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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI FRANCESI
DELLA REGIONE APOSTOLICA «PROVENCE-MÉDITERRANÉE»
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Giovedì, 18 novembre 1982

 

Cari fratelli nell’Episcopato.

1. Provo una grande gioia nel ricevervi. E voi stessi siete già familiarizzati con la Chiesa che è a Roma, a titoli diversi. Le simpatiche popolazioni, di cui voi siete i Pastori, delle soleggiate regioni della Provenza, della Contea di Nizza, della Bassa Linguadoca e della Corsica potrebbero sentire molte affinità - storia, senso artistico, gioia di vivere, fede e pietà popolare - con il popolo che vive qui.

Ma i vostri dipartimenti e dunque le vostre diocesi hanno anche i loro problemi umani, dovuti per esempio alla disoccupazione, alle concentrazioni industriali, all’agricoltura in crisi. Del resto, i cambiamenti culturali, il materialismo pratico, e persino l’allontanamento - per un numero sempre più crescente - dalla pratica religiosa, sono fonti di gravi preoccupazioni per le vostre anime di Pastori.

Vorreste, dite, rinnovare la speranza nel cuore dei vostri sacerdoti, meno numerosi e più anziani, dei religiosi e delle religiose, ridare slancio missionario alle comunità cristiane, ai responsabili laici che cooperano all’evangelizzazione, per far fronte ad un mondo che si costruisce attorno a loro. Vorreste che la Chiesa avesse più presa sulla vita quotidiana.

Molti di voi mi hanno confidato le loro preoccupazioni nei riguardi dei Seminari: malgrado un leggero aumento, i candidati sono ancora poco numerosi in ciascuna diocesi e, per questo, raggruppati al Seminario regionale. Come risvegliare e coltivare le vocazioni più numerose che ora mancano? Come fare in modo che i Seminari diocesani rinascano, siano più attraenti e più credibili per la loro vitalità e la profondità della loro formazione spirituale e teologica, corrispondano ancor meglio agli imperativi del sacerdozio ministeriale, ai desideri della Chiesa di tutti i tempi e alle attese sempre più grandi delle nuove generazioni? È un problema di capitale importanza sul quale io conto ritornare più a lungo con altri Vescovi.

Diversi settori pastorali

2. Oggi, vorrei soprattutto considerare con voi l’insieme del Popolo di Dio che vi è affidato.

Stagionalmente questo popolo è costituito da una parte di turisti che vengono a passare qualche settimana o i loro fine settimana in montagna, in campagna e soprattutto al mare. Giustamente, vorreste offrire loro in questi momenti in cui sono forse più disponibili, almeno la possibilità di partecipare ad una liturgia che li avvicini a Dio, e un’occasione di riflessione, di incontri fruttuosi con altri cristiani. Paolo VI vi aveva parlato di questa importante pastorale cinque anni fa; anch’io l’ho fatto più volte a Roma. Incoraggio di tutto cuore le vostre iniziative in questo campo che vi è familiare.

Vostro popolo sono anche i lavoratori migranti. Le loro condizioni di lavoro, di vita familiare, la loro situazione di sradicamento religioso richiedono sforzi particolari di aiuto solidale e, per i cristiani, di accompagnamento spirituale di cui voi siete ben coscienti.

Si sono anche integrati al vostro popolo cristiano, con più o meno nostalgia e difficoltà, un grande numero di espatriati dell’Africa del Nord che avevano bisogno di sentirsi accolti e amati, con molta delicatezza e comprensione. Portate loro l’affetto del Papa!

Il vostro popolo è costituito anche da molti pensionati, venuti dal resto della Francia o da altre parti per passare i loro ultimi giorni in un clima ospitale. La questione non è solamente: come aiutarli ad integrarsi nelle comunità cristiane, se sono credenti? Ma piuttosto: come la Chiesa può aiutarli a mettere a profitto questo lungo periodo che è loro donato - e che diventerà più lungo con l’anticipazione della pensione -, per evitare un eccessivo ripiegamento su se stessi, per favorire la loro apertura e la partecipazione alle diverse attività, l’approfondimento della carità e della preghiera, l’ampliamento della cultura? La Chiesa, come del resto anche la società civile, si preoccupa dell’uso del tempo per tutte queste persone, sempre più numerose, e persino ancora giovani, la cui vita non conosce più il lavoro attivo, o che hanno ridotto l’orario di lavoro.

Si potrebbe parlare anche del mondo dei malati, e di coloro che li curano; gli ospedali e le case di convalescenza che li accolgono sono infatti numerosi nella vostra regione. Ma non voglio insistere su questo punto: avete riflettuto sul loro problema a Lourdes. Invio a questi fratelli e sorelle provati dalla malattia una speciale benedizione.

D’altra parte, il vostro popolo è costituito anche da molti giovani, che appaiono disorientati, abbandonati a se stessi, in balìa delle diverse influenze; il vostro rapporto ha sottolineato particolarmente questo aspetto. Possano trovare almeno nella Chiesa, nella parrocchia, nei gruppi di catechesi, nei movimenti, come ricordavo ai Vescovi del Centro della Francia, dei punti di riferimento e di testimonianza di persone mature, che li aiutino a riflettere ma anche ad agire per gli altri e a pregare. C’è un segno: voi riscontrate presso un certo numero di giovani un desiderio di preghiera e di devozione. Non deve accadere che essi dicano, come gli operai dell’undicesima ora: “Nessuno ci ha assunto”. È importante che sentano la vostra fiducia, senza demagogia, e che questa fiducia si manifesti - voi, come me, ne fate esperienza - nei momenti che noi accettiamo di dedicare alle assemblee di giovani.

La religione popolare

3. Sono dunque molte le questioni pastorali, abbastanza diverse, che io desidererei sviluppare con voi. Ma oggi ci soffermiamo semplicemente su questo fatto: siete i Pastori di un popolo, di tutte le età, di tutti gli ambienti, di tutte le professioni e di tutte le condizioni sociali. Molto pochi sono i laici responsabili nella Chiesa, o militanti. Pur tuttavia - al di là di situazioni di incredulità reale ed esplicita, un po’ più frequenti che nel passato -, la maggioranza degli abitanti delle rive del Mediterraneo rimangono senza dubbio legati col cuore al cristianesimo, anche se voi deplorate, in loro, una pratica religiosa debole e comportamenti lontani dalla fede o dalla morale stabilite dalla Chiesa. La maggior parte si dice e si considera cattolica e manifesta, in certe occasioni, i segni di una fede sincera, anche se non ben chiara, e anche degli atteggiamenti veramente cristiani. I termini complementari di “religione popolare”, di “cristianesimo popolare”, di “fede popolare”, di “pietà popolare”, sembrano designare bene il loro sentimento religioso. La qualifica di “popolare”, interpretata come un segno di superficialità e di incompiutezza, ha potuto suscitare la diffidenza di una élite colta e credente, e anche di pastori zelanti; ma essa ha, del resto, il vantaggio di caratterizzare una fede radicata profondamente in una precisa cultura, legata alle fibre del cuore così come alle idee, e soprattutto condivisa da tutto un popolo, che è allora Popolo di Dio. Quale attenzione, quale pastorale, richiede questo popolo da noi Vescovi?

4. Sottolineiamo, innanzitutto, che, nell’era cristiana, il Popolo di Dio prese la sua origine nel popolo della Pentecoste. Quel giorno, lo Spirito Santo ha spinto gli Apostoli, i testimoni privilegiati di Cristo, ad incontrare queste folle, culturalmente molto diversificate, salite a Gerusalemme per una festa umana e religiosa. E mediante la predicazione della Buona Novella della risurrezione di Gesù e della salvezza in nome suo, un nuovo Popolo di Dio si è formato, strutturato dalla conversione, dalla fede e dal battesimo. Il cristianesimo cessava di poggiare su di un piccolo gruppo: il suo nuovo cenacolo era il mondo; in un senso, il cristianesimo popolare vedeva la luce, con l’essenzialità della sua fede, della sua preghiera, della sua liturgia, della sua legge, di cui testimoniano gli Atti degli Apostoli o le Lettere. È a partire da esso, paragonandolo ad esso, che bisogna apprezzare oggi il cattolicesimo popolare dei nostri fedeli, con i suoi valori e i suoi limiti.

5. Si può scoprire in loro una fede popolare, perché generalmente essi aderiscono a Dio, credono che egli esiste, che guarda gli uomini con amore, vuole loro bene e approva la parte migliore della loro vita, mentre giudica le loro mancanze. In Gesù, essi riconoscono colui che è venuto da parte di Dio per rivelarci l’essenziale del suo pensiero. Il breve “Credo” degli Apostoli riassume la loro fede. Essi lo proclamano con reale lealtà. Questa fede si traduce in gesti di una religione popolare. Essi accettano di collegarsi a Dio visibilmente entrando nella comunità cristiana con il battesimo che domandano per i loro figli. La riaffermano anche nelle grandi circostanze della loro esistenza terrena, per la professione di fede e la comunione da bambini, il matrimonio religioso quando fondano una famiglia e la sepoltura cristiana nel lasciare questo mondo. Manifestano anche una pietà popolare. Molti pregano in determinate occasioni felici o tristi. Il pensiero di Dio li accompagna, anche se non è quotidiano o rimane troppo individuale per essere vissuto in comunità. Talvolta raggiungono gli altri cristiani per l’Eucaristia, riconoscendovi la presenza reale di Cristo, ascoltando la Parola di Dio. La maggior parte accetta come provenienti da Dio quei grandi imperativi che concernono per esempio il rispetto della vita, della libertà, della reputazione e dei beni altrui; la loro “morale” popolare presenta una larga convergenza con i Comandamenti di Dio, ricordati da Cristo, manifestando una concezione dell’uomo centrata su punti fondamentali. Infine, essi sanno condividere con i più poveri, e, verso la Chiesa, sono capaci di mostrare una reale generosità come se così facendo volessero dimostrare un certo desiderio di appartenenza. Ecco, mi pare, tanti segni positivi della realtà del loro congiungimento alla comunità dei credenti.

6. Ma d’altra parte, voi constatate con dispiacere che questa adesione alla fede cristiana e questa appartenenza alla Chiesa sono limitate e talvolta compromesse. Molto spesso si tratta più di “credenza” che di fede trinitaria o di speranza nella vita eterna, più di “buona coscienza” che di coscienza, più di una “religione a sé” che di una comunione con la Chiesa. L’irregolarità della pratica religiosa e del ricorso ai sacramenti, l’insufficienza della cultura religiosa frequentemente terminata con l’ultima lezione di catechismo alla soglia dell’adolescenza, l’accettazione del lassismo morale dilagante conducono alla passività, al rifiuto di progredire. Ne risulta parimenti una larga imprecisione nella coscienza di coloro che si accontentano di questa “religione popolare”. Secondo i soggetti e i momenti, essi si allineano alcune volte dalla parte di Dio e altre volte dalla parte dell’incredulità, dalla parte del servizio all’uomo o del ripiegamento egoistico su se stessi. Non è questa una paura di scegliere veramente, una ricerca di sicurezza, più che una sete di verità piena e di santità? Dio vuole di più, per la salvezza e la grandezza dell’uomo credente; questo appare con evidenza quando leggiamo per esempio le beatitudini (cf. Mt 5-7; 7, 13. 14. 21) e la vita dei santi.

7. La permanenza di un cristianesimo popolare dalle origini della Chiesa costituisce pertanto una grazia e un richiamo ai quali noi come Vescovi dobbiamo essere attenti. Certo, non si tratta di rassegnarsi ad una mancanza di esigenze che vadano oltre il limite minimo della fede, della preghiera o della carità. La regola di san Paolo è qui preziosa: esaminare tutto con discernimento, trattenere ciò che è buono e rigettare ciò che è male, senza spegnere lo Spirito (cf. 1 Ts 5, 19-21).

Dobbiamo innanzitutto rendere grazie a Dio per aver mantenuto in queste folle un certo attaccamento a Cristo e alla Chiesa che, benché imperfetto, può permettere loro di camminare verso il Regno di Dio. Bisogna riconoscere che Dio non cessa di operare nella sua creazione: il Padre invita, il Figlio esercita la sua attrattiva, lo Spirito Santo agisce; e l’uomo risponde nel segreto del suo cuore in un modo che sfugge alla nostra comprensione.

Del resto, non c’è la Chiesa là dove non esiste ancora almeno l’inizio di un “popolo” di credenti aperto sull’universale, secondo il senso della parola “cattolico”. La Chiesa cattolica non può ridursi ad un cenacolo, ad un’élite spirituale o apostolica.

“Il dovere missionario” rimane sempre fondamentale. Esso è stato meravigliosamente vissuto in Francia in tante epoche della sua storia, come ricordavo a Issy-les-Moulineaux, ed è anche la vostra preoccupazione oggi. Noi siamo inviati a tutti i nostri fratelli, vicini e lontani; con il Padre noi li amiamo tutti e vogliamo che siano salvati e pervengano - liberamente - alla conoscenza della Verità (cf. 1 Tm 2, 4), alla pienezza della Fede, dell’Amore, dell’Unità, della Vita (cf. Gv 17; 10, 10). La missione cerca sempre di suscitare un Popolo per Dio; essa ha per compito primario di terminare ciò che il Signore ha cominciato con il battesimo della grande maggioranza dei vostri compatrioti, rispettando, rettificando, promuovendo le ricchezze cristiane alle quali essi si riferiscono più o meno esplicitamente.

Come buoni ministri di questa Chiesa vigorosa di cui il mondo ha bisogno, con i sacerdoti, i diaconi, i credenti uomini e donne pienamente uniti alla missione della Chiesa, sappiate guidare e consigliare le Chiese diocesane facendo evitare loro i falsi dilemmi: sia l’élite, sia la massa - la qualità dei cristiani o la quantità -, una Chiesa rivolta verso l’interno o verso l’esterno - servire la verità ben espressa o la verità più largamente vissuta -, giudicare le insufficienze o risvegliare le coscienze - riservare i sacramenti a coloro che ne comprendono bene le conseguenze od offrirli a coloro che li domandano -, ridurre i contatti utili agli iniziati o andare solamente verso la folla dei fedeli. La storia del cristianesimo ci insegna che le scelte esclusive conducono sempre ad una mutilazione della Chiesa.

Infine, il nostro ministero apostolico, come quello di Pietro e di Paolo, domanda sempre l’umiltà, la pazienza, la speranza. È lo Spirito di Dio che chiama, agisce, converte. Noi non siamo né i maestri della conversione, né i giudici delle coscienze, né i creatori della nuova umanità: Dio solo assume queste funzioni. Egli ci fa solamente l’immenso onore di avere bisogno di noi per ripetere le sue parole, mostrare la sua presenza, presiedere alla sua comunità, esortare a tempo opportuno e inopportuno, sempre con pazienza e preoccupazione di insegnare, rilanciare l’appello alla santità come la risposta al Dono ineffabile di Dio.

La cultura regionale

8. Vorrei aggiungere una parola complementare sul patrimonio culturale delle vostre regioni, di cui la religione popolare è tributaria. È molto importante rispettarlo e farlo rispettare. Non è forse impregnato di linfa e di sapore cristiano? Si assiste purtroppo molto spesso ad un tentativo di secolarizzazione di queste ricchezze spirituali. Ora, c’è una evidente correlazione tra la cultura popolare e la fede del popolo. Ma proprio per evitare questa secolarizzazione, è importante che siano stimati e aiutati tutti gli uomini di buona volontà, cristiani e non, che cercano di preservare questo patrimonio, e ci sono da voi numerose iniziative degne di lode in questo campo, negli insegnanti, negli animatori, culturali o artistici, in coloro che si sforzano di preservare le lingue regionali o di riportarle in uso, o ancora in coloro che sono incaricati di emissioni televisive o radiofoniche regionali. Si tratta insomma di rispettare il contesto cristiano di questo patrimonio, il suo carattere permanente e sempre attuale, al di là delle vicissitudini della storia. La Chiesa deve essere la prima a comprendere la posta in gioco, ad interessarvisi, e ad apportarvi il suo contributo e i suoi incoraggiamenti.

I mass media

9. Ho appena parlato di cultura religiosa. Si può estendere la riflessione su tutto il problema dei “mass media” che influenzano parecchio la cultura popolare di tutti i nostri contemporanei.

Sì, i mezzi di comunicazione sociale nel mondo di oggi sono molto potenti, onnipresenti, e questo andrà sempre più amplificandosi. Essi possono risvegliare le coscienze, sostenere la causa dei diritti dell’uomo, raccogliere gli uomini nella stessa ammirazione, in un medesimo grido per la libertà, per la giustizia, per la pace, insomma essere occasione di “comunione e di progresso”. Ma non possiamo nasconderci i rischi che fanno correre alla nostra fede cristiana tanti giornali, riviste, libri, film, emissioni sotto diverse forme. Specialmente i giovani e le persone meno preparate ad una scelta critica - coloro forse che costituiscono quella che si chiama “religione popolare” - sono influenzati dall’assenza massiccia della dimensione religiosa nel mondo delle comunicazioni moderne. Più che la stessa assenza, non è raro trovarvi disprezzo o canzonatura nei confronti della fede, del pensiero cristiano, nei confronti di quelli e di quelle che hanno consacrato la loro esistenza al servizio della Chiesa o che cercano di viverne tutte le esigenze morali.

Voi non siete evidentemente insensibili davanti al pericolo che rappresenta l’abbondanza di informazioni e di ideologie offerte alla moltitudine dei lettori, ascoltatori, spettatori, senza che essi siano sufficientemente aiutati a farsi un giudizio equo di esse. Non si tratta certo di aspettare passivamente un mondo in cui il Vangelo solo sarà presente a tutti. Ma bisogna, con coraggio immaginativo e perseverante, e impegnandovi i mezzi necessari, mettere Dio nella circolazione del pensiero del mondo moderno. Questo obiettivo è missionario, voi lo sapete. Io vi incoraggio a proseguirlo con convinzione rinnovata. La carità, l’amore dei nostri fratelli, ci spinge a far loro capire, nel linguaggio che essi comprendono, con le immagini che essi capiscono, il messaggio del Vangelo che dà il senso alla loro vita, che risponde alle loro aspirazioni profonde, che propone la salvezza. Altrimenti, la fede è tenuta ai margini e numerosi battezzati abbandonano ogni pratica della preghiera e dell’Eucaristia. “La frattura tra il Vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 20). Spetta a noi, dunque, a noi che dobbiamo offrire il Vangelo ai nostri concittadini, di prevedere, organizzare, condurre a buon fine una pastorale dei mezzi di comunicazione sociale. Comprendete le nuove possibilità che vi si presentano. Siate attenti al dialogo con coloro il cui lavoro è quello di informare o di distrarre. Lo stile degli interventi cristiani tenga conto delle abitudini del pubblico. Non esitate a formarvi e a formare uomini e donne a questa missione di portavoce della fede: la necessaria spontaneità vada di pari passo con il rifiuto dell’improvvisazione. Siate perseveranti nel sostegno della stampa esplicitamente cattolica. L’avete deciso a Lourdes, al tempo della vostra Assemblea plenaria del 1981: si tratta di integrare la presenza dei media nella riflessione e nell’azione pastorale. Questo obiettivo suppone una decisione regionale, nazionale e anche, tenuto conto dell’importanza dei mezzi messi in opera, internazionale.

10. Il nostro lungo incontro è stato centrato sull’amore del popolo che vi è affidato. Voi mi avete domandato di ripetervi, in mezzo alle vostre preoccupazioni pastorali, una parola di speranza. Ho voluto fondarla semplicemente sul benevolo sguardo volto al Popolo cristiano, che Dio coltiva anche là dove immediatamente noi non lo vediamo, che testimonia per Dio alla maniera “popolare” di una folla disseminata al cuore di questo mondo. Auguriamo che essa sia sempre più un fermento, e noi dobbiamo sempre promuoverne l’autenticità e la qualità, senza pretendere di fare l’inventario di tutti i frutti. È l’esigenza, ed è anche la gioia del nostro ministero apostolico. In quanto successore di Pietro, io domando a Dio di confermare la vostra fede e la vostra speranza. E di tutto cuore benedico voi, così come tutti i vostri cari collaboratori e diocesani, nel nome del Signore.

 

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