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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CAMPANIA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Giovedì, 11 dicembre 1986

 

Venerati e amati fratelli, pastori delle Chiese che sono nella Campania!

1. Ringrazio Dio a motivo della gioia che mi procura questo incontro con voi, desiderato e anticipato nel mio cuore con la preghiera al Signore, perché vi dia conforto e sostegno nell’opera di evangelizzazione che, insieme col vostro clero, svolgete nelle rispettive diocesi della Regione campana.

Questa visita “ad limina” sottolinea in modo eloquente l’unione di pensiero e di intenti esistente tra noi, nonché il comune desiderio di far convergere tutte le nostre energie nel servizio alla Chiesa pellegrinante sulla terra verso l’incontro definitivo col suo Signore. Le vostre cure pastorali divengono così anche le mie, le vostre consolazioni sono pure mie consolazioni, sicché l’odierno incontro si rivela come un “momento forte” di vita ecclesiale, che conforta e incoraggia ciascuno di noi a perseverare nel combattere la buona battaglia con fede e buona coscienza (cf. 1 Tm 1, 18-19).

Voi siete vescovi in una regione italiana, che ha vissuto in modo diretto e, talvolta, drammatico le conseguenze delle trasformazioni sociali proprie dei tempi moderni. Conosco bene la cordialità della vostra gente, lo spirito d’inventiva che la distingue, la vivace intelligenza che tanti frutti ha dato e dà nei vari campi dell’umana esperienza. E conosco pure le convincenti testimonianze di fede e di vita cristiana che si possono tuttora rilevare nei singoli e nelle comunità e si accompagnano spesso a quelle manifestazioni di “pietà popolare”, che ha radici tanto profonde nelle tradizioni della gente di Campania.

Grazie ai colloqui, già avuti con ciascuno di voi, e alle relazioni, da voi inviate, conosco anche i non pochi aspetti preoccupanti che la situazione pastorale della Regione presenta, aspetti che giustamente assillano il vostro cuore di pastori. Le rapide mutazioni del nostro tempo hanno prodotto dolorosi squilibri nel costume, nella vita religiosa e fin nel “quadro culturale” della popolazione campana.

2. Voi constatate con preoccupazione come gli uomini, specialmente i giovani, tendano a rinnovare lo stile della loro vita, accogliendo le proposte di un’attualità che spesso porta in sé una visione dell’esistenza estranea al cristianesimo. Una tale visione, acristiana e talvolta anticristiana, si esprime come mancanza di riferimento al soprannaturale e esclusione dei valori trascendenti, si manifesta come disinteresse per ciò che superi le attrazioni e il fascino del vivere quotidiano, si restringe a un orizzonte meramente terreno. Il significato dell’esistenza umana viene così ridotto nell’ambito di una concezione naturalistica in ordine ai vari problemi, quali, ad esempio, quelli della giustizia, del lavoro, dell’economia, della famiglia, dell’educazione, dello svago e del divertimento. Di qui possono scaturire contrasti tra le categorie sociali, tra le correnti politiche, tra le ideologie, e in questo contesto possono emergere quei diversi egoismi collettivi che stanno alla base di tante sofferenze e dolorose ingiustizie. Da una mentalità lontana dai principi cristiani deriva l’inclinazione verso modelli negativi, che più volte si è manifestata tristemente con l’intensificarsi di delitti e prepotenze, incidendo sulla vita familiare, sociale ed ecclesiale, in particolare sullo stile di vita della gioventù.

Vi chiedete, pertanto, che cosa occorra fare per affrontare la situazione in maniera tale che sia ancora il Vangelo di Cristo a formare le coscienze della vostra gente. Con l’ansia degli apostoli, ferventi e premurosi, voi vi interrogate sui mezzi che occorre privilegiare per giungere a positivi risultati di conversione e operare un’efficace e rinnovata evangelizzazione.

3. A questo infatti bisogna tendere: a una ripresa dell’annuncio cristiano nella sua interezza e nella sua vitalità dinanzi a un popolo che di esso ha bisogno. Si tratta di evangelizzare, di rievangelizzare con un impegno vasto e perseverante, tale da coinvolgere tutte le forze della Chiesa e da portare a tutti la grazia della chiamata divina, a imitazione dei primi tempi del cristianesimo. Una evangelizzazione rinnovata sarà, dunque, l’obiettivo che più deve interessare la Chiesa locale, cominciando dalla catechesi, che di essa è l’applicazione concreta e lo strumento di base.

In realtà, dall’analisi della situazione - ripeto - e dai nostri colloqui personali è emersa questa esigenza come prioritaria e condizionante: la catechesi. Ecco, dunque, la via da seguire, ecco lo strumento da scegliere subito e sul quale fondare la comune speranza: dico una catechesi assidua, capillare, sistematica, permanente. Essa dovrà essere a fondamento di tutta l’azione pastorale, e costituire il compito primo di ogni pastore d’anime, per offrire il nutrimento indispensabile al popolo di Dio; dico “la catechesi che tende a sviluppare la comprensione del mistero di Cristo alla luce della Parola, perché l’uomo tutto intero ne sia impregnato” (cf. Catechesi Tradendae, 20).

È necessario che la catechesi, a cominciare da quella rivolta ai fanciulli, sia intesa e attuata come impegno di educazione e di formazione per la personalità cristiana, per lo sviluppo dell’organismo soprannaturale che ciascun fedele possiede già dalla rigenerazione battesimale. Tale formazione deve essere data ai fanciulli durante tutto l’arco dell’età evolutiva, sia nell’ambito familiare che in quello parrocchiale. Sia, dunque, cari fratelli, un’adeguata e appropriata catechesi la prima risposta ai problemi che emergono dalle mutate esigenze spirituali, culturali e sociali del vostro popolo.

4. È chiaro, tuttavia, che ai fini della sua attuazione si dovrà passare con pazienza e perseveranza attraverso precise fasi organizzative. Anzitutto occorre che ogni pastore d’anime sappia di essere per natura sua e sappia essere un catechista. Questa consapevolezza è come la premessa, direi, l’anima di tutto il suo impegno di sacro ministro, al quale compete l’esaltante servizio di garantire, guidare e stimolare l’armonico sviluppo della fede nella comunità, a cui è preposto.

Al pastore spetta anche la scelta dei collaboratori nell’insegnamento catechetico, affinché la famiglia di Dio adempia alla missione di trasmettere la Parola e la dottrina, rispondendo così a quel dovere di apostolato che la Chiesa esercita mediante tutti i suoi membri (cf. Apostolicam Actuositatem, 2). In base a questa esigenza occorrerà rivolgersi con fiducia all’aiuto dei laici. Sono essi la parte preponderante del popolo di Dio; spetta ad essi illuminare e ordinare tutte le realtà temporali, alle quali sono legati; spetta ad essi “rendere presente la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui la Chiesa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo” (cf. Lumen Gentium, 31). L’apostolato, quindi, è anche dei laici. Essi possono e debbono testimoniare la fede all’interno della famiglia, del mondo del lavoro, della professione e dell’impiego, della vita politica e sindacale, della vita economica e sociale, dello spettacolo, del turismo e dello sport. Essi possono e debbono, altresì, farsi interpreti e annunciatori della fede cristiana nella catechesi in una maniera tanto vasta quanto efficace. Fate in modo pertanto che in oggi parrocchia, secondo le concrete esigenze della rispettiva comunità, operino insieme con i sacerdoti e i religiosi, laici qualificati e ben preparati. Né si deve temere di sprecare energie, quando si tratta di disporre scuole o centri di formazione per catechisti. Converrà anzi mettere in comune, se necessario, forze e mezzi tra diocesi e diocesi, tra parrocchia e parrocchia, utilizzando anche l’apporto degli Istituti teologici della Regione, affinché la preparazione dei collaboratori sia valida, accurata, rispondente alle necessità. È infatti necessaria questa sapiente coordinazione di tutte le energie disponibili, scoprendo e mettendo a frutto le molteplici risorse per un servizio sempre più valido alla parola di Dio e all’edificazione del suo regno.

5. La Chiesa ha bisogno di coloro che vivono nel mondo e ne comprendono la mentalità, per intendere il linguaggio del nostro tempo e inserire in esso l’annuncio della fede. “Perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta” (Gaudium et Spes, 44), sarà necessario che i docenti degli Istituti teologici collaborino insieme con gli specialisti del metodo catechetico per individuare le precise istanze dell’ambiente. Loro specifico ufficio è proporre integra la verità della fede nel linguaggio e nella cultura del nostro tempo; in particolare presentare nel suo genuino equilibrio l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, base indispensabile per l’edificazione di comunità in cui tutti i carismi siano adeguatamente valorizzati in vista della missione di salvezza.

Nell’approfondire il concetto della Chiesa locale o, meglio, di Chiesa particolare, i teologi eviteranno pertanto quelle enfatizzazioni unilaterali e insostenibili per le quali la Chiesa sarebbe originariamente e prioritariamente la Chiesa locale. Come già sottolineavo al Convegno di Loreto (n. 6), “le Chiese particolari, nelle quali e a partire dalle quali sussiste l’una e unica Chiesa di Cristo, trovano infatti il loro senso autentico e la loro consistenza ecclesiale solo come espressioni e realizzazioni della "catholica", della Chiesa una, universale e primigenia”.

Accanto al ruolo degli specialisti di teologia e catechesi resta necessario l’inserimento del laicato nella vita e nella missione della Chiesa. Se i laici si renderanno sempre più conto di appartenere alla Chiesa in forza di quella vocazione, che si fonda sul Battesimo e sulla Cresima, e di condividere la sua stessa funzione salvifica, allora saranno anch’essi operatori responsabili di quella restituzione dell’uomo, e del mondo al Padre che Cristo, Figlio eterno e insieme vero uomo, fece una volta per sempre (cf. Redemptor Hominis, 20). È necessario perciò che i laici posseggano la dovuta preparazione per la lettura del Vangelo, che la celebrazione eucaristica si manifesti per loro come culmine e fonte di ogni evangelizzazione, nonché come alimento della fede e della grazia. In prima fila dovranno figurare i membri delle varie associazioni cattoliche, dando una chiara testimonianza della missione loro affidata dalla gerarchia. In particolare, l’Azione cattolica sappia essere, insieme con le altre associazioni, forza trainante in seno al laicato. Converrà, inoltre, che i Consigli pastorali, diocesani e parrocchiali, promuovano il coinvolgimento dei laici disattenti o lontani dalla vita ecclesiale, e si impegnino per l’evangelizzazione dei non cristiani.

6. Cari confratelli, avviate con pazienza e fiducia il vostro programma d’azione, partendo dalla catechesi ai ragazzi e ai giovani. In loro la parola, seminata come buon seme, darà a suo tempo i frutti sperati. Aperto e disponibile è il loro animo a riconoscere l’amore di Dio, a imparare ad amare Gesù Cristo, a comprendere la sua parola. Essi potranno mettere nella loro vita le basi fondamentali per una mentalità cristiana e per quella testimonianza che daranno ancor meglio da adulti in favore della dottrina predicata dalla Chiesa. Grazie alla catechesi, essi saranno portati a vivere in profondo l’esperienza meravigliosa dei sacramenti, e sarà appunto l’itinerario catechetico a tener desta sempre in loro la coscienza del Battesimo ricevuto, a portarli con fiducia al sacramento del perdono, a prepararli all’incontro frequente con Cristo nell’Eucaristia. Rinvigorendo in loro la coscienza di essere “nuove creature”, rinate dall’acqua e dallo Spirito Santo, la catechesi li aiuterà a crescere come “uomini nuovi”. Sarà ancora la catechesi a educarli alla preghiera e alla professione di fede nel dialogo personale con Dio e nel riguardare alla sua luce gli eventi del mondo.

7. Noi lavoriamo per il regno di Dio, e ciò facciamo non con l’animo triste di chi constata solo carenze o pericoli, ma con la ferma fiducia di chi sa di poter contare sulla vittoria di Cristo. Io desidero, per questo, ripetere a voi le parole stesse, che con premurosa insistenza vi rivolse un giorno il mio predecessore Paolo VI per invitarvi e confermarvi nella speranza. “Sì, la fiducia - egli disse - la quale non ignora le difficoltà del tempo presente, né le delusioni che possono colpire il nostro ottimismo”. Ma “non saremmo fedeli seguaci del divino Maestro, se non sapessimo spingere la nostra fiducia «in spem contra spem» (Rm 4, 18), in ogni situazione, anche la più ardua”.

Cristo ha generato la Chiesa, suo corpo mistico, col suo sangue, col suo martirio, morendo sulla croce e attuando con tale “annichilimento” la piena vittoria sul male. In lui confidiamo per la rinascita cristiana del nostro popolo, ben sapendo che siamo stati rigenerati non da seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio, viva e eterna (cf. 1 Pt 1, 23).

Unita al Signore in modo ineffabile è Maria, pienamente conforme al Figlio suo, vincitore del peccato e della morte; è lei segno di certa speranza e di consolazione per il popolo di Dio peregrinante. La santa Vergine di Pompei, che è onorata in modo singolare dal buon popolo della Campania, protegga e sostenga le vostre iniziative e i programmi pastorali che intendete attuare. Essa vi aiuti ad accogliere l’iniziativa di Dio, la sua parola, il suo messaggio; vi conduca, insieme al vostro popolo, a un’autentica e vigorosa crescita nella fede.

Fidando nell’intercessione della Vergine, io imploro da Dio luce, conforto, forza, intensità di propositi e di realizzazioni per voi e per i vostri collaboratori - sacerdoti, religiosi e laici -, mentre di cuore vi imparto la benedizione apostolica, estensibile a tutti i fedeli di ciascuna comunità diocesana.

 

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