo per averne una riprova. Vi è in essa soprattutto l’Antico Testamento: mediante la lettura di Isaia e di altri scritti profetici ci avviciniamo fino alla soglia del loro compimento con la figura di Giovanni Battista al Giordano.
2. Nel colloquio notturno con Nicodemo Gesù spiega come l’Avvento dell’Antico Testamento ha raggiunto già il suo compimento. Questo compimento è il Figlio, il Figlio Unigenito dato dal Padre. Queste parole costituiscono una novità assoluta per l’uomo dell’antica alleanza. Vi è contenuto in esse il nucleo stesso della nuova alleanza, con cui il pensiero religioso di Nicodemo, di Israele e dell’intera umanità si assuefarà con difficoltà. Incontrerà diverse resistenze quando Cristo, compiendo in mezzo al popolo la sua missione messianica, si riferirà alle promesse dei profeti. Questa novità - il Figlio Unigenito, il Figlio della stessa sostanza del Padre, come Uomo, come Figlio di Maria Vergine di Nazaret, concepito per opera dello Spirito Paraclito - questa novità continua a incontrare resistenze, non soltanto a motivo di un certo agnosticismo religioso o, addirittura, di alcuni atteggiamenti atei d’Occidente, ma incontra resistenze anche in varie tradizioni del pensiero religioso d’Oriente.
La realizzazione del primo Avvento è un rivelarsi del mistero di Dio, che supera le vie del pensiero umano. Anche del pensiero umano su Dio, del pensiero che pur desidera nutrirsi di cibo spirituale.
3. L’essenza della realizzazione del primo Avvento: l’Avvento dell’Antico Testamento, viene espressa nel colloquio con Nicodemo dalle ulteriori parole di Gesù: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 1, 17).
La missione del Figlio è un Dono assoluto. In esso Dio, nel suo mistero trinitario, diventa Dono per l’uomo. Ha dato “il suo Figlio Unigenito”. E questo Dono edifica la “vita eterna”. Questo Dono ha importanza salvifica. Mediante questo Dono l’uomo diventa partecipe del Bene assoluto. Un tale Bene non sono il mondo e tutto il creato, ma soltanto Dio.
L’Avvento realizzato in Cristo costituisce nella storia dell’umanità la realtà della salvezza. Della salvezza che viene da Dio: “Il vostro Dio . . . viene a salvarvi” (Is 35, 4). Questa realtà trova corrispondenza nella formazione dello spirito umano. Tutto ciò cui aspira l’uomo è, in definitiva, orientato verso il Bene Assoluto. “Irrequieto è il nostro cuore fino a quando non riposa in te” (sant’Agostino, Confessiones, 1, 1), grida Agostino.
Il Vangelo riconferma questo orientamento fondamentale dello spirito umano. Lo riconferma rivelando la verità sulla salvezza che per l’uomo è il Figlio Unigenito.
4. In genere, per le religioni dell’Oriente, storicamente più antiche del cristianesimo, il motivo soteriologico è centrale. In esse si mette in rilievo in modo radicale il fatto che il mondo creato non può essere per l’uomo sorgente di salvezza. Ogni attaccamento al creato costituisce fonte di male e di sofferenza. La salvezza consiste, quindi, nella liberazione radicale dell’uomo da tali attaccamenti.
Potrebbe sembrare che il motivo soteriologico avvicini queste tradizioni religiose al cristianesimo. Ma l’esperienza di millenni indica che l’accostamento è difficile.
La soglia della differenziazione sembra essere la verità sul Dio che ha amato il mondo. Cristo è ammirato da molti pensatori dell’Oriente, tuttavia nella tradizione del pensiero soteriologico sembra impossibile che Dio possa “dare” se stesso, farsi dono nel Figlio, venendo nel mondo.
5. Con la venuta del Figlio si è aperto l’Avvento della nuova alleanza che è l’alleanza eterna. Questa alleanza non ha un proprio compimento, né dimensione temporale, né storia umana. È l’alleanza escatologica che ha il suo compimento in Dio stesso, nella vita trinitaria. Questo compimento si realizza mediante l’amore che “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5, 5). Lo Spirito ci è stato dato in virtù del sacrificio di Cristo. Egli è il Paraclito nel quale questo sacrificio redentore porta frutti per la vita eterna: per la salvezza mediante la partecipazione al mistero di Dio conosciuto “faccia a faccia” (cf. 1 Cor 13, 12).
Tale conoscenza “faccia a faccia” è il compimento definitivo dell’Avvento della nuova alleanza. Essa è quella “casa” che l’eterna Sapienza si è costruita, secondo le parole dell’odierna liturgia (cf. Sap 9, 1). Essa, in definitiva, porta la felicità, perché è ripiena di Amore: un Amore maturo, che ha ricevuto in sé la dimensione interiore del Paraclito: dello Spirito che “scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1 Cor 2, 10). E qui, nella nostra vita temporale, lo Spirito di Cristo “intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Rm 8, 26), allorché non ridestiamo in noi il desiderio salvifico di Dio, anzi lo soffochiamo.
6. Con questi pensieri nel cuore, desidero esprimere il mio cordiale saluto a tutti voi, docenti, studenti e personale tecnico-amministrativo delle Università Romane. Ringrazio vivamente i rettori delle Università italiane per la loro partecipazione a questa assemblea spirituale in preparazione alle feste natalizie. Mi è gradito vedere in questa assemblea un felice momento di realizzazione della “Universitas magistrorum et scholarium”, vera comunità che vive la responsabilità e la gioia di ricercare la verità, di trovarla e di comunicarla in tutti gli ambiti del sapere.
La ricerca culturale può far emergere e approfondire la sete di Dio e della sua salvezza, ma può anche bloccare o soffocare questa tendenza connaturale all’uomo. Occorre evitare il pericolo di limitare il campo dello scibile a ciò che è sperimentabile e misurabile, trascurando i valori della bontà, della bellezza, dell’amore, della spiritualità ed eliminando le domande fondamentali sul senso della vita e della storia; anche se oggi la scienza stessa avverte sempre più i suoi limiti e constata l’insondabilità del mistero dell’uomo e del cosmo.
D’altra parte la crescente specializzazione e frammentazione delle discipline scientifiche creano una certa incomunicabilità tra scienza e scienza, impedendo una visione globale dell’uomo. Inoltre l’alleanza tra scienza e tecnica in una società produttivistica spinge a svalutare le discipline umanistiche e il loro linguaggio simbolico, che è una via alla trascendenza. Una maggiore interdisciplinarità e un più vivo approfondimento delle scienze umane possono far superare quelle barriere che impediscono di cogliere l’uomo nei suoi valori spirituali, etici e trascendenti.
L’impegno dei credenti, i quali studiano nelle Università, deve indirizzare il sapere verso la centralità dell’uomo e verso l’interrogativo fondamentale: “se l’uomo trovi la speranza unicamente in se stesso, nei propri mezzi, nella Società e nel cosmo, o se possa confidare nell’intervento di una Parola divina” (Consiglio Permanente della CEI, Lettera su alcuni problemi dell’Università e della cultura in Italia, 4).
Cari docenti e studenti, conosco il disagio e le difficoltà che si sono manifestate, soprattutto negli ultimi mesi, nelle Università italiane, e in quelle di Roma in particolare: auguro che attraverso gli opportuni provvedimenti si possano creare le condizioni favorevoli affinché venga realizzata quella comunità di ricerca, tanto necessaria a un fecondo dialogo interdisciplinare e all’emergenza delle domande radicali sull’uomo e sul suo destino.
A questo scopo, è necessario che nell’Università i credenti si adoperino per trovare spazi di incontro, di riflessione e di preghiera; e che le associazioni e i movimenti, presenti nell’istituzione accademica, operino in comunione, sotto la guida del vescovo, per testimoniare la propria fede e irradiare quella luce che Cristo offre a chi cerca la verità per il bene dell’uomo.
7. La ricerca della verità è la prima e fondamentale aspirazione dell’uomo; è stata la fatica più nobile dei grandi intelletti di ogni tempo; è stata la passione segreta di Nicodemo, l’interlocutore notturno di Gesù circa il problema della salvezza eterna.
Anche la verità dell’Avvento si inserisce in questa vasta problematica, recandoci la risposta di Dio. Questa risposta può subire minacce nell’uomo e nelle singole epoche, in cui egli si trova a vivere. Anzi, può essere minacciata la stessa domanda.
Talora l’uomo non vede la necessità di una domanda. È così assorbito dal “mondo” da non vedere la necessità dell’amore più grande di questo mondo, la necessità del Figlio, dato dal Padre al mondo e all’uomo “perché non muoia”. L’uomo dimentica che può morire, sebbene il “mondo” glielo ricordi costantemente. Perciò alla spiritualità d’Avvento appartengono pure le parole di Cristo sul giudizio: “Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3, 19).
Esiste, quindi, questo grave giudizio sulle nostre opere. Occorre osservare assiduamente quale amore è più grande in noi: se l’amore alla luce, oppure l’amore alle tenebre.
Cristo, nel proclamare, ancora una volta, nella notte di Natale, che la luce è venuta nel mondo, ci invita a rivolgere un tale sguardo, che è lo sguardo della fede salvifica.
“Guardate a lui e sarete raggianti non saranno confusi i vostri volti” (Sal 33, 6). E nello stesso tempo, dalla soglia della casa, che l’Eterna Sapienza si è costruita nella storia dell’uomo, Cristo ci dice: “Venite, mangiate il mio pane” (Pr 9, 5).
Questo è il cibo di vita eterna. Amen!
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