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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA ALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ
URBANIANA E SOLENNE ATTO ACCADEMICO
SULL'ENCICLICA «REDEMPTORIS MISSIO»

Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana
 Giovedì, 11 aprile 1991

 

1. Saluto e ringrazio il Signor Cardinale Jozef Tomko, Gran Cancelliere di questa Università, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, per le parole rivoltemi e per tutto ciò che egli compie per animare l’attività missionaria della Chiesa. Per sua natura la Chiesa è missionaria finché vive nel tempo, avendo ricevuto dal Signore il compito di illuminare tutti gli uomini, annunciando il Vangelo ad ogni creatura.

Saluto e ringrazio il Rettore Magnifico dell’Università Urbaniana, i Signori Cardinali e i Vescovi presenti, i componenti del Corpo accademico, i rettori, formatori e studenti dei cinque Collegi dipendenti, del Collegio Urbano, i moderatori degli Istituti Missionari, i cooperatori e il personale di ciascuna comunità.

Un grazie particolare va a Monsignor Saraiva Martins, che ci ha ricordato i contenuti dell’Enciclica Redemptoris missio.

A tutti sia pace nel Signore risorto, che ci comunica la sua vita e ci rende partecipi della sua missione.

2. La motivazione principale dell’invito rivoltomi per questa visita è  -come avete dichiarato - un ringraziamento per la Lettera Enciclica Redemptoris missio. Essa vuole ribadire la validità permanente, e perciò anche attuale, del mandato missionario, che Cristo ha affidato alla Chiesa. Esso costituisce un ineludibile dovere per quanti vogliono servire il cammino del Vangelo. L’avvento del terzo millennio, inoltre, suscita oggi ancor più urgenti appelli per un impegno di tutta la Cristianità. Come ogni tappa della storia pone la Chiesa davanti alla responsabilità della missione che Gesù risorto le ha affidato, così nel nostro tempo non potrà indebolirsi l’anelito di far conoscere il Cristo, ma piuttosto con nuovo slancio e rinnovata fiducia nella parola del Signore, ci si dovrà preoccupare dell’attività missionaria.

Il mondo contemporaneo per ritrovare le vie della verità e della giustizia, della solidarietà e della pace, ha bisogno urgente di Cristo, oggi come ieri.

L’Enciclica, però, non è soltanto un appello all’azione missionaria, ma altresì un invito per una nuova e approfondita considerazione delle convinzioni di fede che devono guidare chiunque desideri servire la evangelizzazione. Di qui l’opportunità a considerare soprattutto la dottrina teologica che fonda ed anima il dovere missionario del popolo di Dio. Alla luce della teologia è possibile discernere anche i rischi presenti in alcune teorie oggi diffuse, che potrebbero oscurare o svigorire la missione “ad gentes”. È mio vivo desiderio che gli studiosi delle discipline teologiche approfondiscano ed espongano i diversi aspetti della missione, affinché siano dissipati dubbi ed ambiguità, e si ritrovino le opportune chiarezze, senza negare né rifiutare le istanze dei nuovi problemi.

Ovviamente per voi, docenti ed educatori di questa Università, sarà un impegno singolare orientare su tali argomenti la ricerca scientifica e la formazione degli studenti, esprimendo chiaramente quello spirito di solidarietà che vi unisce alla Santa Sede e alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

3. Vi sono ben noti oramai i temi dottrinali della Redemptoris missio, e la consapevolezza che alla base di ogni iniziativa della Chiesa c’è la fede in Gesù Cristo, unico Salvatore di tutti, inviato dal Padre come luce delle genti e immagine dell’invisibile Dio. Da lui venne mandato nel mondo lo Spirito Santo. Ora, da questa fede trinitaria scaturisce l’anelito e la grazia di predicare l’avvento del Regno di Dio e di ricondurre a Lui ogni creatura. La Chiesa è ben consapevole d’essere un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (cf. Lumen gentium, 4) e di dover proclamare a tutti i popoli questa Rivelazione del Dio vero, affinché tale conoscenza doni salvezza.

Dio si è rivelato a noi così, e da questa “economia trinitaria” si può riconoscere il disegno salvifico che ci riguarda ed associa il nostro ministero all’azione libera e gratuita, con cui Dio comunica se stesso all’uomo. La confessione della fede trinitaria è inscindibile dalla vera conoscenza e dalla confessione del Cristo e dello Spirito. L’evento di Cristo, come il dono del suo Spirito, s’iscrivono nel mistero trinitario, rivelato e comunicato nella storia della salvezza.

4. Dal mistero trinitario si comprende, inoltre, il senso della fondazione cristologica della missione. Solo riconoscendo Gesù Cristo come Salvatore unico e universale perché Verbo del Padre, fattosi carne, gli uomini potranno entrare in comunione con Dio. Lo potranno solo per mezzo di Cristo, sotto l’azione dello Spirito. Tale mediazione, unica e universale, lungi dall’essere ostacolo al cammino verso Dio, è la sola via stabilita da Dio stesso. Di ciò il Cristo ha piena coscienza, essendo egli, ed egli solo, la “definitiva autorivelazione di Dio” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, 5).

Voi conoscete quali tappe l’Enciclica richiami per sottolineare lo stretto legame tra l’opera e la parola di Cristo e l’avvento del suo Regno, mentre l’identità di Gesù si definisce nel singolare rapporto con Dio, che egli chiama col termine di “abbà”, Padre (Mc 14, 36).

Inoltre è nella luce della Pasqua che si disvela pienamente il mistero di Gesù. La passione e la Croce, percepite dapprima come scandalo, aprono ai discepoli l’intelligenza per capire le Scritture (cf. Lc 24, 32.45), disvelano il loro significato di redenzione universale e di compimento della signoria escatologica di Dio. L’inno cristologico della lettera ai Filippesi (Fil 2, 6-11) può delineare finalmente tutto il cammino di Cristo Redentore: dal suo essere uguale a Dio all’assumere la condizione di servo, fino alla morte di croce, per poi venire esaltato con un nome che è al di sopra di ogni altro nome.

Questa singolarità esprime il significato unico e universale, per cui egli, presente nella storia, è anche il centro e il fine della storia stessa (Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, 6).

Chi è chiamato ad evangelizzare deve avere presenti costantemente tutti questi aspetti e momenti del mistero di Gesù, senza suscitare opposizioni o divisioni tra di essi, altrimenti la vera fede in Cristo, predicata dalla Chiesa universale, sarà offuscata e messa in pericolo. La varietà degli approcci cristologici di ieri e di oggi non può compromettere il carattere singolare di Gesù. Ovviamente è lecito ed opportuno considerare ed approfondire i vari aspetti del mistero di Cristo, ma non si potrà perdere di vista la sua unità. Egli, infatti, manifesta chiaramente e testimonia la piena coscienza che egli possiede di sé e rivela “in parole ed in opere” (Lc 24, 19) di essere “l’immagine dell’invisibile Dio, generato prima di ogni creatura” (Col 1, 15).

5. Chiaro, così, il motivo per cui occorreva richiamare l’attenzione circa alcune deviazioni che, toccando l’autentica fede in Cristo, possono essere cariche di negative conseguenze per tutta l’attività missionaria.

Solo nella fedeltà al dato rivelato anche il vasto campo dell’approfondimento di rapporti tra fede cristiana e varie religioni ha senso e prospettiva. Il problema ovviamente si pone in termini particolari ogni volta che si tratta di inculturare il messaggio e la vita cristiana in società e tradizioni non influenzate dal Vangelo: lavoro che appare arduo e lungo. Non gioverebbe però il confronto e il dialogo con le culture in ordine alla fede nel Cristo se non avvenisse nella piena comunione con la Chiesa universale e la sua tradizione cattolica. Non è certo consentito di respingere od ignorare, come talvolta si fa, quanto hanno detto i grandi concili cristologici dei primi secoli. Quanto è stato proclamato come fede della Chiesa, resta tale per sempre e non può essere cancellato.

In questo contesto la Redemptoris missio mette in guardia dall’“introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, 6), o dal disgiungere il Regno di Dio da Cristo. Gesù ha inaugurato in terra il Regno dei Cieli (cf. Lumen gentium, 3). Tale Regno “non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzitutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazaret, immagine del Dio invisibile” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, 18). Altrettanto si dica per coloro che non parlano più esplicitamente della divinità di Cristo, o per quanti tentano di mettere sullo stesso piano la rivelazione di Dio in Cristo e le scritture o tradizioni di altre religioni. Un teocentrismo che non riconoscesse Cristo nella sua piena identità sarebbe inaccettabile per la fede cattolica.

Non si temano le difficoltà dell’uomo ad accogliere il Cristo e la sua parola. L’azione dello Spirito, che in ogni tempo e luogo ha preparato in tutti gli animi e nelle genti l’incontro col Dio vero, opera ancor oggi nel cuore degli uomini, nelle culture e nelle religioni.

6. Il compito di tutti è quello di discernere ed assecondare la presenza e l’opera dello Spirito. A ciò devono essere sensibili specialmente le comunità cristiane che vivono, talvolta come minoranze, in mezzo a moltitudini di diversa religione e cultura. È lo Spirito il protagonista della missione fin dai suoi inizi; egli spinge ad andare sempre oltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là delle barriere etniche e religiose, per una missione veramente universale. Egli “con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo” (Lumen gentium, 4).

La Chiesa di Cristo prova sempre un profondo bisogno di entrare in contatto e in dialogo con i componenti di tutte le religioni. Rende omaggio ai molti valori morali in esse contenuti, si sente solidale in modo particolare con i cristiani di altre confessioni e i credenti di altre religioni nel riconoscere la necessità della preghiera come espressione della fede dell’uomo verso l’Assoluto, ben sapendo, ed escludendo qualsiasi equivoca interpretazione, che ogni preghiera autentica è suscitata dallo Spirito Santo, misteriosamente vicino al cuore di ogni uomo (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX/2 [1986] 2028).

È necessario perciò tornare a scoprire l’azione dello Spirito e la grazia del Cristo come strettamente unite. Lo Spirito presente e attivo nel mondo è lo stesso che ha operato nell’incarnazione, nella vita, morte e risurrezione di Gesù ed opera oggi nella Chiesa. La sua azione non va mai vista in alternativa o in sostituzione a quella di Cristo, né in contrasto con quella che si compie nella Chiesa, corpo di Cristo che lo Spirito anima.

7. Perché la missione “ad gentes” riprenda slancio e risponda alle pressanti urgenze che oggi le sono offerte, occorre ancora insistere sulla centralità di Cristo nel disegno salvifico. Egli è il rivelatore del Padre e il salvatore dell’uomo nello Spirito. E, d’altra parte, a lui è oggettivamente orientato l’uomo concreto poiché “in realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Gaudium et spes, 22).

La fede cattolica pone al centro della salvezza Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, Gesù di Nazaret morto e risorto per noi, datore dello Spirito e di quella vita nuova che ci fa figli di Dio nel Figlio. Cristo non è solo il modello e la norma della salvezza voluta da Dio per ogni uomo, ma ne è la causa meritoria e costitutiva. Noi crediamo che il Cristo è “il Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione” e conosciamo che “piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, pacificando col sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1, 13-14) (cf. Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, 6).

È questo Cristo che la Chiesa è inviata ad annunziare. Prima beneficiaria della redenzione, essa è stata fatta da Cristo “sua collaboratrice nell’opera della salvezza universale” ma in un senso e con un ruolo ben precisi, ricordati dall’Enciclica: “La Chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico mediatore e che essa stessa è posta come sacramento universale di salvezza” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, 9). Non va incrinata o diminuita questa verità, che fa della Chiesa non solo un segno ed un insostituibile strumento della salvezza. La Chiesa è non solo serva del Regno, ma sua attuazione e sua presenza, chiamata non solo a discernere e valorizzare l’opera dello Spirito nel mondo, ma a rispondere al suo impulso missionario, proclamando con fiducia la Parola che salva. Scoprire che (e in che modo) Cristo è già in qualche maniera e grado presente al di fuori dei suoi confini visibili, fa parte della sua missione, ma questo non è il solo suo compito. Il mandato missionario di Cristo, perennemente valido, è un esplicito invito a far discepole tutte le genti e battezzarle, perché si apra per loro la pienezza del dono di Dio.

8. Accogliendo, quindi, con animo gioioso il vostro grazie per la recente Enciclica sulla missione “ad gentes”, invito a considerarla come un impegno per voi, ed un appello che rivolgo a tutte le Chiese, a tutte le istituzioni missionarie, ai singoli fedeli. Ho il piacere oggi di ripresentare direttamente a voi questo documento, perché vi sentiate chiamati a farne oggetto di riflessione. Vi chiedo che non manchi il vostro prezioso contributo per un adeguato rilancio missionario alla soglia del duemila. “La Chiesa . . . comprende . . . che le resta ancora da svolgere un’opera missionaria ingente” (Ad gentes, 10).

Sono sempre attuali per noi tutte le affermazioni e gli interrogativi di Paolo: “Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo . . . Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? Come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza prima essere inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!” (Rm 10, 9.13-18).

Formulo vivo auspicio che tutti voi, chiamati nella Chiesa ad attuare in maniera specifica l’attività missionaria, possiate testimoniare l’unità della fede, la concordia nella carità, lo zelo delle comunità apostoliche e che possiate, con l’aiuto dello Spirito Santo, raggiungere i risultati che costituiscono la finalità propria del ministero che vi è stato affidato. Mentre invoco dal Signore il dono che abbiate sempre “un cuor solo ed un’anima sola” (At 4, 32) con tutta la Chiesa e nel vostro comune lavoro, imparto a tutti voi e alle rispettive vostre Comunità una speciale benedizione apostolica.

 

© Copyright 1991 - Libreria Editrice Vaticana

 



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