DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLO ZAIRE
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»
Sabato, 23 aprile 1988
Caro Signor Cardinale,
cari Fratelli nell’episcopato.
1. Vi ringrazio dei sentimenti di fiducia da lei espressi, signor Cardinale, a nome dei Vescovi delle vostre tre province, e del racconto del vostro impegno e delle vostre preoccupazioni di pastori. Con grande gioia vi accolgo e, con voi, la Chiesa dello Zaire.
Questa Chiesa mi ha ricevuto calorosamente due volte, nel 1980 e nel 1985; e nel corso della vostra precedente visita “ad limina”, nel 1983, abbiamo affrontato insieme un certo numero di questioni importanti. L’anno scorso mi avete indirizzato un documento espositivo dei maggiori obiettivi della vostra pastorale; li ho tutti in mente; si uniranno a quelli che sto per presentare. Sono, queste, tappe e strumenti della vostra comunione con il successore di Pietro e con i dicasteri della Santa Sede.
Conosco il vostro zelo al servizio dei vostri compatrioti, le numerose iniziative per rispondere alle necessità della Chiesa e ai bisogni della società, a prezzo di grandi fatiche e sacrifici, in diocesi molto vaste, con una popolazione cristiana dispersa nel territorio.
Che il Signore renda fruttuoso il vostro ministero nel cuore del continente africano!
2. Vorrei cominciare meditando con voi sulla nostra missione di Vescovi. Essa ha la sua origine nelle parole rivolte da Gesù Cristo agli apostoli, cui dobbiamo ritornare continuamente. Questa missione è ben descritta nella prima lettera di san Pietro (1 Pt 5) e nelle lettere di san Paolo. Voi venite in pellegrinaggio alle loro tombe per entrare in comunione con loro nell’ardente professione di fede sulla quale fondarono la Chiesa. Conserviamo anche nella memoria l’esempio di tanti santi pastori, a Roma e nelle altre Chiese particolari. Basta citare il nome di Cipriano e di Agostino: noi tutti siamo della loro stirpe. Il Concilio Vaticano II si è soffermato a lungo sulla missione dei vescovi (cf. Lumen Gentium, Christus Dominus): questi testi descrivono la nostra funzione di successori degli apostoli, oggi. E, al momento della vostra consacrazione episcopale, ciascuno di voi ha ricevuto, attraverso l’imposizione delle mani trasmessa senza soluzione di continuità a partire dagli apostoli, lo Spirito che fa di voi i sacerdoti e i pastori del popolo santo, “Spiritum principalem”.
Il Signore mi ha assegnato, in mezzo a voi, il compito di confermarvi - “confirmare” - in questa grande missione, affinché noi insieme possiamo assicurare l’unità della Chiesa, la sua fedeltà, il suo progresso, secondo la volontà del Signore.
3. “Spiritus principalis”: il pastore è il capo che raduna il gregge, che marcia alla loro testa, che lo governa dividendo i compiti, che, con i suoi collaboratori sacerdoti, lo conduce alle fonti della vita, che vigila perché sia nutrito con la dottrina e i sacramenti della fede, lo conduce alla santità. Voi siete stati resi personalmente responsabili dell’annuncio e dell’approfondimento della Parola di Dio, responsabili di una degna celebrazione dei sacramenti, responsabili dell’unità. Per questo, dovete intervenire con chiarezza presso gli uomini, ma altrettanto intercedere presso Dio per il vostro popolo.
Le istituzioni della Chiesa hanno le loro proprie leggi e spirito, che corrispondono al Vangelo. Il pastore non è dunque un capo come quelli della società civile. Gesù ci ha avvertito nell’ultima cena (cf. Lc 22, 24-27). Il pastore dispone dell’autorità necessaria, ma con la disponibilità del servo che dà per le sue pecore la vita, le forze, il cuore.
Una autorità rafforzata dall’esempio di santità che accompagna il ministero, secondo l’esortazione di san Pietro: “Pascete il gregge di Dio che vi ha affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio . . . facendovi modelli del gregge” (1 Pt 5, 2. 3). Insomma, l’autorità che esercitiamo come Vescovi è quella del padre che cerca di farsi vicino ai sacerdoti, ai religiosi e ai laici, li va a trovare, conosce i loro desideri e i loro bisogni, come il pastore conosce le pecore, le consiglia, le incoraggia, le aiuta ad assumersi le loro responsabilità con bontà e semplicità di cuore.
Questo abbiamo promesso alla nostra ordinazione episcopale.
4. Cari fratelli, il nostro compito di pastori comprende in particolare il carisma dell’unità.
La società si compone di molte etnie, ciascuna con la sua storia, le sue tradizioni, la sua originalità, la coscienza dei suoi valori.
Questa diversità è una ricchezza per il Paese, a condizione che ogni etnia venga accolta, rispettata e accetti di collaborare al bene comune delle società e della Chiesa, senza chiusure, senza diffidenza verso le altre, senza spirito di clan.
La Chiesa anche qui può dare testimonianza. A imitazione di Cristo e seguendo le esortazioni delle lettere di san Paolo, essa è chiamata a manifestare accoglienza, apertura, benevolenza, solidarietà, amore al di là di ogni tipo di divisione. In questo spirito le diocesi sono invitate ad accogliere il loro Vescovo, anche se appartiene a una diversa etnia, e il Vescovo si fa tutto a tutti senza privilegiare il gruppo a lui più familiare, senza alcuna discriminazione. La costituzione e il buon funzionamento dei consigli diocesani faciliteranno notevolmente lo spirito di comunione tra tutte le forze vive. Il consiglio presbiterale e il Consiglio pastorale, previsto dal diritto della Chiesa, sono delle istanze molto utili per evitare l’isolamento del Vescovo, per aiutarlo, nel dialogo, a prendere decisioni migliori, a dare gli orientamenti dinamici di cui sacerdoti e laici hanno bisogno, a esercitare il suo ministero personale nella interezza evangelica.
Sì, voi siete gli “artigiani” dell’unità diocesana, e anche i servi dell’unità della Chiesa dello Zaire, per la vostra fiduciosa collaborazione nel quadro delle province e della conferenza episcopale. La comunione si vive insieme con le altre Chiese particolari, con la Chiesa universale e specialmente con la Santa Sede che è al servizio di questa comunione. Questo è l’aspetto più bello della Chiesa fin dalle origini; una unità dinamica, che non è uniformità ma tiene in conto i particolari, è adesione all’essenziale e, soprattutto, carità. E questo modello ecclesiale non può mancare di avere positive ripercussioni sulla stessa società.
5. Ecco dunque la coscienza pastorale con cui dovete affrontare il vostro ministero pastorale. L’evangelizzazione, che è il cuore di questo ministero, passa, ai vostri occhi, attraverso nuovi progressi nell’inculturazione della fede. La Santa Sede ne è convinta. E sa con quanta serietà volete confrontare la cultura del vostro popolo con il dato della rivelazione per incarnare meglio il messaggio cristiano nella liturgia, nella ricerca teologica e nella catechesi, nella pastorale del matrimonio.
Questo suppone - come dite voi stessi - uno studio approfondito e critico dei costumi in vigore tra voi. Per facilitarlo voi avete a vostra disposizione un istituto di studi specializzato e auspicate la creazione di un centro di archivi ecclesiastici e di tradizioni africane.
In realtà, il messaggio evangelico svolge un ruolo profetico e critico. Vuole rigenerare, passare al vaglio ciò che è ambiguo, segnato da debolezza o peccato, sia nei vostri costumi ancestrali che nelle pratiche di recente importate dall’estero. Così si potrà assumere tutto ciò che è buono, nobile e vero, al fine di esprimere il mistero cristiano secondo il genio africano. Questa impresa richiede molto tempo, molta lucidità teologica, molto discernimento spirituale, oltre a vaste consultazioni, in unità con la Chiesa universale e d’accordo con la Santa Sede. Tutti coloro che lavorano a quest’opera devono anzitutto approfondire lo studio della Bibbia, dei Concili e dei documenti del Magistero. Assimilando nella fede il messaggio universale del mistero cristiano, potranno integrarlo nella loro cultura. Perché, in definitiva, ciò che interessa per la salvezza è che la stessa linfa della vite, che è Cristo, vivifichi tutti i tralci.
Per quanto riguarda la celebrazione dell’Eucaristia, la forma attualmente ad “experimentum” richiede ancora qualche esame e qualche precisazione da parte dei nostri dicasteri per entrare in un messale da usare nelle diocesi dello Zaire. Ma ecco là un buon esempio di dialogo con la Santa Sede. Auspico che avvenga lo stesso per l’insieme del rituale dei sacramenti che state mettendo a punto.
6. Quanto al contributo zairese alla ricerca teologica, ne ho parlato a lungo con voi nel 1983. C’è da voi un fiorire di ricerche, di tentativi di riflessione, per meglio comprendere ed esprimere nella cultura zairese il dato rivelato. È già una possibilità e un contributo alla cattolicità. Come vi dicevo, bisogna evitare di richiudersi su se stessi, bisogna che il rapporto con Cristo sia reale, profondo, radicale. Bisogna tener conto del patrimonio comune della fede. E tocca di nuovo ai vescovi, dottori e padri nella fede, di giudicare in ultima istanza dell’autenticità cristiana delle idee e delle esperienze.
In questo campo, le facoltà cattoliche di Kinshasa (teologia, filosofia e centro studi delle religioni africane) possono svolgere un ruolo determinante. Esse già esercitano una notevole influenza da voi e nel continente africano per le loro molteplici attività e pubblicazioni. Auspico che la ricerca sia sempre serena, fedele al Magistero e persegua obiettivamente la verità, indipendentemente dalle pressioni di certi gruppi o di certe tendenze teologiche riduttive. So che su questo vigila il comitato permanente della conferenza episcopale, e incoraggio la collaborazione di tutti i Vescovi in questo campo. La competenza, la coscienza professionale, la qualità spirituale, il senso ecclesiale e l’esempio di vita degli insegnanti saranno, qui come dappertutto, la garanzia più sicura del lavoro scientifico di cui la Chiesa ha bisogno, proprio per una autentica inculturazione. Altri centri teologici stanno nascendo in Africa, con i quali il centro di Kinshasa potrà collaborare.
Avete accennato alle proliferazioni delle sette e alla loro azione corrosiva. I motivi sono senz’altro molti. Il fatto è serio e invita a sviluppare la formazione catechetica dei fedeli e le comunità ecclesiali vive, perché coloro che sono attirati dalle sette, ricercano probabilmente una risposta semplice o sincretista ai loro problemi, e un sostegno affettivo, che è nell’ordine della carità.
7. Tra le vostre preoccupazioni è sempre stata centrale la formazione di un laicato adulto e competente, capace di assumere pienamente le sue responsabilità nella Chiesa e nel mondo. Il vostro impegno in questo campo ha già portato molti frutti, almeno per quanto concerne il coinvolgimento dei laici nei compiti ecclesiali propriamente detti.
Resta da compiere il notevole lavoro di risvegliare il senso della loro responsabilità di battezzati di fronte alla società, nella quale sono chiamati ad essere “il sale della terra”. Voi stessi lo riconoscete: l’impatto dei cristiani zairesi nella gestione degli affari temporali, secondo lo spirito del Vangelo, potrebbe essere più consistente. Per riprendere il messaggio dei padri all’ultimo Sinodo dei Vescovi, il dovere dei laici è stato e resta di impregnare sempre più fortemente dello Spirito di Cristo i campi della vita sociale, della famiglia, del lavoro e della ricerca di migliori condizioni di esistenza. In questo modo essi collaborano alla santificazione del mondo e alla realizzazione del Regno di Dio.
Di qui l’importanza dell’apostolato tra le elites intellettuali e sociali del vostro Paese, perché è indispensabile (senza confondere Chiesa e Stato) che la parola della salvezza si faccia intendere al cuore stesso dei grandi dibattiti che mettono in causa l’avvenire del vostro Paese. Fate tutto quello che è possibile per mettere al servizio degli intellettuali della vostra nazione sacerdoti competenti e mezzi adeguati di formazione, per aiutarli a sviluppare le loro energie di battezzati.
8. Già da molto tempo, lo stato di salute della famiglia e della coppia vi preoccupa.
Voi sottolineate che il problema fondamentale consiste nel favorire la maturazione delle persone, affinché esse prendano coscienza delle loro responsabilità e le esercitino per il bene della famiglia e, in definitiva, della società intera. Giustamente voi reagite davanti a certe politiche malthusiane che svalorizzano la paternità e la maternità, la cui dignità i vostri compatrioti hanno sempre riconosciuto.
Avete notato, tra l’altro, che una affermazione mal-compresa dell’identità culturale africana rischierebbe di far rinascere certi costumi sfavorevoli al matrimonio cristiano tra cui: la poligamia, la conclusione del solo matrimonio tradizionale, la ricerca della fecondità senza l’intenzione di una stabile unione matrimoniale. D’altra parte, voi osservate che il rifiuto sconsiderato di certi valori culturali africani non avviene senza rischi, perché può condurre a unioni fragili, prive delle garanzie di stabilità che offrono i clan e le famiglie dei partners. È quindi necessaria una catechesi perché i fedeli scoprano il significato del matrimonio cristiano e quello che aggiunge al legame tradizionale degli sposi. Vi attende dunque un grande lavoro di educazione in questo campo, per non parlare dell’elaborazione di un rituale per la celebrazione del sacramento del matrimonio, che tenga conto di certi aspetti della tradizione africana. La Chiesa, da parte sua, mette in rilievo l’atto del mutuo consenso degli sposi, come sigillo della loro alleanza, perché essa desidera che l’essenziale risalti con nettezza nel cuore delle celebrazioni.
Voi sapete anche quale sforzo di formazione dovete attuare per far comprendere ai futuri sposi e spose l’insegnamento della Chiesa sulla paternità e maternità responsabili, sulla sterilità, sul rifiuto della poligamia e sul rispetto dell’uguale dignità delle persone. Vi incoraggio a continuare a far assumere la responsabilità delle famiglie alle comunità ecclesiali vive, esse pure composte da famiglie credenti e apostoliche: ci sono promettenti segni di sviluppo per la Chiesa nello Zaire.
Continuerò queste riflessioni con i vostri confratelli, soprattutto sul tema delle vocazioni. Nel corso dei colloqui con i dicasteri, voi svilupperete questi temi e altri che non ho potuto trattare. Volevo soprattutto dimostrarvi il mio interesse per le vostre preoccupazioni più gravi e confermarvi nella vostra missione di pastori. In segno di incoraggiamento, vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica, che estendo ai vostri collaboratori e alle vostre diocesi.
© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana
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