BEATIFICAZIONE DEI SERVI DI DIO
JOSEMARÍA ESCRIVÁ DE BALAGUER E GIUSEPPINA BAKHITA
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 17 maggio 1992
“È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22).
1. Ai due discepoli, lungo la strada per Emmaus, Gesù disse: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).
La prima lettura, inoltre, ci ha fatto ascoltare gli Apostoli - Paolo e Barnaba - che “rianimano ed esortano i discepoli a restare saldi nella fede” (cf. At 14,22). Essi annunziano la stessa verità di cui aveva parlato Cristo sulla strada verso Emmaus; una verità confermata dalla sua vita e dalla sua morte: “È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”.
I discepoli di Cristo crocifisso e risorto - attraverso il succedersi delle generazioni nel corso dei secoli - scelgono la stessa via che Egli aveva loro indicato. “Vi ho dato infatti l’esempio” (Gv 13,15).
2. Oggi ci è offerta l’occasione di fissare ancora una volta il nostro sguardo su questa via salvifica - la via verso la santità - soffermandoci sulle figure di due persone, che d’ora in poi chiameremo “beate”: Josemaría Escrivá de Balaguer, sacerdote, fondatore dell’“Opus Dei”, e Giuseppina Bakhita, Figlia della Carità, canossiana.
La Chiesa desidera servire e professare tutta la verità su Cristo, desidera essere dispensatrice di tutto il mistero del suo Redentore. Se la via verso il Regno di Dio passa attraverso molte tribolazioni, allora alla sua fine si trova anche la partecipazione alla gloria, quella gloria che Cristo ci ha rivelato nella sua Risurrezione.
La misura di tale gloria è data dalla Nuova Gerusalemme, annunziata dalle parole ispirate dell’Apocalisse di Giovanni: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo popolo ed egli sarà il «Dio-con-loro»” (Ap 21, 3).
“Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5) dice il Signore glorioso. La strada verso quella definitiva “novità” di ogni cosa passa, qui sulla terra, attraverso il “comandamento nuovo”: “che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato” (Gv 13, 34). Tale comandamento fu al centro della vita di due esemplari figli della Chiesa che oggi, nella letizia pasquale, sono proclamati beati.
3. Josemaría Escrivá de Balaguer, nacido en el seno de una familia profundamente cristiana, ya en la adolescencia percibió la llamada de Dios a una vida de mayor entrega. Pocos años después de ser ordenado sacerdote dio inicio a la misión fundacional a la que dedicaría 47 años de amorosa e infatigable solicitud en favor de los sacerdotes y laicos de lo que hoy es la Prelatura del Opus Dei.
La vida espiritual y apostólica del nuevo beato estuvo fundamentada en saberse, por la fe, hijo de Dios en Cristo. De esta fe se alimentaba su amor al Señor, su ímpetu evangelizador, su alegría constante, incluso en las grandes pruebas y dificultades que hubo de superar. «Tener la cruz es encontrar la felicidad, la alegría —nos dice en una de sus Meditaciones— tener la cruz es identificarse con Cristo, es ser Cristo y, por eso, ser hijo de Dios».
Con sobrenatural intuición, el beato Josemaría predicó incansablemente la llamada universal a la santidad y al apostolado. Cristo convoca a todos a santificarse en la realidad de la vida cotidiana; por eso, el trabajo es también medio de santificación personal y de apostolado cuando se vive en unión con Jesucristo, pues el Hijo de Dios, al encarnarse, se ha unido en cierto modo a toda la realidad del hombre y a toda la creación (cfr. Dominum et vivificantem, 50). En una sociedad en la que el afán desenfrenado de poseer cosas materiales las convierte en un ídolo y motivo de alejamiento de Dios, el nuevo beato nos recuerda que estas mismas realidades, criaturas de Dios y del ingenio humano, si se usan rectamente para gloria del Creador y al servicio de los hermanos, pueden ser camino para el encuentro de los hombres con Cristo. «Todas las cosas de la tierra-enseñaba-también las actividades terrenas y temporales de los hombres, han de ser llevadas a Dios» (Carta del 19 de marzo de 1954).
«Bendeciré tu nombre por siempre jamás, Dios mío, mi rey». Esta aclamación que hemos hecho en el salmo responsorial es como el compendio de la vida espiritual del beato Josemaría. Su gran amor a Cristo, por quien se siente fascinado, le lleva a consagrarse para siempre a él y a participar en el misterio de su pasión y resurrección. Al mismo tiempo, su amor filial a la Virgen María le inclina a imitar sus virtudes. «Bendeciré tu nombre por siempre jamás»: he aquí el himno que brotaba espontáneamente de su alma y que le impulsaba a ofrecer a Dios todo lo suyo y cuanto le rodeaba. En efecto, su vida se reviste de humanismo cristiano con el sello inconfundible de la bondad, la mansedumbre de corazón, el sufrimiento escondido con el que Dios purifica y santifica a sus elegidos.
[Josemaría Escrivá de Balaguer, nato in seno a una famiglia profondamente cristiana, già nell’adolescenza percepì la chiamata di Dio a una vita di maggior donazione. Pochi anni dopo essere stato ordinato sacerdote diede inizio alla missione fondazionale alla quale avrebbe dedicato 47 anni di amorosa e infaticabile sollecitudine in favore dei sacerdoti e dei laici di quella che oggi è la Prelatura dell’Opus Dei.
La vita spirituale e apostolica del nuovo beato si fondava sul sapersi, tramite la fede, figlio Dio in Cristo. Di questa fede si alimentavano il suo amore per il Signore, il suo zelo evangelizzatore, la sua allegria costante, anche nelle grandi prove e difficoltà che dovette superare. “Avere la croce è trovare la felicità, la gioia”, ci dice in una delle sue Meditazioni; “avere la Croce è identificarsi con Cristo, è essere Cristo e, per questo, essere figlio di Dio”.
5. Anche nella Beata Giuseppina Bakhita troviamo una testimone eminente dell’amore paterno di Dio ed un segno luminoso della perenne attualità delle Beatitudini. Nata in Sudan, nel 1869, rapita da negrieri quando era ancora bambina, e venduta più volte sui mercati africani, conobbe le atrocità di una schiavitù che lasciò nel suo corpo i segni profondi della crudeltà umana. Nonostante queste esperienze di dolore, la sua innocenza rimase integra, ricca di speranza. “Da schiava non mi sono mai disperata - diceva - perché sentivo dentro di me una forza misteriosa che mi sosteneva”. Il nome di Bakhita - come l’avevano chiamata i suoi rapitori - significa Fortunata e tale infatti diventò, grazie al Dio di ogni consolazione, che sempre la teneva per mano e le camminava accanto.
Giunta a Venezia, per le vie misteriose della Divina Provvidenza, Bakhita ben presto si apriva alla grazia. Il battesimo e, dopo alcuni anni, la professione religiosa tra le Suore Canossiane, che l’avevano accolta ed istruita, furono le conseguenze logiche della scoperta del tesoro evangelico, per il quale sacrificò tutto, anche il suo ritorno, da libera, nella terra natale. Come Maddalena di Canossa, anch’ella voleva vivere per Dio solo, e con eroica costanza si avviò umile e fiduciosa per la strada della fedeltà all’amore più grande. La sua fede era salda, limpida, ardente. “Sapeste che grande gioia è conoscere Dio!”, soleva ripetere.
6. La nuova Beata trascorse 51 anni di vita religiosa canossiana, lasciandosi guidare dall’obbedienza in un impegno quotidiano, umile e nascosto, ma ricco di genuina carità e di preghiera. Gli abitanti di Schio, ove risiedette per quasi tutto il tempo, ben presto scoprirono nella loro “Madre Moretta” - così la chiamavano - un’umanità ricca nel dono, una forza interiore non comune che trascinava. La sua vita si consumò in una incessante preghiera dal respiro missionario, in una fedeltà umile ed eroica alla carità, che le consentì di vivere la libertà dei figli di Dio e di promuoverla attorno a sé.
Nel nostro tempo, in cui la corsa sfrenata al potere, al denaro, al godimento causa tanta sfiducia, violenza e solitudine, Suor Bakhita ci viene ridonata dal Signore come sorella universale, perché ci riveli il segreto della felicità più vera: le Beatitudini.
Il suo è un messaggio di bontà eroica ad immagine della bontà del Padre celeste. Ella ci ha lasciato una testimonianza di riconciliazione e di perdono evangelici, che recherà sicuramente conforto ai cristiani della sua patria, il Sudan, così duramente provati da un conflitto che dura da molti anni e che ha provocato tante vittime. La loro fedeltà e la loro speranza sono motivo di fierezza e di azione di grazie per tutta la Chiesa. In questo momento di grandi tribolazioni, Suor Bakhita li precede sulla via dell’imitazione di Cristo, dell’approfondimento della vita cristiana e dell’incrollabile attaccamento alla Chiesa. Nello stesso tempo desidero, ancora una volta, rivolgere un accorato appello ai responsabili delle sorti del Sudan, affinché diano realizzazione agli asseriti ideali di pace e di concordia; affinché il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo - e in primo luogo del diritto alla libertà religiosa - sia a tutti garantito, senza discriminazioni etniche o religiose.
Preoccupa grandemente la situazione delle centinaia di migliaia di profughi dalle regioni meridionali, che la guerra ha costretto ad abbandonare casa e lavoro; recentemente sono stati obbligati a lasciare anche i campi dove avevano trovato una qualche forma di assistenza e sono stati trasportati in luoghi desertici ed è stato perfino impedito il libero passaggio ai convogli di soccorsi delle agenzie internazionali. La loro situazione è tragica e non può lasciarci insensibili.
Raccomando vivamente agli Enti internazionali di assistenza di volere continuare ad inviare il loro provvido, necessario e urgente aiuto.
Mentre saluto la delegazione della Chiesa del Sudan, presente a questa celebrazione, rivolgo un affettuoso pensiero, accompagnato dalla preghiera, a tutta la Chiesa in quel Paese: ai Vescovi, al Clero diocesano e Missionario, ai laici impegnati nella pastorale, ed anche ai catechisti, collaboratori generosi e necessari per la propagazione della Verità, della Parola e dell’Amore di Dio.
Le popolazioni del Sudan sono sempre presenti nel mio cuore e nelle mie preghiere: le affido all’intercessione della nuova Beata Giuseppina Bakhita.
7. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 34-35). Con queste parole di Gesù si conclude il Vangelo della Messa di oggi.
In questa frase evangelica troviamo la sintesi di ogni santità; della santità che hanno raggiunto, per strade diverse ma convergenti nella stessa ed unica mèta, Josemaría Escrivá de Balaguer e Giuseppina Bakhita. Essi hanno amato Dio con tutta la forza del loro cuore ed hanno dato prova di una carità spinta fino all’eroismo mediante le opere di servizio agli uomini, loro fratelli. Perciò la Chiesa li eleva oggi agli onori degli altari e li presenta come esempi nell’imitazione di Cristo, che ci ha amato e ha donato se stesso per ognuno di noi (cf. Gal 2, 20).
8. “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui” (Gv 13, 31): il mistero pasquale della gloria. Attraverso il Figlio dell’uomo questa gloria si estende a tutto il visibile e l’invisibile: “Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno” (Sal 144, 10-11).
Ecco il Figlio dell’uomo: “Non bisognava che . . .sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”.
Ecco coloro che di generazione in generazione hanno seguito Cristo: “Attraverso molte tribolazioni, essi sono entrati nel regno di Dio”.
“Il tuo regno è regno di tutti i secoli” (Sal 144, 13). Amen.
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