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SANTA MESSA PER GLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI ROMA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Mercoledì, 16 dicembre 1992

 

1. Ancora una volta, in questa sera di Avvento, ci troviamo riuniti, come ormai da diversi anni, per partecipare alla liturgia della Parola e dell’Eucaristia. È una bella consuetudine, che risale all’inizio del mio servizio nella sede di Roma, e ad essa sono particolarmente affezionato. Saluto tutti cordialmente. Ringrazio di cuore coloro che qui rappresentano i vari ambienti accademici di Roma e, in modo indiretto, il mondo universitario dell’intera Nazione. Saluto e ringrazio i Rettori, i Professori, gli Studenti. Quest’oggi la Chiesa ci invita ad essere presenti, vigili e oranti insieme ai Profeti e al popolo dell’Antica Alleanza, per aspettare il compimento della promessa messianica, le cui origini risalgono ai primi capitoli della Genesi. La notte di Natale porterà con sé l’attuazione della promessa fatta all’intera umanità nell’Antica Alleanza. Noi, gli uomini della Nuova Alleanza, abbiamo ogni giorno dinanzi la promessa già realizzata. Allo stesso tempo, però, stiamo vivendo un vero avvento: Colui che “è” rimane sempre Colui “che deve venire” (cf. Ap 1, 8).

2. “Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna” (Mt 21, 28). Così dice, nella parabola evangelica, il padre di famiglia ai suoi due figli. Così dice Dio: queste parole contengono una dimensione tipica dell’Avvento. Avvento di Dio è l’intero universo, che nella sua vastità sfugge al controllo dell’uomo. Avvento è anche, e in modo più pieno, questo mondo che l’uomo può controllare e che sin dall’inizio gli è stato affidato dal Signore con un preciso compito: “Riempite la terra e soggiogatela” (cf. Gen 1, 28). Questo mondo costituisce, allora, la vigna evangelica dei disegni del Creatore. L’uomo deve conoscerlo e, in modo creativo, coltivarlo, mai distruggerlo. Questo mondo è la sua eredità, il suo ambiente naturale. Se lo distrugge, condanna se stesso a una morte inevitabile. Penso in questo momento a tutti gli ambienti di lavoro che sono le vostre Università: le Facoltà, le Scuole di Specializzazione, gli Istituti. Ecco “la vigna del divino Logos”, dell’eterna Sapienza, iscritta per sempre nel creato e in tutte le sue dimensioni, dalle macroscopiche alle microscopiche. Voi tutti, che costituite l’ambiente umano di tali Centri di studio e di ricerca, in certo modo state portando a compimento la chiamata del padre di famiglia: “Va’ a lavorare nella vigna”. La compite forse come il primo dei due fratelli di cui ci parla il Vangelo; o forse come il secondo. L’uno disse: “Si, Signore; ma non andò”; l’altro: “Non ne ho voglia, ma poi, pentitosi, ci andò” (Mt 21, 29. 30).

3. “La vigna” è fuori dell’uomo - ma, in maniera più piena, si trova dentro di lui. Questo dato viene dato dal di dentro, dal cuore. Possiamo, quindi, dire che la persona umana rappresenta lo spazio specifico dell’avvento di Dio. L’uomo può entrare in comunione di vita con Dio, come “io”, con l’ineffabile mistero che è per lui il Divino “Tu”: il Dio creatore diventa per l’uomo il Dio dell’Alleanza. All’essere umano è stata offerta la promessa messianica nell’Antica Alleanza e il suo pieno compimento nella Nuova Alleanza. Questa realtà messianica è Cristo, Dio-Uomo-Figlio, che rivela fino in fondo all’uomo chi egli è e quale è il suo definitivo destino, come pure quale è il senso della sua esistenza nel mondo visibile. Carissimi Professori, carissimi giovani! Vi ringrazio per la vostra presenza. Vi ringrazio per l’opportunità che mi offrite di rileggere insieme la verità evangelica di questa vigna che è ciascuno di noi nella sua umanità, nella sua unica ed irripetibile personalità. Alla luce di tale rilettura le parole del padre di famiglia: “va’ a lavorare nella vigna” si rivestono di particolare eloquenza. L’“io”, ciascuno di noi, è la vigna che il Padre desidera coltivare nel suo Unigenito Figlio, in Cristo che è la vite. Cristo è la vite, noi siamo i tralci. Ecco, in un certo modo, il senso più profondo della realtà messianica. Dio si offre - lo Spirito santificante ci rende partecipi della natura divina e l’uomo può rispondere come il secondo dei figli: “Non ne ho voglia”; oppure come il primo: “Vado”. L’Avvento di Dio si ferma, per così dire, sulla soglia della volontà umana.

4. Il tempo liturgico che stiamo vivendo ci è dato affinché diventiamo sempre più consapevoli della presenza di Colui che continuamente viene, che sta alla porta e bussa (cf. Ap 3, 20). Quanto meraviglioso è Dio - questo Dio, la cui venuta nel Cristo appartiene contemporaneamente alla storia dell’intera umanità e a quella di ciascun uomo, di ognuno di noi. L’Avvento, pertanto, ci è dato perché ci chiediamo, nell’intimo della nostra coscienza, quale è la nostra risposta: sono come il primo figlio che dice “vado” e poi non mantiene la parola; oppure come il secondo, che prima nega e poi va: “pentitosi, vi andò” (Mt 21, 30)?

5. Se l’Avvento è un tempo liturgico della Chiesa, esso è ancor più una dimensione costante della sua esistenza e della sua missione. “La Chiesa, infatti, - insegna il Concilio - è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio” (Lumen gentium, 1). Questa Chiesa è il Popolo della Nuova Alleanza, è la comunità degli uomini chiamati a vivere nel compimento della promessa messianica e invitati, al tempo stesso, a costituire l’incarnazione della realtà messianica della salvezza e della trasfigurazione, la partecipazione della natura divina all’uomo e al mondo. La Chiesa è la vigna in cui si realizza questa vocazione in Gesù Cristo, che è diventata ormai eredità della famiglia umana. Essa è il sacramento fondamentale in cui, mediante i sacramenti della fede, si va compiendo il processo di rigenerazione e di santificazione nello Spirito Santo di tutti i credenti.

Carissimi! Questo Avvento diventi per noi il tempo della rigenerazione e santificazione sacramentale! La penitenza sacramentale, a cui ci invita la liturgia, prepari la venuta eucaristica di Cristo nella nostra vita. Colui che bussa alla porta della dimora interiore di ciascuno di noi possa ricevere l’invito ad entrare. Rendiamoci bene conto che la realtà messianica non è solo la comunione di vita con il Dio dell’Alleanza, ma l’abitare di Dio stesso nell’intimo dell’uomo: “Noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di Lui” (Gv 14, 23). Vorrei ancora rispondere alle vostre parole rivoltemi attraverso i due rappresentanti della vostra comunità universitaria all’inizio della Messa. Soprattutto vorrei ringraziare il Signore per tutti questi incontri. Già sono passati quattordici anni del mio servizio nella Sede di Pietro e una delle prime intuizioni, dei primi desideri è stato appunto quello di incontrarci con i giovani, di incontrarci con gli studenti, con l’ambiente universitario di Roma.

E questo ha cominciato ad andare avanti, specialmente durante l’Avvento. Ma questo ha portato anche a un grande allargamento degli incontri, dopo parecchi anni: specialmente dall’“Anno della Gioventù”, si è trovata l’iniziativa della Giornata Mondiale. Ora quello che era il primo incontro con i giovani di Roma è diventato l’incontro con i giovani del mondo. Noi viviamo un po’ fra un incontro e l’altro: adesso fra Czestochowa-Jasna Gora e Denver. E potrei dire che tutto questo lo devo ai primi incontri, alla prima Messa universitaria in San Pietro celebrata non potrei dire con voi, ma con i vostri “predecessori”, con i vostri colleghi un po’ più anziani, ma ancora sempre giovani. Voglio ringraziarvi per questa vostra grande sensibilità umana e cristiana. Sempre in questi incontri si sono toccati problemi dolenti: le sofferenze di Roma, del vostro Paese, dell’Italia, le sofferenze del mondo. Anche questa sera ho avvertito questa vostra sensibilità per le sofferenze dei Paesi Balcanici, così vicini a noi, della Somalia, in Africa, e di tanti altri ambienti del mondo. Le sofferenze sono di ordine fisico ma soprattutto spirituale.

La compassione, la solidarietà, tutto questo viene direttamente dal Vangelo, tutto questo ci dice sempre che il Signore è vicino, che il Signore si fa conoscere attraverso quelli che soffrono. Questa è una verità centrale su di Lui. Certamente la verità continua, è verità escatologica. “Ho avuto fame, ho avuto sete, ero in prigione”: tutto questo è la realtà di ogni anno, di tutta l’umanità, di tanti popoli formati da nostri fratelli e sorelle. Noi cerchiamo di aprirci a tutti loro, almeno con i nostri cuori, con i nostri aiuti, con il nostro volontariato, per andare incontro a tutte queste sofferenze. Voglio anche ringraziarvi perché i nostri incontri di San Pietro sono diventati sempre più maturi e anche sempre più belli liturgicamente: lo si vede, è frutto di una sempre migliore organizzazione, preparazione, ma anche frutto di una maturazione spirituale.

Questo volevo dirvi prima di concludere la mia omelia. Ma ancora vorrei farvi un augurio che corrisponde alle feste natalizie così vicine all’inizio del nuovo anno. Questo augurio è l’augurio della speranza. Voi giovani siete la speranza! Questo ho detto quasi il primo giorno del mio servizio a Roma: siete la speranza! Lo siete perché siete giovani, perché l’avvenire è davanti a voi: non solamente il vostro avvenire personale, ma l’avvenire di tutto il mondo, delle diverse comunità, di questa vostra Patria italiana, di questa vostra Chiesa di Roma o Chiesa universale, delle diverse Chiese particolari. La speranza, possiamo dire, è lo spirito dell’Avvento. L’Avvento è un periodo “forte”, come si dice nel linguaggio liturgico. Ma è forte soprattutto come tempo di speranza. Si guarda verso il futuro, verso quel giorno quando il canto “Marana-Tha” potrà ricevere una attuazione liturgica, ma anche una sempre più nuova attuazione del Mistero divino-umano, attuazione di questo Mistero del Natale, del Dio-uomo elevato, di questo Dio fattosi uomo.

Vorrei allora esprimere a tutti voi, a tutte le Università romane, a tutte le comunità accademiche e, insieme a voi, ai vostri professori e Rettori, questo augurio di speranza: speranza evangelica, speranza di cui ci parla ogni anno l’“Adventus Domini”, l’Avvento del Signore.

6. La Chiesa è comunità: per questa ragione gli uomini che cercano la via del compimento della promessa messianica di Dio si incontrano in essa. Vorrei riferirmi, dicendo questo, al Sinodo della nostra Diocesi di Roma. Esso si sta svolgendo già da alcuni anni ed è entrato adesso nella fase finale dei suoi lavori. All’Assemblea Sinodale prendono parte solo i rappresentanti della comunità romana, che conta vari milioni di membri, ma essa è idealmente aperta a tutti.

Il Sinodo appare simile all’Avvento. L’Avvento, infatti, non è solo attesa, ma anche preparazione: “Preparate le strade del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Mc 1, 3; cf. Is 40, 3).

“Synodos” è l’incontro, la comunione delle vie. Preghiamo perché nell’esperienza sinodale della Chiesa, che è in Roma, ciascuno di noi ritrovi la propria via sulla quale non cammina da solo. È la via su cui egli procede insieme agli altri. Soprattutto, però, è la via su cui lo invita Cristo per camminare insieme.

“Rabbi . . . dove abiti?”.

“Venite e vedrete”.

“Andarono, dunque, e . . . si fermarono presso di lui” (Gv 1, 38-39).

 

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