VISITA PASTORALE NELL’ARCIDIOCESI
DI SORRENTO-CASTELLAMMARE DI STABIA
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Solennità di San Giuseppe
Castellammare di Stabia (Napoli) - Giovedì, 19 marzo 1992
1. “Ti ho costituito padre di molti popoli” (Rm 4, 17).
Oggi, solennità di San Giuseppe, la Chiesa ritorna alle origini dell’Alleanza salvifica di Dio con l’umanità. Per comprendere quel che il Vangelo di Matteo dice su Giuseppe di Nazaret, è necessario prestare attenzione alle parole rivolte un tempo da Dio ad Abramo: “Ti ho costituito padre di molti popoli”. Abramo, secondo la carne, fu padre di Isacco. Da questi nacque Giacobbe, che egli chiamò Israele. Questa genealogia umana ha nella Sacra Scrittura un grande significato. Più importante, però, è la genealogia della fede. Mediante la fede Abramo è diventato padre di molti popoli. La promessa, infatti, gli fu data “in virtù della giustizia che viene dalla fede” - come scrive San Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 4, 13).
2. In questa genealogia, in questa eredità - eredità mediante la fede - s’inserisce Giuseppe, il carpentiere di Nazaret, lo sposo di Maria. Il testo di Matteo mostra la fede di Giuseppe in un momento chiave della storia della salvezza. Come molto tempo prima Abramo aveva accolto nella fede l’annuncio della promessa salvifica di Dio, così Giuseppe ha accolto la verità circa il compimento di tale promessa in Maria. Ha creduto che Ella “si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (Mt 1, 18) Ha creduto come Ella stessa, Maria, aveva creduto all’annuncio dell’angelo, nel momento dell’Annunciazione. Ha creduto in Dio, perché a Lui nulla è impossibile (cf. Lc 1, 37). A Lui, l’unico, Colui “che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono” (Rm 4, 17). Così ha creduto Giuseppe e, mediante questa fede, non solo si è associato alla grande eredità della fede, che ha la sua origine in Abramo, ma, nell’ambito di tale eredità, ha dato compimento a una chiamata e a una missione totalmente eccezionali, che ha realizzato accanto a Maria e con Lei.
3. “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1, 20). In questo momento si rivestono di realtà le parole che il Dio di Israele aveva indirizzato molto tempo prima a Davide, per bocca del profeta Natan: “Io assicurerò dopo di te la discendenza . . . Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio” (2 Sam 7, 12. 14). “Egli mi invocherà: Tu sei mio padre” (Sal 89, 27). Gesù che, per opera dello Spirito Santo, è nato dalla Vergine Maria, ha compiuto questa profezia. Egli solo, tra i figli dell’uomo, poteva gridare a Dio: “Abba”, “Padre!”. “Abba”! poteva dirlo al Padre solo Colui che ne era il Figlio, l’Unigenito. Gesù Cristo ha insegnato e permesso anche a noi tutti di chiamare Dio: Padre, “Padre nostro” (Mt 6, 9). La genealogia di Giuseppe di Nazaret indica la sua discendenza davidica: era della casa e della discendenza di Davide (cf. Lc 1, 27); tuttavia, non la genealogia secondo la carne, bensì quella secondo lo spirito, lo rese “padre di molti popoli”, a somiglianza di Abramo. Come Abramo anche Giuseppe ha avuto fede in Dio. Gesù di Nazaret, che chiama Dio: “Abba, Padre!”, quale primogenito fra molti fratelli (cf. Rm 8, 29), anche mediante la fede di Giuseppe ha esteso l’accesso alla paternità divina a tutti coloro che insieme a lui dicono a Dio: “Padre nostro”. Sulla paternità di Giuseppe, che nella fede prende parte in maniera speciale a questa genealogia spirituale, si edifica tutta la Chiesa: dal punto di vista umano, è paternità putativa, dal punto di vista del mistero divino, è paternità dallo Spirito Santo. E l’intera Chiesa venera Giuseppe di Nazaret in modo singolare e straordinario.
4. È ormai abitudine consolidata che, nella solennità di San Giuseppe, il Papa faccia un pellegrinaggio per visitare sempre nuove località d’Italia. Oggi si trova nella Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, in pellegrinaggio, insieme con San Giuseppe, presso un santuario particolare: quello della famiglia e del lavoro. Le origini di tale santuario sono descritte nel Vangelo, specialmente da Matteo e da Luca, e trovano la loro prima espressione nella casa di Nazaret e nella bottega di artigiano di colui, che è diventato Redemptoris custos. Si tratta di un santuario che appartiene, in modo integrale, al mistero dell’Incarnazione. Appartiene anche alla realtà della Chiesa. È il santuario più comune, presente in un certo senso dappertutto: dovunque la vita umana nasce e si forma all’interno della comunità della famiglia e del lavoro. Il lavoro ha tante forme: è lì che si può ritrovare l’eredità della casa di Nazaret.
Questo santuario nasconde in sé il divino mistero dell’Incarnazione. Colui al quale il Padre dice: “Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato” (Eb 5, 5), ne costituisce il centro, in quanto figlio di Maria. Giuseppe è il custode di così ineffabile mistero divino. Anche in lui si compiono le parole che Dio, una volta, indirizzò ad Abramo: “Ti ho costituito padre di molti popoli”. Mediante la fede Giuseppe è padre. Mettendo in rilievo il particolare legame esistente tra famiglia e lavoro dell’uomo - un legame sacro - ci è dato di partecipare al mistero della santità di Dio, grazie a ciò che costituisce il sostrato e il contenuto della vita di tutti gli uomini. Davvero grande, immensamente vasto è questo santuario nel quale la Chiesa si reca come pellegrina insieme con il suo patrono Giuseppe di Nazaret, il 19 marzo di ogni anno.
5. Con tali sentimenti, esprimo la gioia di trovarmi fra voi quest’oggi e vi ringrazio per la vostra calda accoglienza. Saluto, in particolare, il Pastore della Vostra Arcidiocesi, il carissimo Monsignor Felice Cece, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i laici attivamente impegnati nell’apostolato e le molteplici componenti del popolo cristiano di Sorrento e di Castellammare di Stabia. Saluto, poi, le autorità civili, militari e politiche qui presenti. Mi rivolgo con affetto soprattutto a voi famiglie e a voi giovani. Care famiglie, nella vostra terra sono molti i problemi, ma c’è una grande ricchezza su cui potete contare: il senso profondo e sacro della famiglia. Una famiglia salda può costituire il rimedio per tante gravi e insidiose problematiche; fondata sulla roccia dei principi religiosi e morali, essa è ancora di salvezza, capace di sottrarre al naufragio le migliori energie dell’umanità, rimettendole in campo per rinnovare il tessuto sociale. Non cedete alla cultura della morte. Non cedete alla forza della violenza. Non abituatevi ad assistere impotenti al dilagare del crimine che mina alla base le strutture della vostra società. Siate fiduciosi nell’aiuto di Dio e coraggiosi nel combattere uniti contro i mali. Siate dunque, famiglie cristiane, il tesoro e il presidio della vostra società. Rinsaldate la vostra comunione rigenerandola alle sorgenti della fede. Accogliete i figli come frutto e sigillo dell’amore. Ogni figlio che nasce, con la sua irripetibile identità, è dono del Signore e ne reca l’immagine. Preoccupatevi della loro educazione morale e religiosa; iniziateli a un itinerario di fede con le parole e ancor più con l’esempio. Le vostre case siano insieme santuari della vita e scuole di donazione perseverante e gratuita al servizio dei bisognosi: degli ammalati, degli anziani, degli emarginati, dei bambini. Siano chiese domestiche dove i giovani, guardando anche ai genitori, possano scoprire il senso della loro particolare vocazione. Come la Famiglia di Nazaret fu culla della Chiesa, così ogni famiglia cristiana è chiamata ad essere culla di vocazioni laicali e di speciale consacrazione. Care famiglie, i giovani sono alla ricerca di ideali grandi e impegnativi. Aiutateli a dedicarsi senza sosta alla costruzione della civiltà dell’amore.
6. E voi, giovani, siate degni delle migliori tradizioni della vostra Chiesa facendo tesoro delle grandi risorse spirituali che la caratterizzano. Vi sentite, oggi, non di rado costretti a misurarvi con una cultura ambigua e contraddittoria. Accanto a testimonianze di amore avete dinanzi a voi spettacoli di violenza; al desiderio di costruire una società migliore, suscitato in voi dall’adesione al Vangelo, si contrappongono molti richiami consumistici che paralizzano ogni generoso impegno. Siete chiamati a scegliere. A scegliere forse il sentiero più lungo e più duro, ma che è l’unico a condurvi alle vette della piena umanità e della santità. Cristo è con voi. Lasciatevi guidare da Lui per le sue strade. Evitate le illusorie e pericolose scorciatoie che portano alla insoddisfazione del cuore e all’appiattimento dello spirito. Siate veramente giovani: giovani fino in fondo. Abbiate orrore dei facili, ma tragici miraggi del piacere, del denaro e del potere. Dio è giovinezza, e solo chi vive di lui, ha il segreto della giovinezza.
7. Carissimi fratelli e sorelle! Nel corso dell’odierna liturgia viene a noi disvelato, ancora una volta, il disegno provvidenziale manifestato nel santuario di Nazaret. San Giuseppe, sposo della Vergine Maria, ha creduto e, come Abramo, ha sperato contro ogni speranza. Caro San Giuseppe, aiuta anche noi a fidarci di Dio. Sempre. Aiutaci a credere al compimento delle promesse divine.
Aiuta anche noi a ripetere con te: “Tu sei fedele, Signore, alle tue promesse” (Salmo resp.).
Amen.
Al termine della celebrazione eucaristica, il Papa si congeda dai fedeli presenti e dall’intera Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia con queste parole.
Carissimi fratelli e sorelle, voglio ringraziare insieme con voi la Provvidenza per questa bella giornata, solennità di san Giuseppe. Incominciando la visita alla vostra arcidiocesi, a Sorrento, questa mattina, ho chiesto perché il Papa è venuto qui. È venuto soprattutto per passare in preghiera insieme con voi questa solennità grande. E voglio ringraziare adesso tutti quelli che mi hanno accompagnato in questa preghiera, a Sorrento, poi qui a Castellammare, ai cantieri navali, specialmente durante questa santa celebrazione eucaristica. Ringraziamo la Vergine Maria, ringraziamo il suo sposo verginale, che hanno guidato questa nostra preghiera liturgica.
Ho cercato in questa preghiera di inserire tutte le vostre preoccupazioni, tutte le vostre intenzioni, le vostre preghiere. La vostra comunità, il vostro popolo, la società meridionale hanno grande bisogno di pace, di sicurezza sociale. E questa sia l’ultima consegna, ma soprattutto l’ultimo augurio che voglio lasciarvi. Vi auguro questa pace, vi auguro questa speranza per un futuro sempre migliore nei diversi aspetti della vostra vita, ma soprattutto in quelli più preoccupanti. E ancora una volta vi dico un grande grazie di tutto cuore.
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