DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
AI CARDINALI E AI MEMBRI DELLA CURIA ROMANA
PER LO SCAMBIO DEGLI AUGURI NATALIZI
Giovedì, 23 dicembre 1982
Venerati fratelli del Sacro Collegio,
Figli carissimi!
1. L’imminenza del Natale ci trova uniti per il consueto, gradito scambio di auguri. I nostri cuori si effondono nella mutua letizia: “Dominus prope est”! Il Signore è vicino (Fil 4, 5). L’attesa della natività terrena del Figlio di Dio fatto uomo polarizza in questi giorni la nostra attenzione, la nostra vigilanza e la nostra preghiera, l’acuisce, la rende più intensa e umile.
Vi ringrazio pertanto per questa vostra presenza, che ci permette di pregustare, in comunione di spirito, la ricchezza del mistero che stiamo per rivivere. E ringrazio in modo particolare il venerato Cardinale Decano per le appropriate parole che, a nome di voi tutti, mi ha rivolto or ora.
Insieme, andiamo incontro al Redentore che viene: la Liturgia dell’Avvento ci ha ormai disposti in pienezza a questo spirituale viaggio, che va verso l’Atteso dei popoli: l’abbiamo finora percorso in compagnia di Isaia, “tipo” dell’aspettazione messianica; seguendo le orme del Battista, che ancora una volta ha fatto risuonare per noi la sua voce, per “preparare le vie” (cf. Mt 3, 3; Lc 3, 4): e, soprattutto, Maria, la Vergine in ascolto, ci è stata accanto col suo esempio e con la sua intercessione, perché là, dove si attende Gesù, è sempre presente Maria, la “Stella mattutina” che prepara l’avvento del “Sole di Giustizia” (Ml 3, 20).
2. E ora stanno per compiersi i giorni (cf. Lc 2, 6) di quella Natività benedetta, che rivivremo nei Divini Misteri della Notte santa; giunge “la pienezza del tempo” quando, come dice san Paolo, “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna sotto la legge, per riscattare” (Gal 4, 4).
Gesù nasce per riscattare, viene per redimerci.
Viene per riconciliarci con Dio. Come bene sottolinea sant’Agostino, con la consueta espressività, “per Caput nostrum reconciliamur Deo, quia in illo est divinitas Unigeniti facta particeps mortalitatis nostrae, ut et nos participes eius immortalitatis essemus” (S. Agostino, Ep 187, 6, 20: CSEL 57, p. 99).
Il Natale è l’inizio di quell’“ammirevole scambio” che ci unisce a Dio. È l’inizio della Redenzione.
Voi comprendete perciò quale risonanza debba avere per noi l’imminente solennità, quando, con tutta la Chiesa, ci stiamo alacremente preparando alla celebrazione del Giubileo della Redenzione. Su questo avvenimento straordinario vorrei soffermarmi in questa circostanza, la prima che mi si offre dopo l’annuncio dato alla conclusione dell’Assemblea del Sacro Collegio, il 26 novembre scorso. Vorrei aprirvi il mio cuore per far conoscere a voi, e a tutta la Chiesa con voi, le mie intenzioni, in una parola, il mio pensiero circa il significato e il valore di quest’Anno Santo. Non è qui il luogo di scendere a particolari di carattere organizzativo o pratico: verranno presto. Mi preme piuttosto riflettere insieme con voi sui vari contenuti del Giubileo che si sta preparando.
3. Anzitutto e da rilevare l’aspetto che colpisce l’attenzione di chi è attento “alla voce dello Spirito che parla alle Chiese” (Ap 2, 29): la funzione che questo Giubileo di grazia assume, fra l’Anno Santo celebrato nel 1975, e quello che si celebrerà nel 2000, all’alba del terzo millennio - il grande Anno Santo. È dunque un Giubileo di transito fra queste due date, come un ponte lanciato verso il futuro, che parte dalle esperienze straordinarie, da tutti vissute otto anni fa: infatti Paolo VI, di venerata memoria, chiamò tutti i fedeli, allora, a vivere il proprio “rinnovamento spirituale in Cristo e la riconciliazione con Dio”.
È il Giubileo della Redenzione: invero, se ogni Anno Santo propone a scala universale l’approfondimento del mistero della Redenzione e lo fa rivivere nella fede e nella penitenza; se, anzi, la Chiesa ricorda sempre la Redenzione, non solo ogni anno, ma ogni domenica, ogni giorno, ogni istante della sua vita, perché, nella celebrazione dei sacramenti, essa è immersa totalmente in questo dono sublime e unico dell’amore di Dio a noi offerto in Cristo Redentore, allora questo prossimo Giubileo è “un anno ordinario celebrato in modo straordinario”: il possesso della grazia della Redenzione, vissuta ordinariamente nella e per mezzo della struttura stessa della Chiesa, diventa straordinario per la peculiarità della celebrazione indetta.
Collocato in questa prospettiva, nel “Kairós” della data storica che stiamo vivendo, questo Giubileo acquista il carattere di una sfida lanciata all’uomo di oggi, al credente di oggi, affinché comprenda più a fondo il mistero della Redenzione, si lasci afferrare da questo movimento straordinario di attrazione verso la Redenzione, il cui realismo si avvera costantemente nella Chiesa come istituzione, e dev’essere appropriato, come carisma, nell’ora di grazia che il Signore fa scoccare per ciascun uomo nei momenti forti dell’esperienza cristiana. Si tratta di un movimento spirituale centrale, che fin d’ora dev’essere favorito e preparato a livello di tutta la Chiesa.
Di qui la necessità di vivere intensamente questo periodo molto importante. Il prossimo Giubileo, se non ha avuto le forme consuete a tempi lunghi di preparazione, trova tuttavia la Chiesa già pronta alla sua celebrazione. Le due encicliche Redemptor Hominis e Dives in Misericordia sono indicazioni concrete, che possono in certo modo già segnare la via e dare gli orientamenti per l’appropriata celebrazione dell’evento. Inoltre siamo in attesa, a livello di Chiesa universale, del Sinodo dei Vescovi, che per singolare coincidenza cadrà durante il Giubileo, e sarà dedicato ad una tematica strettamente connessa con i suoi contenuti concreti: “La Riconciliazione e la Penitenza nella missione della Chiesa”. Il Sinodo è ormai in preparazione da due anni, e tutti gli episcopati del mondo sono perciò già in piena sintonia con l’intimo significato del Giubileo della Redenzione: per loro mezzo, è tutta la Chiesa che già è in cammino verso la celebrazione dell’evento di grazia e di misericordia.
4. Il prossimo Giubileo vuole “coscientizzare” la celebrazione della Redenzione che continuamente si commemora e si rivive in tutta la Chiesa. La sua finalità specifica è quella di chiamare ad una considerazione più approfondita dell’evento della Redenzione ed alla sua concreta applicazione nel sacramento della Penitenza.
Ecco perciò che il contenuto è chiaro già nell’evidenza stessa della sua formulazione: “Anno della Redenzione”. Tutta la ricchezza del mistero cristiano, tutta l’urgenza della proposta evangelica è racchiusa in questa parola: la Redenzione. L’evento della Redenzione è centrale nella storia della salvezza. Tutto si compendia qui: Cristo è venuto a salvarci. Egli è il Redentore dell’uomo, Redemptor Hominis. Per l’uomo che cerca la verità, la giustizia, la felicità, la bellezza, la bontà, senza poterle trovare con le sole sue forze, e sosta inappagato sulle proposte che le ideologie immanentistiche e materialistiche oggi gli offrono, e sfiora perciò l’abisso della disperazione e della noia o si paralizza nello sterile e autodistruttivo godimento dei sensi - per l’uomo che porta in sé stampata, nella mente e nel cuore, l’immagine di Dio e sente questa sete di assoluto - l’unica risposta è Cristo. Cristo viene incontro all’uomo per liberarlo dalla schiavitù del peccato, e per ridargli la dignità primigenia.
La Redenzione compendia l’intero mistero di Cristo, e costituisce il mistero fondamentale della fede cristiana, il mistero di un Dio che è Amore, e si è rivelato come Amore nel dono del suo Figlio quale vittima di “propiziazione per i nostri peccati” (1 Gv 4, 8-10).
“La Redenzione è rivelazione d’amore”, è opera d’amore, come ho scritto nella mia prima enciclica (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 9). Il Giubileo deve perciò portare tutti i cristiani alla riscoperta del mistero d’amore racchiuso nella Redenzione, e ad un approfondimento delle ricchezze nascoste nei secoli in Cristo, nella “fornace ardente” del Mistero pasquale.
Inoltre, la Redenzione non solo rivela Dio all’uomo, ma l’uomo a se stesso (cf. Gaudium et Spes, 22). Essa è elemento costitutivo della storia umana, perché non si è uomo in pienezza se non si vive nella Redenzione, che fa scoprire all’uomo le radici profonde della sua persona, ferita dal peccato e dalle sue laceranti contraddizioni, ma salvata da Dio in Cristo, e portata “allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4, 13).
L’Anno della Redenzione offrirà dunque l’occasione per una rinnovata scoperta di queste verità consolanti e trasformatrici; e sarà compito dei Pastori di anime, della speculazione teologica, della pastorale, del Kerigma, diffondere al raggio più largo possibile l’annuncio della salvezza, nel quale è racchiusa l’essenza del Vangelo: Cristo è l’unico salvatore, poiché “in nessun altro c’è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12).
5. Questa realtà “oggettiva del mistero” della Redenzione deve diventare “realtà soggettiva”, propria di ciascuno dei credenti, per ottenere la sua concreta efficacia, nella condizione storica dell’uomo che vive, soffre e lavora in questo scorcio del secondo millennio dopo Cristo, che ormai volge al termine.
In questo Giubileo, che vuole avvicinare alla miseria dell’uomo la misericordia di Dio, deve riaccendersi la tensione verso la grazia, deve acuirsi lo sforzo delle coscienze per appropriarsi soggettivamente del dono della Redenzione, di quell’amore sgorgato da Cristo Crocefisso e Risorto. L’Anno Santo è perciò un appello al pentimento e alla conversione, come disposizione necessaria per partecipare alla grazia della Redenzione. Non è l’uomo a redimersi dai propri peccati, ma ad essere redento accettando il perdono operato dal Redentore. Vogliamo perciò vivere il mistero della Redenzione, traendo ispirazione da quelle grandi realtà che sono state il motivo conduttore delle mie prime encicliche: Cristo Redentore dell’uomo, Cristo che rivela il Padre, ricco di misericordia. Anche la celebrazione del Sinodo faciliterà la comprensione di questo inestimabile dono, disponendo gli animi ad appropriarsi soggettivamente della Redenzione: a viverlo mediante la Penitenza e la Riconciliazione, cioè nella vittoria sul male morale. Cioè nel ritorno a Dio. Nella conversione. Come ho scritto nella Dives in Misericordia, “l’autentica conoscenza del Dio della misericordia, dell’amore benigno è una costante ed inesauribile fonte di conversione, non soltanto come momentaneo atto interiore, ma anche come stabile disposizione, come stato d’animo. Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo "vedono", non possono vivere altrimenti che convertendosi continuamente a lui” (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, 13).
Occorre riscoprire il senso del peccato, la cui perdita è collegata con quella, più radicale e segreta, del senso di Dio. Il sacramento della penitenza è il sacramento della riconciliazione con Dio, dell’incontro della miseria dell’uomo con la misericordia di Dio, impersonata in Cristo Redentore e nella potestà della Chiesa. La confessione è un’attuazione pratica della fede nell’evento della Redenzione.
Il sacramento della Confessione è perciò riproposto, mediante il Giubileo, come testimonianza della fede nella santità dinamica della Chiesa, che, degli uomini peccatori, fa dei santi; come esigenza della comunità ecclesiale, che viene sempre ferita nella sua totalità da ogni peccato, anche se compiuto individualmente; come purificazione in vista dell’Eucaristia, e segno consolante di quell’economia sacramentale, per cui l’uomo entra in contatto diretto e personale con Cristo, morto e risorto per lui: “ha amato me e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20). In tutti i sacramenti, a partire dal battesimo, si stabilisce questo rapporto interpersonale tra Cristo e l’uomo, ma è soprattutto nella Penitenza e nell’Eucaristia che esso si ravviva per tutto l’arco della vita umana, e diventa realtà, possesso, sostegno, luce, gioia. “Dilexit me”.
6. Ma vi è un ulteriore significato del Giubileo della Redenzione.
Noi viviamo in un mondo che soffre: tanti uomini, nostri fratelli, hanno una tristissima eredità di privazioni, di ansie, di dolori, che non può lasciar nessuno indifferente.
Ora, la sofferenza ha la sua radice teologica e antropologica nel mistero del peccato, e per questo è elemento costitutivo della Redenzione di Cristo. Non c’è nulla al mondo, che corrisponda alla sofferenza umana più che la Croce di Cristo. Cristo ha sofferto la sua Passione, caricandosi del peccato del mondo: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5, 21). Il Concilio Vaticano II, presentando le drammatiche antinomie e lacerazioni che tanto rodono l’uomo contemporaneo con gli enigmi e le sfide che presentano alla sua razionalità e sensibilità, ha mostrato in Cristo, l’Uomo nuovo, nella sua Croce e Risurrezione, l’unica risposta ai drammatici interrogativi dell’uomo, circa il dolore e la morte” (Gaudium et Spes, 22).
La Redenzione ci apre il magnifico libro della nostra solidarietà con Cristo sofferente, e, in lui, ci introduce nel mistero della nostra solidarietà con i fratelli sofferenti. Il Giubileo della Redenzione permetterà di vivere più intensamente nello spirito della “Communio sanctorum”. Le sofferenze umane sono patrimonio comune di tutti: ciascuno ha il proprio apporto da dare alla Redenzione, che, pur avvenuta una volta per sempre, ha bisogno di questa misteriosa integrazione, dell’offerta di questo gravissimo fardello che sono i mali e i dolori dell’umanità: “«Adimpleo»: completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24). Se la Chiesa ha oggi alleggerito di molto le tradizionali pratiche penitenziali, è proprio perché cresce nel mondo, a dispetto delle apparenze, il numero di coloro che possono fare una grande penitenza cristiana perché tutta la loro vita è una grande penitenza. Penso ai malati, alla solitudine degli anziani, alle ansie dei genitori per i loro figli, allo scoramento dei disoccupati, alle frustrazioni di tanti giovani che non riescono a inserirsi nella società; e penso a chi soffre per la violazione dei propri diritti, mediante forme talora raffinate di persecuzione e perfino di morte civile.
Ebbene, il Giubileo della Redenzione, si rapporta con questa multiforme e segreta “Communio sanctorum”. È vero che la celebrazione di ogni Giubileo mette in comunicazione con la ricchezza incomparabile dei meriti e delle sofferenze, che i martiri e i santi nel corso della storia antica e recente della Chiesa hanno costituito, come una corona mirabile, col dono della loro vita e della loro eroica fortezza; ma si viene ponendo sempre più in luce - e questa sarà certo un’acquisizione fondamentale del prossimo Giubileo - che la sofferenza dei fratelli, unita a quella di Cristo, è un tesoro di cui vive la Chiesa e che sostiene la fede di tutti.
Se i disagi, inerenti alla celebrazione del Giubileo, oggi diventano minori in confronto con quelli delle epoche o anche solo dei decenni passati, ciò non deve far dimenticare che ciascuno può e deve recare l’apporto della sofferenza, che, volere o no, è legata con l’esistenza umana e dev’essere unita, in Cristo, con quella degli altri.
Oggi questa solidarietà nella sofferenza è molto sentita. Vi è un più accentuato amore fra i cristiani, tra di loro e oltre i confini della Chiesa. La responsabilità verso chi soffre coinvolge in forme che prima non erano così acute. Il Giubileo che si avvicina renderà pertanto possibile un ulteriore arricchimento di questa sensibilità, che è schiettissimo “sensus Ecclesiae”, nella consapevolezza accresciuta di quella solidarietà, di quell’“Adimpleo”.
7. Per tutti i motivi, sui quali mi sono soffermato, voi comprendete come la celebrazione della Redenzione non possa limitarsi a Roma, com’è nella struttura consueta degli altri Giubilei. Il mistero della Redenzione si estende a tutti gli uomini, e perciò questa Santa Sede di Pietro, fedele al suo mandato, si preoccupa di tutti gli uomini. Il Giubileo è voluto in favore di tutti i credenti, ovunque vivano. Il suo scopo è di aiutarli a comprendere meglio “le imperscrutabili ricchezze di Cristo”, facendo “risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo, perché sia manifestata ora . . . per mezzo della Chiesa la multiforme sapienza di Dio” (Ef 3, 8 ss).
Certamente, Roma si offre a tutti i pellegrini con il suo carattere unico, con le sue memorie apostoliche, con le sue celebrazioni alla presenza del Papa, con la sua secolare pratica organizzativa; ma essa non vuole monopolizzare un tesoro che è di tutti, e vuole che il Giubileo si celebri con gli stessi diritti e con gli stessi effetti spirituali in ogni Chiesa locale, in tutto il mondo.
Il Giubileo sarà pertanto celebrato contemporaneamente in tutta la Chiesa, sia a Roma che nelle Chiese locali, nell’arco dello stesso anno: ciò favorirà nei credenti il senso dell’universalità della Chiesa, la sua nota “cattolica”; e proporrà a tutti di vivere più intimamente il messaggio della Redenzione, e l’impegno di conversione e di rinnovamento spirituale che esso contiene, e che il Giubileo richiama con potente suggestività.
8. Il Giubileo sarà celebrato a partire dal 25 marzo del prossimo anno, solennità dell’Incarnazione del Signore, alla Pasqua di Risurrezione, il 22 aprile 1984.
Tutta l’esistenza terrena di Gesù è stata spesa per la Redenzione: Redemptor Hominis. “Per questo, entrando nel mondo - ci dice la lettera agli Ebrei - Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, / un corpo invece mi hai preparato . . . / Allora ho detto: Ecco, io vengo / - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - / per fare, o Dio, la tua volontà». / Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo” (Eb 10, 5 ss.10). Gesù è vissuto nell’attesa dell’“ora”, affidatagli dal Padre: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12, 49). “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4, 34).
Quest’opera veniva compiuta sulla Croce nel supremo: “Tutto è compiuto!” (Gv 19, 30). E il Padre rispose a questa santissima oblazione, “costituendo Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la Risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm 1, 4).
Dal concepimento alla risurrezione, Cristo è il Redentore. Potremo perciò ripercorrere tutte le tappe della vita del Salvatore, per appropriarci dei frutti della sua Redenzione.
9. Confido molto che anche i nostri fratelli che non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica, vogliano comprendere pienamente questi valori insiti nella celebrazione del Giubileo, e guardare ad esso con più viva speranza e amore ecclesiale.
Il Giubileo è un grande servizio alla causa dell’Ecumenismo. Celebrando la Redenzione andiamo al di là delle incomprensioni storiche e delle controversie contingenti, per ritrovarci sul fondo comune al nostro essere cristiani, cioè Redenti. La Redenzione ci unisce tutti nell’unico amore di Cristo, Crocefisso e Risorto. Questo è anzitutto il significato più valido che, alla luce dell’azione ecumenica, è da attribuire al prossimo Giubileo.
Ma vi è anche un’altra ragione, che induce alla speranza in questa fusione dei cuori: lo spirito di preghiera e di penitenza, che pervade le celebrazioni giubilari, deve portare a quella conversione del cuore, che i Padri Conciliari hanno indicato come condizione essenziale per la ricomposizione dell’unità nella Chiesa: “Non c’è vero ecumenismo - è scritto nell’omonimo decreto - senza conversione interiore. Infatti, il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di sé e dalla libera effusione della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito Divino la grazia di una sincera abnegazione, dell’umiltà e mansuetudine nel servire e della fraterna generosità di animo verso gli altri” (Unitatis Redintegratio, 7).
Rivolgo perciò, fin d’ora, un caldo appello a tutti i responsabili e ai membri delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, affinché accompagnino le celebrazioni dell’Anno della Redenzione con la loro preghiera, con la loro fede nel Cristo Redentore, col loro amore che diventi con noi anelito sempre più sentito a realizzare la preghiera di Gesù prima della Passione redentrice: “Ut omnes unum sint” (Gv 17, 21).
10. Auspico, in conclusione, che il Giubileo sia una generale catechesi, una capillare evangelizzazione, a livello di tutte le Chiese locali, circa la realtà della Redenzione: Cristo che salva l’uomo col suo amore immolato sulla Croce. L’uomo che si lascia salvare da Cristo. È un invito a comprendere meglio il mistero della salvezza, e a viverlo a fondo nella “prassi” della vita sacramentale.
E in quest’azione che ci porta a Cristo, per farci ritrovare in lui il Padre, sarà da porre in rilievo l’azione silenziosa e suadente dello Spirito Santo, e invitare alla sempre più piena docilità e all’abbandono ai suoi doni perché l’opera della salvezza, nella quale egli interviene direttamente, attinga in ciascun credente la sua effettiva realizzazione. Sarà così raggiunto quello scopo primo e principale del Giubileo, che mira anzitutto all’elevazione interiore e spirituale dell’uomo, ma per ciò stesso contribuisce anche all’amore operoso fra i popoli.
Effettivamente solo Cristo è “la nostra pace” (Ef 2, 14); è “stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione” (2 Cor 5, 19). Il tema della riconciliazione si collega perciò strettamente con quello della pace, della vittoria sul peccato che deve riflettersi nella vittoria dell’amore sulle inimicizie, sulle rivalità, sulle ostilità dei popoli, come nella vittoria dell’amore all’interno delle singole comunità civili e, più intimamente ancora, nel cuore di ogni singolo uomo. L’opera in favore della pace è una speciale forma di fedeltà al mistero della Redenzione perché la pace è l’irradiazione della Redenzione, ne è l’applicazione nella vita concreta degli uomini e delle Nazioni.
Il Giubileo contribuirà a consolidare nel mondo una mentalità di pace: è l’augurio che sale dal cuore.
11. Affido fin d’ora questo programma all’intercessione di Maria santissima. Essa è il vertice della Redenzione. È indissolubilmente congiunta a quest’opera perché Madre del Redentore e il frutto più sublime della Redenzione. Essa è infatti la “prima Redenta”, appunto in vista dei meriti di Cristo, Figlio di Dio e suo.
La Chiesa dovrà più intensamente guardare a lei, che incarna in sé quel modello, che la Chiesa stessa spera e attende di essere: “tutta gloriosa, senza macchia . . . santa e immacolata” (Ef 5, 27).
Il Giubileo della Redenzione riveste perciò anche un aspetto eminentemente mariano: la coincidenza della celebrazione che si colloca nell’attesa del terzo millennio fa comprendere quella mentalità di Avvento che distingue la presenza di Maria in tutta la storia della salvezza. Essa, come “Stella del mattino”, precede Cristo e lo prepara, lo accoglie in sé e lo dona al mondo; e anche nella preparazione del Giubileo, la crediamo e sappiamo presente a disporre i nostri cuori al grande evento.
A tanto la deputa la sua funzione materna: come ha detto il Vaticano II, essa “cooperò in modo del tutto singolare all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime” (Lumen Gentium, 61): e perciò tuttora continua “con la sua materna carità a prendersi cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti alla patria beata” (Ivi. 62). Essa ci è “madre nell’ordine della grazia” (Ivi. 61). Tra pochi giorni ci mostrerà il Verbo Incarnato, nel quale ha affisso il suo sguardo interiore “meditando tutte queste cose nel suo cuore” (cf. Lc 2, 19.51). Perciò sale a lei la nostra preghiera, affinché mostri ancora una volta a tutta la Chiesa, anzi a tutta l’umanità, quel Gesù che è “frutto benedetto del suo grembo”, e che di tutti è il Redentore.
12. Venerati fratelli e figli carissimi.
Ecco quanto ho ardentemente desiderato di comunicare a voi e a tutta la Chiesa, mentre ci stiamo avviando a rivivere il mistero del Natale, che è l’alba della Redenzione: infatti, sulla povertà estrema di Betlemme già si proietta l’ombra della Croce.
Maria ci sia sempre accanto. L’arcangelo Michele, san Giovanni Battista, i santi Pietro e Paolo con tutti gli altri Apostoli, intercedano per noi il dono sempre più copioso della salvezza, per la degna e fruttuosa celebrazione del Giubileo, e dispongano tutta la Chiesa a vivere quel grande avvenimento. La preparino ad accogliere in pienezza la Redenzione di Cristo.
Di qui, a tutta la Chiesa io grido: “Aprite le porte al Redentore!”.
Desidero aggiungere che con data 25 gennaio 1983, Festa della Conversione di san Paolo apostolo, verrà promulgato il nuovo Codice di Diritto Canonico. Come sapete, il giorno 25 gennaio 1959, il Santo Padre Giovanni XXIII, nell’annunziare il proposito di convocare il Concilio Ecumenico Vaticano II, manifestò anche la volontà di far rivedere ed aggiornare la legislazione ecclesiastica, per renderla efficace strumento applicativo dello stesso Concilio nell’àmbito disciplinare della vita della Chiesa.
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