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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL BRASILE IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» 

Sabato, 23 giugno 1990

 

Amati fratelli nell’episcopato,

1. È con il cuore pieno di sollecitudine pastorale che, dopo il gradito incontro personale con ciascuno di Voi, vi do il mio benvenuto alla sede di San Pietro, come Vescovi dal “Regional Oeste 1 e 2” del Brasile, per la visita “ad limina Apostolorum”, preparata con tanto impegno perché possa portare ad ogni Chiesa particolare, a tutta la Regione, al Brasile e, di conseguenza, a tutta la Chiesa, i frutti più ricchi ed abbondanti, che non possiamo non desiderare e ricercare nel compimento del particolare dovere che il nostro mandato pastorale ci impone.

Nel ricevervi, accolgo col pensiero tutti gli amati fratelli e figli che voi rappresentate e a cui dedicate tutto il vostro impegno di Pastori completamente dediti al proprio gregge e, nella solidarietà, a tutto il popolo di Dio. Vi chiedo inoltre che al vostro ritorno non dimentichiate di portar loro la mia speciale benedizione, garanzia del mio ricordo dinanzi al Signore, e di dir loro che il Papa li conserva tutti amorevolmente nel proprio cuore.

2. La visita “ad Limina” dei successivi e numerosi gruppi di Pastori che costituiscono l’Episcopato del Brasile sta seguendo un tracciato e sta realizzando una forte esperienza di comunione, affettiva e reale, grazie a tali e tanti dialoghi fruttuosi, con cui condividiamo una viva sollecitudine verso i maggiori problemi e sfide nella vita della Chiesa del vostro Paese.

Una di queste sfide, sulla quale vorrei oggi richiamare la vostra attenzione, è quella dell’importanza della formazione cristiana dei giovani.

So che questo è stato il tema trattato recentemente nella 28ª Assemblea Generale della Cnbb, sotto la prospettiva della “Formazione: Esigenze cristiane”, considerata come “una urgenza” che merita di essere assunta e tenuta in considerazione a tutti i livelli, sia ecclesiali che nazionali.

Come potrebbe essere altrimenti in un grande Paese come il vostro, con una larga maggioranza di giovani, proiettati con singolare dinamismo verso il futuro, quali protagonisti delle trasformazioni della società a tutti i livelli in questa fine di secolo? Non invano tutta la Chiesa dell’America Latina ha assunto nella III Conferenza Generale dell’Episcopato (Puebla, 1979) una “opzione preferenziale per i giovani” - sia pur non esclusiva né escludente - nella sua azione evangelizzatrice e nel suo impegno di catechesi. È impressionante, infatti, constatare che il 70% della popolazione latinoamericana ha meno di 25 anni, e che il 45% di essa ha meno di 15 anni. Faccio sempre un’esperienza molto concreta dello spessore e dell’urgenza di questa “opzione” quando effettuo i miei viaggi apostolici nel “Continente della Speranza” ed incontro così - come successe a Belo Horizonte nel viaggio del 1° luglio 1985 - moltitudini di giovani, molti dei quali confidano nelle vostre cure di Pastori.

Ma ciò che emerge nella quantità, pone ancora più in evidenza l’ordine qualitativo. Se l’uomo è la “via” della Chiesa, se la Chiesa percorre il cammino nella vita degli uomini, Essa non può non andare incontro e non tener conto di questo bene, di questa ricchezza dell’uomo, che è la sua giovinezza. La “opzione preferenziale” si illumina, perciò, nella precisa puntualizzazione che la gioventù costituisce una fase estremamente importante nella vita della persona, poiché si tratta di scoprire e, allo stesso tempo, di programmare, scegliere, prevedere e assumersi, come qualcosa di proprio, le prime decisioni. È propria di essa questa “unica e irripetibile potenzialità di una concreta umanità, nella quale è come inscritto l’intero progetto della vita futura” (cf. Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II: Ai giovani e alle giovani del mondo, 3). In questo cammino di affermazione della autocoscienza della propria personalità, di discernimento e di risposta riguardo alla vocazione della sua vita, alla sua integrazione nella vita professionale, alla costituzione della propria famiglia, al suo inserimento nella vita sociale . . ., in tutta questa densità di esperienze, il giovane tende a porsi, più o meno coscientemente, alcuni interrogativi esistenziali i “perché” più inquietanti e decisivi sulla vita individuale e sociale. Da come risolve ed affronta queste domande essenziali, dipende, in gran parte, il suo futuro. E se non ci riferiamo soltanto ad un giovane, ma a tutta una generazione, pensiamo, come è logico, che tutto il futuro della Chiesa e della Nazione poggi su di loro.

3. Quale ricchezza e quale sfida essere giovani oggi in Brasile! La gioventù brasiliana ci appare come un torrente impetuoso, pieno di vita che irrompe con forza nonostante gli ostacoli che incontra, a tutti i livelli decisionali, esigendo soluzioni concrete che non ammettono dilazioni. Essa sa di far parte di un vastissimo Paese con enormi possibilità e sfide per la sua costruzione. Ma allo stesso tempo, sperimenta gravi difficoltà a trovare la sua strada a causa delle enormi contraddizioni e squilibri di una realtà tanto opprimente quanto inquietante. Se pensiamo all’elevato tasso di analfabetismo nel vostro Paese, alle difficoltà della struttura scolastica, al degrado del sistema scolastico pubblico, alla svalutazione degli insegnanti, all’influenza massificante dei mezzi di comunicazione sociale, abbiamo messo in rilievo soltanto alcuni dei problemi che richiedono una soluzione a breve termine. Ma non ci sfugge neanche l’importanza dei genitori come autentici maestri-educatori, punto di riferimento nei grandi ideali della vita, strumento di consolazione per quella personalità ancora fragile in via di formazione, e che, tuttavia, stanno attraversando, insieme a tutta l’istituzione della Famiglia, una crisi profonda, soprattutto dopo l’introduzione del divorzio nel 1977. Non c’è nessuno che non si renda conto di tutta la vasta gamma di conseguenze che da questo derivano: bambini abbandonati che vagano in giro per le strade; giovani dipendenti dalle droghe; la violenza ecc., insieme al permissivismo divulgato dalla Stampa e soprattutto dalla televisione, tutto ciò è causa dell’impoverimento umano della gioventù, che si trova senza dubbio in un vuoto che porta alla disperazione.

Ed è proprio per questo che oggi, davanti a Voi, ma col desiderio che vi facciate eco di queste mie parole, vorrei che diceste a questi giovani, come ho già detto anni fa: “Non abbiate paura”, “non abbiate paura della vostra gioventù”. Il che significa: non abdicate alla vostra responsabilità, non lasciate soffocare le vostre domande e le vostre speranze, affermate la vostra libertà cominciando dalla Verità. “Non abbiate paura di essere santi ”.

4. La nostra prima vocazione pastorale, cari Fratelli nell’Episcopato, è quella di stare accanto ai giovani, che hanno un bisogno speciale di compagnia e di amicizia. Senza limitarsi ad aspettarli, ma andando loro incontro, trasformandoli in nostro prossimo, accogliendo tutta la loro umanità, senza censure né preconcetti. Soltanto l’apertura, la benevolenza e la disponibilità nel condividere le loro concrete esigenze di vita, li spingono a confidare i loro interrogativi vitali a chi è come loro - parente, amico o chiunque altro - e anche a Dio. E tutto questo per un motivo molto semplice: perché li amate! Non a caso l’esempio del nostro atteggiamento pastorale è quello dell’incontro di Cristo con il “giovane ricco”, narrato dai Vangeli. Ed il gesto centrale di questo incontro si manifesta in quella annotazione breve ma decisiva: “guardandolo negli occhi, lo amò”. Questa è la fonte e il segno di tutta la sollecitudine pastorale. È questo quello che sperano e quello di cui hanno bisogno, adesso più che mai, i giovani di oggi.

Ma non si tratta soltanto di saper accogliere, di manifestare disponibilità, di sapere ascoltare. Il giovane cerca una risposta. Se trova soltanto risposte vaghe che non corrispondono alle sue profonde aspirazioni di vita e di bene; se in coloro che dovrebbero rappresentare un appoggio saldo e deciso vedono solo dubbi e incertezze, non possiamo sorprenderci se nella loro vita seguono il sentiero del disordine, o addirittura quello della disperazione.

Pertanto, la risposta cristiana - che è l’unica che può soddisfare pienamente il cuore dell’uomo - non è un raziocinio, un insieme di norme, un’ideologia politica. È invece la testimonianza di Cristo, qui e adesso nella stessa realtà e novità di quasi duemila anni fa. Un Cristo che vuole stabilire con lui un rapporto personale di alleanza, di Verità e di Vita, con il quale gli propone di seguirlo e di sperimentare la Sua compagnia, che dà significato e unità alla sua vita, rivelandogli la sua vocazione e, cosa più importante, insegnandogli il cammino che porta al Dio unico e vero.

5. A tale proposito si inseriscono a questo punto alcune importanti considerazioni che ora vorrei sottolineare in modo conciso. La prima ci dice che non è possibile rimandare, né ridurre, l’annuncio di Cristo ai giovani. La trasmissione del contenuto della Verità deve essere chiara e vigorosa, e allo stesso tempo testimoniata dal personale modo di vivere e realmente applicabile agli ambienti concreti, così da rispondere a tutte le necessità dei giovani. Non servono qui le strategie e i discorsi complicati che ritardano l’annuncio essenziale della Rivelazione cristiana, di cui la Chiesa Cattolica è depositaria.

In secondo luogo, bisogna rendersi conto che l’incontro del giovane con Cristo si può ottenere nella misura in cui gli sia permesso un incontro personale con il Signore, sia nella percezione concreta del contenuto di quella Verità, che nella comprensione della “logica” delle beatitudini, che altro non sono se non un cammino di conversione, un cammino di santità di vita, e, perché no, una partecipazione esigente alla comunione e alla missione di tutta la Chiesa. Per questo, è necessario che teniate conto soprattutto dell’importanza della vita sacramentale, con la pratica frequente della Confessione sacramentale e della Comunione Eucaristica. È, insieme a questa, la pratica della preghiera liturgica e personale, fonte e segno fecondo di questa unione.

Tutti questi mezzi però non potrebbero raggiungere il loro obbiettivo, se non ci fosse una viva sollecitudine verso la formazione morale della coscienza, in modo che si conosca il valore di questa Legge che portiamo inscritta nel cuore: la Legge naturale e la Legge divino-positiva. È questo un argomento tanto necessario quanto decisivo per la crescita umana e cristiana del giovane, in una pedagogia di unità di vita e di comportamento responsabili. In questo terzo aspetto, non sarà mai eccessivo evidenziare il ruolo degli educatori, a tutti i livelli, sia nelle Comunità ecclesiali che nelle stesse istituzioni di insegnamento. Oggi, ora più che mai, è necessario conoscere questa Verità che ci libera, e sapere come trasmetterla in forma accessibile e pratica.

In quarto luogo, capisco quanto sia delicato proporre in modo adeguato la relazione tra questa formazione cristiana della vita dei giovani e le esigenze della sua solidarietà e dei suoi impegni sociali. È ovvio che conosciamo bene l’urgenza e la drammaticità degli imperativi di giustizia del Brasile. Sarebbe grave che l’educazione e l’azione dei cristiani non trovassero un riferimento esigente e fecondo nella dottrina sociale della Chiesa. Ma sarebbe anche molto grave che il cristianesimo si riducesse per i giovani ad un coinvolgimento nella lotta sociale e politica e in un moralismo basato su denunce o contestazioni. Se il giovane cristiano è chiamato ad allargare i suoi orizzonti di solidarietà, conoscendo e partecipando alle soluzioni dei problemi che affliggono la Nazione, ciò avviene perché avrà saputo stabilire il nesso tra il suo comportamento come cittadino libero e responsabile, nello spirito evangelico, e la presenza di Cristo nella sua stessa vita. In tal modo, si potrà dire che la testimonianza della sua gioventù, nel partecipare attivamente alla vita della società, anche con gli errori e le deficienze proprie della sua inesperienza, sarà “luce che illumina in mezzo alle tenebre”. Conosco bene la testimonianza di molti giovani nel loro lavoro apostolico all’interno dei non pochi movimenti ecclesiali, o anche individualmente, perché si sentono responsabili della propria vocazione, sgorgata dalle acque del Battesimo, di trasmettere la Verità evangelica. È sempre di vitale importanza che i giovani siano testimoni di Cristo, apostoli per la missione, così come è stato sottolineato dalla VIII Assemblea del Sinodo mondiale dei Vescovi e dalla Esortazione Apostolica “Christifideles laici”. Possiamo aggiungere qui che nel prossimo Sinodo verranno messe in rilievo le esigenze di una autentica paternità dei Pastori, rappresentanti di Cristo dinanzi alla Comunità, educatori nella fede e amministratori dei Sacri Misteri, grazie ai quali tutti i fedeli, e i giovani cristiani in particolare, crescono nella coscienza, dignità e responsabilità del loro sacerdozio comune. In questo compito di formazione cristiana dei giovani è opportuno sottolineare - e come non farlo - una rinnovata attenzione pastorale alla famiglia e un più consapevole impegno degli sposi e dei genitori in vista della funzione educatrice che è loro propria.

6. Fin dall’inizio del mio Pontificato, ho fatto mia questa “opzione preferenziale per i giovani”. Gli incontri con i giovani a Roma e in tanti Paesi del mondo sono stati molteplici e motivo di arricchimento. Ho tenuto, e continuo a tenere spalancate le porte del mio cuore ai giovani per invitarli a spalancare i loro cuori a Cristo. Ho voluto istituire la Giornata annuale della Gioventù nella Chiesa e non posso non ricordare con emozione i grandi incontri mondiali a Roma, Buenos Aires, Santiago de Compostela mentre invito tutti i giovani e li aspetto a Czestochowa il 14 e 15 agosto 1991. Sono sicuro che la Pastorale della Gioventù della Chiesa in Brasile si realizzi in sintonia e con l’arricchimento di queste iniziative. Perciò affidiamo al cuore della Vergine Santissima - Nostra Signora dell’Apparizione - tutti i giovani brasiliani, con la riconoscente certezza che non mancherà loro la sua intercessione dinanzi al Suo Figlio, perché tutti i suoi figli di questo grande Paese crescano come Lui “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (cf. Lc 2, 52).

Concludo, pieno di speranza, pregando affinché l’unione delle Chiese particolari del Centro-Ovest, continui a risplendere nell’unità della Chiesa universale, che qui oggi celebriamo. Sono queste le intenzioni che insistentemente vi offro. Approfitto per salutare anche, tramite voi, i vostri presbiteri e tutti i ministri della Chiesa, le comunità di consacrati, le parrocchie, le associazioni cristiane, le famiglie, gli anziani e tutti coloro che soffrono ogni tipo di dolori, fisici o morali, rivolgo, come è logico, un saluto speciale ai giovani ed ai bambini - oggetto delle mie grandi speranze! - e, infine, a tutti gli amati diocesani del Mato Grosso e del Mato Grosso del Sud. Portate a tutti la certezza del mio affetto e del mio incoraggiamento a vivere la loro vocazione cristiana in unione a Dio Nostro Signore, e al Successore di Pietro con la grande Benedizione Apostolica che vi imparto di tutto cuore.

 

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