VISITA PASTORALE A VERONA
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIOVANI DEL TRIVENETO NELL’ARENA DI VERONA
Domenica, 17 aprile 1988
1. Mi trovo in una situazione molto speciale, perché da una parte ho già un discorso preparato, ma dall’altra parte mi vengono delle tentazioni. Ma come fare con le tentazioni quando noi ogni giorno preghiamo “et ne nos inducas in tentationem”? Allora facciamo così: facciamo pubblicare questo discorso.
Adesso vi dirò brevemente che cosa mi è venuto in mente partecipando a questa vostra assemblea. Soprattutto vi ringrazio per questo invito, per la presenza di così numerosi rappresentanti di tutto il Veneto, anzi del Triveneto, di tutte le diocesi, di tutte le Chiese. Vi ringrazio per il programma che avete preparato. Questo programma è sempre interessante.
2. Qualcuno ha detto che il Papa ama incontrarsi con i giovani. È vero, si, ma non mi piace tanto quando sono troppo insistenti con le domande. Non mi piace. È un modo un po’ giornalistico, da intervistatori. Mi piace invece quando i giovani vogliono dire da parte loro quello che sentono o ancora di più. Voi oggi avete detto molto ed è la cosa più importante. Avete parlato. Lo avete fatto con la vostra presenza, con questi cappelli, con i vostri canti, con la vostra danza. Vorrei soffermarmi su questa danza, perché se ho sentito una tentazione l’ho sentita soprattutto durante questa danza.
La danza è una categoria dell’arte molto tradizionale, sempre moderna, nella quale l’uomo, la donna, il giovane, non parlano con le parole, ma parlano con una coreografia, con i gesti, con la bellezza di questi gesti, parlano con il corpo. Questo ci dice che cosa è l’uomo: uno che parla anche con il corpo.
Il suo corpo ha anche un linguaggio ed il linguaggio serve a manifestare sempre un messaggio. Nella danza, forse ancor più che nelle altre categorie dell’arte, si vede come l’uomo è determinato dalla sua natura intellettuale.
Anche l’uomo è un verbo, una parola. Quando danza, parla, si esprime. La danza che, con grande soddisfazione, con ammirazione, abbiamo visto, voleva esprimere tante cose. Era una danza simbolica, ricca di simboli. Non vorrei fare una interpretazione di questi simboli, di questo simbolismo della vostra danza, ma era chiaro a tutti noi che i giovani, i diversi gruppi coreografici volevano dirci qualche cosa con i loro movimenti, con i loro corpi, con questa danza, che ci fa pensare. Con questa danza avete rivolto un messaggio a voi stessi, a noi tutti, anche a me.
Devo dirvi che sono un recettore molto sensibile ai messaggi dei giovani, specialmente quando essi parlano con i gesti, con l’espressione artistica. È una parola certamente meno scientifica, meno precisa, meno astratta, ma una parola abbondante, ricca, simbolica. Se la parola umana, le parole dei libri, i sistemi scientifici cercano di precisare le cose, le idee, i concetti, il simbolo ci suggerisce sempre molto di più. E con i simboli si vede maggiormente che l’uomo è un essere destinato alla trascendenza, a vivere al di là di sé. Vi ringrazio per questo messaggio.
3. Ma adesso viene la seconda parte: che cosa ho pensato seguendo la vostra coreografia. Ho pensato ad un’altra parola e ad un’altra dimensione della vocazione dell’uomo. Se l’uomo è capace di trasmettere la parola, di esprimersi, di parlare anche con il suo corpo - il linguaggio del suo corpo -, è chiaro che l’uomo deve essere capace anche di ascoltare, di ricevere la parola, e qui siamo subito alle radici di ciò che è il Vangelo. Il Vangelo è la Parola di Dio. Dio ci parla. Come dice l’autore della lettera agli Ebrei, all’inizio ha parlato attraverso i profeti e alla fine ha parlato attraverso suo Figlio, questo Figlio che san Giovanni presenta come Verbo. Allora Dio ha parlato all’uomo attraverso il suo Verbo, la sua Parola, Verbo fatto uomo.
Dio parla per essere ascoltato. Vorrei adesso ricordarvi due momenti di un tale ascolto, sì, di una conversazione. Un momento è legato al periodo pasquale nel quale viviamo. È lo stupendo colloquio dei due discepoli che vanno ad Emmaus con un pellegrino, un altro itinerante ignoto, e parlano con lui. Hanno aperto il loro cuore, hanno presentato le loro angosce dopo la passione e morte di Cristo, il Messia, a Gerusalemme e probabilmente fuggivano da Gerusalemme per non essere in pericolo quali discepoli del Maestro. E dopo le loro confidenze, l’ignoto ha cominciato a parlare. E ha fatto una stupenda catechesi basandosi su tutta la tradizione veterotestamentaria, sui profeti, per spiegare che non poteva essere altrimenti: che quegli che essi aspettavano e che avevano trovato come Messia, non poteva non soffrire. E cercava di presentare loro come nel vecchio testamento tutto ciò era già presente. E lo sappiamo che era presente, soprattutto nei profeti, in particolare in Isaia. Sono cose stupende. Isaia è uno che vede, per esempio, la passione di Cristo meglio di qualsiasi evangelista, nella sua epoca, secoli prima. Il famoso cantico sul Servo di Jahvè è veramente una descrizione quasi da testimone oculare della passione di Cristo, più commovente, più esatta di ogni narrazione evangelica.
4. Allora Cristo - essi non sapevano che era Cristo - ha cercato di parlare ai due suoi compagni di strada, di presentare loro come nel vecchio testamento era presente tutto ciò, come il Messia doveva soffrire. E loro ascoltavano. Ascoltavano certamente con un atteggiamento buono, con apertura di cuore. Erano forse anche pronti ad accogliere quello che diceva, ma la verità era sempre troppo difficile. L’esperienza del venerdì santo era ancora troppo vicina, troppo sconvolgente. Non potevano capire il Messia, il Figlio di Dio, condannato a morte, crocifisso, morto. E alla fine viene ancora una parola, che non e più una parola, ma è il pane. Hanno spezzato il pane e in quel momento hanno capito. Si, lo hanno riconosciuto: è lui.
Carissimi, è una stupenda narrazione biblica di come Cristo parla ai suoi discepoli, a questi due di Emmaus, ma anche similmente a tutti noi. Così vuole parlare. Così vuole conversare con noi. Bisogna aprirci. Bisogna ascoltare. Bisogna cercare di capire. Bisogna oltrepassare i limiti, perché tutto ciò che è divino, che è rivelato, che è soprannaturale, è superiore all’umano, ai nostri limiti. E molti non lo accettano perché non vedono o non possono oltrepassare questi limiti.
5. C’è una stupenda lezione che ci presenta come si deve ascoltare la Parola di Dio e come quella parola ultima, decisiva è l’Eucaristia. Ho conosciuto tante persone molto colte, scienziati, altre che avevano difficoltà con la fede. Alla fine decidevano: vado alla Confessione, vado alla Comunione. E tutto era risolto.
Perché dico tutto questo? Lo faccio, carissimi, per dirvi cosa ho pensato durante questo programma, per dirvi come il Papa ha tratto profitto dal vostro programma, dai vostri canti, dalle vostre danze. Ne ho tratto profitto così, con questa riflessione. Voi tutti, noi tutti, ciascuno di noi è, come uomo, come persona umana, capace di esprimersi, di parlare, di essere ascoltato, di trasmettere al mondo il suo messaggio. Ma nello stesso tempo ciascuno di noi deve essere un ascoltatore. Il nostro messaggio, il mio, il tuo, sarà tanto più adeguato, sarà - direi - tanto più salvifico, quanto più dentro questo tuo, nostro messaggio, sarà già presente l’ascolto della Parola di Dio.
6. Per concludere, voglio augurare a tutti voi giovani del Triveneto e a tutti i giovani d’Italia e del mondo, di vivere questa espressione della vostra personalità, questa vostra parola, questo vostro messaggio. Vi auguro di far giungere questo messaggio al mondo. Ma vi auguro nello stesso tempo e ancora di più di saper ascoltare la Parola di Dio, il suo messaggio e di porre questo messaggio di Dio, questa parola di Cristo, dentro il vostro messaggio, dentro ciò che potete, che dovete dire ai vostri coetanei, ai vostri colleghi, ai vostri amici, al mondo, a tutti, ai giovani, agli anziani.
Prendere dentro, incorporare, assorbire il più profondamente possibile la Parola di Dio dentro il messaggio della vostra vita, della vostra giovinezza, delle vostre personalità, nei vostri ambienti e comunità. Ecco, la nuova evangelizzazione del mondo, dell’Europa sarà questo.
7. Ho detto che c’è un altro esempio di ascolto. Ne parlerò brevemente perché è troppo grande per poterlo presentare ampiamente: è la Vergine. La Vergine dell’ascolto. Sono poche le sue parole nel Vangelo, ma è tanto il suo ascolto. L’evangelista dice: tutte queste cose ha sempre conservato, considerato, ponderato nella sua memoria, nel suo cuore, nel suo spirito. Grande ascolto: per questo poteva essere Madre di Cristo, del Verbo, e per questo può essere anche madre nostra, perché da una madre ci si aspetta sempre che sappia ascoltare, che sappia ascoltarci.
© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana