MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
A MONS. EVARISTE NGOYAGOYE
PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BURUNDI
A sua eccellenza
mons. Evariste Ngoyagoye,
presidente della Conferenza episcopale
e a tutti i vescovi del Burundi.
1. La difficile situazione che attraversa la Chiesa nel vostro paese è un motivo di profonda preoccupazione e suscita in me il desiderio di esprimervi la mia vicinanza spirituale e di non lasciare questa cara comunità senza una parola d’incoraggiamento e di solidarietà.
Conosco le vostre sofferenze: da qualche anno esse sono andate aggravandosi e sembrano segnare il cammino della croce che voi e i vostri fedeli salite. Infatti i vostri collaboratori più immediati sono stati dolorosamente colpiti dall’allontanamento di numerosi meritevoli missionari, e anche in molte occasioni dalla carcerazione di alcuni sacerdoti. La libertà d’azione pastorale e la celebrazione del culto sono state gravemente ristrette. Infine in questi ultimi giorni misure ancora più dure hanno ferito la Chiesa nella sua struttura vitale e potrebbero compromettere in futuro anche la possibilità della sua missione: improvvisamente si sono susseguite le disposizioni che mirano alla nazionalizzazione delle scuole secondarie cattoliche, dei piccoli seminari e dei seminari medi dei centri “Yaga Mukama” mentre altre hanno avviato la chiusura delle scuole di formazione dei catechisti e dei centri pastorali, come la soppressione dei movimenti di Azione cattolica e di apostolato del laicato. Tutto ciò sembra indicare un deliberato proposito di screditare la Chiesa e i suoi pastori con delle accuse, delle insinuazioni e delle minacce, al fine di emarginare la comunità cattolica, che è vivace e fiorente nelle società del Burundi.
Desidero assicurarvi, fratelli carissimi, la mia viva partecipazione alle prove che voi sopportate, come i primi cristiani, “a causa del nome di Gesù”. Vorrei farmi interprete presso ciascuno di voi della solidarietà di tutta la Chiesa: una solidarietà che si è manifestata ancora in questi ultimi giorni con numerose espressioni pubbliche nelle diverse parti del mondo, particolarmente in Africa, e ovunque si è concretizzata con la preghiera alle vostre intenzioni. Da tutta la Chiesa, infatti, sale verso Dio la fervente supplica che siano accordate grazia e coraggio a voi che siete chiamati a vivere in questo momento della vostra storia, le pagine di ciò che definivo nella lettera apostolica (Salvifici Doloris 25), “il primo grande capitolo del Vangelo delle sofferenze”. Aggiungevo allora: “questo primo capitolo del Vangelo della sofferenza, che parla di persecuzioni, cioè di tribolazioni a causa di Cristo contiene in sé un appello particolare al coraggio e alla forza”. L’Apostolo Paolo, nella lettera ai Romani (Rm 5, 3-4), afferma: “Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza”. Non è quest’esperienza della nascita della forza nella debolezza e di un rinnovamento di energie spirituali che voi siete chiamati a vivere oggi? Non è la risposta consolante e incoraggiante che vi danno i vostri fedeli i quali, al colmo della prova, hanno mostrato una fede accresciuta e una partecipazione più intensa alla vita liturgica? Tutta la Chiesa sostiene la vostra laboriosa e fiduciosa testimonianza, certa che “come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione” (2 Cor 1, 5).
Questa solidarietà fraterna da parte della Chiesa cattolica, fratelli carissimi, vi conforti e rafforzi la vostra unità! A ragione vi preoccupate, nelle difficoltà presenti, di salvaguardare e di ravvivare l’unità nel seno della vostra Chiesa. Infatti solo una comunione intensamente vissuta da tutti i membri della comunità può garantire il successo degli sforzi che voi impiegate per assicurare ai vostri fedeli la partecipazione ai sacramenti, soprattutto all’Eucaristia, e a una catechesi adeguata, nonostante la penuria di operatori apostolici e delle restrizioni che limitano l’esercizio del vostro ministero. Incoraggio e benedico gli sforzi compiuti per radicare sempre più la vostra Chiesa nell’amore di Cristo e nell’unione fraterna.
D’altra parte, sapete bene che l’unità dei discepoli costituisce la suprema testimonianza da dare al mondo, perché crede in Cristo, il Mandato dal Padre (cf. Gv 17, 21). Allo stesso tempo è la migliore garanzia perché la Chiesa sia effettivamente “lievito” nella società umana. Per questo vi esorto nel Signore a non cessare d’essere artefici di unità, per il bene non solo della comunità cristiana, ma di tutta la Nazione di cui siete figli. Spetta al cristiano, infatti, lavorare incessantemente nel concreto quotidiano, con un cuor solo e un’anima sola, affinché scompaiano discordie e rancori, siano superate le lacerazioni e siano tessuti rapporti d’amicizia e di fraternità tra tutti, per instaurare, in un mondo angosciato dalle divisioni e in preda alla paura, un’autentica “civiltà dell’amore”.
2. Fratelli carissimi vi incoraggio insieme ai vostri fedeli a perseguire l’opera che da sempre la Chiesa fedele al “comandamento nuovo” compie instancabilmente nella vostra Patria, perché prevalgono i valori che sono essenziali, direi anzi fondamentali, all’unità: il rispetto dell’uomo, dei suoi diritti, delle sue libertà; la pace frutto della giustizia; lo sviluppo integrale della persona; l’attenzione ai più piccoli e ai più deboli, a chi è oppresso e lasciato in disparte. Le molteplici opere di assistenza e di promozione sociale, che la carità della Chiesa ha realizzato in Burundi, saranno per voi una ricchezza e ispireranno ancora, se necessario, nuove forme d’impegno e nuove strade verso l’unità degli spiriti e dei cuori.
Continuando generosamente, malgrado tutto, un’azione che rivela la vostra missione apostolica, siate coscienti di offrire alla vostra Patria un contributo specifico, arricchito dei valori della vostra cultura che quasi naturalmente vi ha portato all’incontro del Vangelo. Dimostrerete anche in modo convincente che la Chiesa in sé non si sente estranea ad alcun contesto umano, e rappresenta per il Burundi come per ogni altro paese un fattore della comunità nazionale. Nessuno potrà ignorare questa eloquente testimonianza, e auguro che possa contribuire a correggere alcune letture poco obiettive o deformate della realtà burundese, delle quali la Chiesa non ha alcuna responsabilità e che sono state per tutti noi motivo di disagio e di sofferenze.
Confido, fratelli carissimi, che la coerenza del vostro impegno e di quello di tutta la Chiesa locale, come la verità stessa dei fatti, non potranno che favorire la ripresa del dialogo con le autorità dello Stato, vi esorto a cercare ancora con paziente tenacia e una generosa disponibilità. La Chiesa non chiede alcun privilegio. Essa non nutre ambizioni di potenza o di potere. Non intende immischiarsi in campi estranei alla sua missione religiosa. Chiede soltanto di poter compiere, com’è suo diritto, il suo servizio a beneficio dell’uomo, nella verità e nella libertà.
In questo ministero, la Chiesa si trova di fianco allo Stato essendo chiaro che l’uomo appartiene sia alla comunità religiosa che a quella civile. Chiesa e Stato quindi, nella loro rispettiva autonomia, possono solo incontrarsi e collaborare, poiché entrambe servono lo stesso uomo, con i suoi problemi e le sue speranze. Si tratta di un’intesa e di una collaborazione per le quali la Chiesa ha sempre offerto e continuerà a offrire lealtà, rispetto, cordialità e disinteresse. Per questo desidero esprimere il voto, molto più, le speranze che coloro che hanno in mano le sorti della nazione vogliano accogliere la vostra richiesta di un incontro franco e costruttivo, impresso di mutua fiducia. Speriamo tutti che ne risulti una rapida e soddisfacente soluzione dei problemi che vi assalgono, specialmente quello dei seminari, che occupa il primo posto nel cuore della Chiesa e dei suoi pastori.
Fratelli carissimi, vi ho aperto la mia anima con fiducia, volendo darvi una testimonianza della sollecitudine che ho per la Chiesa che è nel Burundi e per la vostra Nazione: essa si è d’altronde manifestata quotidianamente dal mio rappresentante che è tra voi, al quale affido l’incarico di trasmettervi questo messaggio.
Con questi sentimenti invoco di cuore l’abbondanza dei doni del Signore, su voi, miei fratelli nell’episcopato, sui vostri sacerdoti devoti, sui vostri religiosi e religiose, sui missionari che lavorano in seno al vostro popolo, come su coloro che costretti ad abbandonarlo lo portano ancora nel cuore, sui giovani che si preparano a rispondere alla chiamata di Cristo, sui vostri generosi catechisti e su tutti i fratelli e le sorelle del Burundi, e vi accordo un’affettuosa benedizione apostolica.
Dal Vaticano, 10 novembre 1986.
GIOVANNI PAOLO II
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