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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI VESCOVI DEGLI STATI UNITI D
AMERICA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 8 luglio 1988

 

Cari fratelli nel Signore Gesù Cristo.

1. La vostra gradita presenza oggi richiama tutti gli eventi celebrati insieme nelle province di Los Angeles e San Francisco durante la mia visita pastorale dello scorso settembre.

Ogni avvenimento non solo coinvolgeva la Chiesa locale ma comportava la partecipazione di molte altre persone. Inoltre, c’erano presenti milioni di fedeli. In questo modo, per esempio, ho potuto parlare da San Francisco a tutti i laici e i religiosi degli Stati Uniti. I precedenti incontri a Los Angeles a Monterey similmente hanno avuto grande importanza per individuare la direzione che la Chiesa cattolica deve prendere nella sua vita e nel servizio all’umanità, mentre cammina sotto l’azione dello Spirito Santo, verso la purificazione necessaria per una adeguata celebrazione del millennio. Occorrerebbe molto tempo per richiamare tutti i particolari di quanto abbiamo vissuto insieme in California. Anche se non è possibile farlo ora, desidero che la Chiesa negli Stati Uniti riviva l’impegno di quei giorni e così rinnovi la apertura alla Parola di Dio proclamata dal successore di Pietro in quelle occasioni. Questo atteggiamento è necessario per assicurare il successo di un piano pastorale complessivo che deve guidare la Chiesa del vostro Paese negli anni a venire.

2. Un avvenimento di quei giorni ha ora uno speciale rilievo. È la visita fatta alla Basilica di Carinel e alla tomba di fra Junipero Serra. Fra meno di tre mesi alcuni tra noi si ritroveranno ancora qui alla sua beatificazione, con cui la Chiesa lo proclama ufficialmente degno di onore e imitazione da parte di tutti. Venerando “L’apostolo della California” sulla sua tomba, parlai del suo contributo, che fu di “proclamare il Vangelo di Gesù Cristo all’alba di un nuovo secolo” (“Allocutio in loco v. d. «Missione di San Carlo Borromeo», in urbe «Carmel», ubi veneratur sacellum Fratis Junipero Serra, 1, die 17 sept. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 [1987] 694 s). Cercai anche di presentare l’essenza del suo messaggio, che è la necessità costante di evangelizzare. Contestualmente dichiarai: “Come padre Serra e i suoi fratelli francescani, anche noi siamo chiamati ad essere evangelizzatori, a partecipare attivamente alla missione della Chiesa di fare discepoli tutti gli uomini”.

La prima evangelizzazione e l’evangelizzazione permanente sono necessità pressanti nel mondo di oggi. La Chiesa, nel perseguimento di questo compito - cercando di legare il mistero dell’uomo al mistero di Dio ha bisogno di avere un’idea molto chiara dello scopo e dei mezzi per conseguirlo. Di grande aiuto in questo sono i principi - guida e le intuizioni sinteticamente espresse dal Concilio Vaticano II. Una di queste verità espresse con forza dal Concilio è che “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Gaudium et Spes, 22). Per comprendere pienamente l’umanità, la sua dignità e il suo destino, il mondo deve comprendere Cristo. Cristo non soltanto rivela Dio all’uomo ma rivela anche l’uomo a se stesso. Il mistero dell’umanità diventa comprensibile nel Verbo incarnato. Questo principio diventa una forza guida per la Chiesa in tutte le sue iniziative tese a illuminare il mistero dell’umanità nel mistero di Cristo.

3. Questo è vero soprattutto nella catechesi, in cui la Chiesa cerca di guidare l’individuo a una più grande comprensione di sé per, in e con Cristo. Per raggiungere Dio, l’uomo deve comprendere se stesso, e per farlo deve guardare a Cristo. L’essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio. La piena immagine di Dio si trova espressa eternamente in Cristo, che san Paolo chiama la “immagine del Dio invisibile” (Col 1, 15).

In quanto creatura, l’uomo è anche un essere sociale chiamato a vivere in comunità con gli altri. La più alta forma di comunità e di relazione interpersonale è quella vissuta da Cristo nella comunione della Santissima Trinità.

L’essere umano inoltre comprende se stesso come fatto di corpo e anima intimamente uniti in una sola persona. In Cristo sono uniti ipostaticamente in un sola divina persona la natura umana e divina. Il meraviglioso destino dell’uomo è partecipare, attraverso l’umanità di Cristo, di quella natura divina (cf. 2 Pt 1, 4). L’uomo è chiamato a glorificare Dio nel suo corpo e a trattare il suo corpo in un modo degno della sua dignità. In Gesù stesso dimora, corporalmente, la pienezza della divinità (cf. Col 2, 9). Attraverso il suo intelletto l’uomo oltrepassa tutto l’universo materiale e viene a contatto della verità divina. Gesù in quanto Verbo incarnato proclamò la sua totale identificazione con quella verità, quando disse: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6).

Per l’azione dello Spirito Santo l’uomo ha la possibilità di conoscere il disegno di Dio, che riguarda la creazione e la redenzione. Gesù stesso è il disegno di Dio: “tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1, 3). E ancora, noi sappiamo che Dio lo ha reso “per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1, 30).

Cominciando a conoscere se stesso, l’uomo scopre nel profondo della sua coscienza una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire (cf. Gaudium et Spes, 16). Gesù stesso rivela la pienezza e l’essenza di ogni legge, che si riassume nell’amore di Dio e del prossimo (cf. Mt 22, 37-40). L’amore come lo comanda Gesù è il solo che soddisfa pienamente il cuore dell’uomo.

La autentica libertà è un segno speciale dell’immagine di Dio nell’uomo. Gesù uomo comprende in sé la più alta forma di libertà umana, per cui consacra al Padre la sua vita e la sua morte e vive in totale accordo con la sua volontà. Egli afferma che la sua libertà è per il Padre, dicendo: “Io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8, 29). Nello stesso tempo Gesù distrugge ciò che nella persona umana si oppone alla libertà. La sua missione è di vincere chi tiene schiava la coscienza dell’uomo.

Il destino ultimo per gli esseri umani è la morte. Guardando a Cristo l’uomo impara di essere destinato alla vita. L’Eucaristia è il pegno della vita. Chi mangia la carne di Cristo e beve il suo sangue ha già la vita eterna (cf. Gv 6, 54). Infine, vincendo la morte con la sua risurrezione, Cristo rivela la risurrezione di tutti, proclama la vita e rivela l’uomo a se stesso nel suo destino ultimo, che è la vita.

4. Di importanza suprema per la Chiesa oggi è la presentazione della persona del Verbo incarnato come centro di tutta la catechesi. Alcuni anni fa, nel 1971, in accordo con il decreto conciliare Christus Dominus, la Congregazione per il Clero stabilì il Direttorio Catechetico generale per la Chiesa. L’intenzione era di promuovere una catechesi cristocentrica per tutto il Popolo di Dio. Per questo dichiarò: “La catechesi deve annunciare Gesù nella sua esistenza concreta e nel suo messaggio, vale a dire, deve aprire all’uomo la strada verso la mirabile perfezione della sua umanità” (Congr. Pro Clericis “Directorium Catechisticum generale”, 53).

Otto anni più tardi cercai di dare impulso a questo approccio cristocentrico alla catechesi con la pubblicazione della Catechesi Tradendae. In questo documento io dissi: “Al centro stesso della catechesi troviamo, essenzialmente, una persona: quella di Gesù di Nazaret . . . L’oggetto essenziale e spirituale della catechesi è . . . “il mistero di Cristo”. Catechizzare è, in un certo modo, condurre qualcuno a scrutare questo mistero in tutte le sue dimensioni . . . È dunque svelare nella persona di Cristo l’intero disegno eterno di Dio che in esso si compie . . . In questo senso, lo scopo definitivo della catechesi è di mettere qualcuno non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo” (Catechesi Tradendae, 5).

Questo importante sforzo verso una catechesi cristocentrica, così ampiamente trattata nel Sinodo del 1977 e nella esortazione apostolica ricordata prima, è divenuto anche il principio informatore nella preparazione di un catechismo universale che soddisfi alle comuni necessità della Chiesa. Questo documento è destinato ad essere un punto di riferimento per tutti gli sforzi catechetici a livello nazionale e diocesano, e anche per i catechismi di carattere generale e speciale che i Vescovi possono successivamente abbozzare con il proposito di fornire una adeguata conoscenza del contenuto della fede cattolica. Al suo cuore è la profonda convinzione che il mistero del Verbo Incarnato getta luce su tutta la vita e l’esperienza umana e che egli stesso è nella posizione di comunicare personalmente la verità che egli è. Ancora, secondo le parole della Catechesi Tradendae, “Bisogna dire dunque che nella catechesi è Cristo, Verbo incarnato e Figlio di Dio, che viene insegnato e tutto il resto lo è in riferimento a lui; e che solo Cristo insegna - mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce consentendo al Cristo di insegnare per bocca sua” (Catechesi Tradendae, 6).

Ciò che Cristo insegna è la verità che egli è, in se stesso e per noi. Egli ci ricorda “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Gv 7, 16). Egli parla come rivelazione del Padre, progetto di tutta la creazione, parola creatrice di Dio. Nel rivelare il Padre all’umanità, Gesù rivela in se stesso come il Padre guarda all’umanità. Egli rivela il progetto di Dio per la natura umana in tutte le sue espressioni e applicazioni. L’amore umano e il lavoro umano partecipano al divino modello di un amore increato che crea. La procreazione è una speciale partecipazione a quella divina prerogativa. L’autenticità e la finalità della sessualità, della giustizia e della libertà dell’uomo sono fondate nel piano eterno di Dio espresso in Cristo.

5. In quanto pastori della Chiesa voi sperimentate ogni giorno, soprattutto nel caso di migranti ed immigrati, i terribili e pressanti problemi della povertà. Avete spesso richiamato la vostra gente al senso di solidarietà nei confronti dei bisognosi. Avete sostenuto quanti lottano per una vita conforme alla dignità di uomini. Voi potete affermare con cognizione di causa che “la potente e quasi irresistibile aspirazione dei popoli alla liberazione costituisce uno dei più importanti segni dei tempi che la Chiesa deve studiare e interpretare alla luce del Vangelo” (Congr. Pro Doctr. Fidei Instr. “Libertatis Nuntius” de quibusdam aspectibus theologiae liberationis, die 6 aug. 1984, I, 1). Nello stesso tempo avete sperimentato come la richiesta di libertà e il desiderio di liberazione, che sono universali eppure diversi in forma e grado tra i popoli, hanno la loro fonte e la loro forza nell’eredità cristiana. Nel 1979, a Puebla, ho proposto tre verità - base per orientare l’impegno della Chiesa volto a liberare e sollevare gli indigenti. Si tratta della verità su Gesù Cristo, la verità sulla Chiesa, la verità sull’uomo. Ma in realtà la verità sulla Chiesa e sull’uomo deve essere approfondita alla luce del mistero di Gesù Cristo, Verbo incarnato.

Lo stesso si può dire di tutte le dimensioni della vita umana e cristiana. La provvidenza di Dio viene compresa solo in unione al destino eterno della persona umana così come viene rivelata dal Verbo incarnato. Il pieno significato del progresso umano e dello sviluppo deve tener conto dell’insegnamento di Cristo: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esca dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4; cf. Dt 8, 3). L’imperfezione della giustizia umana e l’inadeguatezza di ogni compimento terreno sono in ultima analisi collegati al disegno di Dio rivelato in Cristo, che “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Eb 13, 14). Il problema del dolore fisico e spirituale degli innocenti richiede una spiegazione che solo il Verbo incarnato può dare. E per darlo il più efficacemente possibile, egli la trae dalla croce.

6. Nel vostro ministero di Vescovi, incontrate sempre il fenomeno complesso dell’agnosticismo e ateismo. Voi giustamente siete convinti della necessità di un dialogo intenso e una fraterna collaborazione nei progetti di servizio all’umanità. Voi e le vostre Chiese locali siete impegnati a dare ragione della speranza che è nella cristianità ogni volta che vi viene chiesto. Giustamente contate sulla forza dell’esempio e della preghiera; sapete quanto è necessaria la pazienza e la fiducia perseverante. Tuttavia la grande forza che illumina il dubbio e il rifiuto delle coscienze è solo la luce del Verbo incarnato che è anche per loro come “Una lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori” (2 Pt 1, 19).

Di fronte all’ateismo che, come dice il Concilio, è “fra le cose più gravi del nostro tempo” (Gaudium et Spes, 19) e che si manifesta in fenomeni tra loro molto diversi, la Chiesa deve accettare il giudizio del Concilio che “nella genesi dall’ateismo possono contribuire non poco i credenti” (Gaudium et Spes, 19). Fino al punto di non rivelare l’autentico volto di Dio e della religione che si trova nel Verbo incarnato.

7. Nell’orientare le menti e i cuori dei fedeli verso il mistero del Verbo incarnato, la Chiesa desidera ardentemente portare questo mistero in ogni attività e cultura dell’uomo. La Chiesa in realtà desidera la nascita di un nuovo umanesimo, profondamente cristiano nella sua ispirazione, in cui la realtà terrena nella sua totalità sarà elevata dalla rivelazione di Cristo. Una delle prime caratteristiche di questo nuovo umanesimo è che la comunità si caratterizza per un senso di interdipendenza che si esprime nella solidarietà.

Questo è in accordo con l’intento di Cristo di elevare l’umanità non solamente come individui, senza reciproche relazioni, ma di raccoglierli in un solo popolo (cf. Lumen Gentium, 9; Gaudium et Spes, 32). Il Concilio Vaticano II comprese già l’esistenza di questa realtà, quando dichiarò: “In tal modo siamo testimoni della nascita d’un nuovo umanesimo in cui l’uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia” (Gaudium et Spes, 55). Solo la coscienza dell’interdipendenza - spinta fino alla dimensione mondiale - unirà le comunità a coltivare quei beni e valori naturali che fanno il bene dell’umanità e costituiscono la sua cultura di base.

La risposta di ogni comunità, comprese quelle nella Chiesa, alla coscienza di interdipendenza è l’esercizio della solidarietà, che è “una ferma e perseverante determinazione di impegnarsi per il bene comune” (Sollicitudo Rei Socialis, 38). A sua volta questa solidarietà o determinazione si esprime in una nuova preoccupazione morale per tutti i problemi che incombono sull’umanità. Due problemi di estrema importanza per milioni di nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo sono lo sviluppo e la pace (cf. Sollicitudo Rei Socialis, 26). L’esito positivo di questi problemi è profondamente influenzato dal modo in cui queste realtà vengono concepite nel contesto di un autentico umanesimo cristiano.

Il contributo specifico della Chiesa - dei suoi membri e delle sue singole comunità - alla causa del nuovo umanesimo, di una cultura davvero umana, è la piena verità di Cristo sull’uomo: il significato dell’uomo, la sua origine, il suo destino e, di conseguenza, la sua incomparabile dignità.

8. Cari fratelli Vescovi, avete un grande compito: guidare le vostre Chiese locali, in unità con la Chiesa universale, nel cammino di salvezza e aiutare con amore fraterno e paterno le diverse categorie di fedeli a compiere il loro dovere e privilegio di testimoniare Cristo nel mondo. Ma dovete ricordare anche - e questo vi darà grande gioia - che voi siete i più importanti annunciatori di Cristo, i più importanti catechisti del vostro popolo, i più importanti araldi del mistero del Verbo incarnato. A voi e a tutti i vostri fratelli del collegio episcopale, in unità con il successore di Pietro, è stata affidata la verità del Vangelo in un modo speciale, per la fedele custodia e la reale trasmissione. Questa verità noi proclamiamo non solo come salvezza e liberazione dal male, ma anche come base di un nuovo umanesimo che parlerà a tutto il mondo della solidarietà universale e dell’amorosa sollecitudine per tutti gli essere umani.

Tutto questo, cari fratelli, deriva dalla profonda convinzione e principio enunciato dal Concilio Vaticano II: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Gaudium et Spes, 22). Sulle tracce del vostro apostolo della California, e in solidarietà con tutti i vostri predecessori nell’evangelizzazione, continuate a proclamare con fiducia su e giù per El Camino Real, e oltre, il mistero del Verbo incarnato. Nel suo amore invio la mia benedizione a tutti i sacerdoti, diaconi, religiosi, seminaristi e laici della California, le Hawaii e il Nevada. “Pace a voi tutti che siete in Cristo” (1 Pt 5, 14).

 

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