DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI SEMINARISTI DEL PONTIFICIO
SEMINARIO ROMANO MAGGIORE
Festa della Madonna della Fiducia - Sabato, 9 febbraio 1991
Carissimi, non posso non ricordare stasera il Cardinale Ugo Poletti che mi ha introdotto nella Chiesa di Roma e mi ha accompagnato durante questi 12 anni in tutte le visite pastorali nelle parrocchie e, ogni anno, in questo Seminario che lui ha tanto amato. Era, come davvero deve essere per un Vescovo, la sua “pupilla oculi”. Non dico che non era la mia, dico che era anche la sua. Possiamo dire allora che il Seminario Romano ha una doppia pupilla.
Sono contento che qui stasera possiamo vedere e salutare come suo successore Monsignor Camillo Ruini che ha già le sue grandi conoscenze come Segretario Generale della CEI. Deve ora ampliare queste sue conoscenze facendosi Vicario -per il momento Pro-Vicario, ma questo “pro” è una cosa accidentale -, Vicario di Roma.
Il carissimo Rettore ci ha parlato di diverse cose. Ci ha detto che dieci anni fa voi eravate ancora bambini, e questo è vero. Ma più interessante è, però, ciò che dice san Paolo, il protagonista di questa serata. Ci dice -e ce lo aveva detto prima Gesù -che non soltanto dobbiamo essere bambini nella nostra fanciullezza, ma che dobbiamo diventare bambini. Gesù diceva “se non diventerete come bambini” (cf. Mt 16, 3). Figli maturi, sì, maturi di una speciale maturità che Paolo chiamava nella lettera “ad Galatas” la “vera libertà” (cf. Gal 5, 13). Questa maturità-libertà è la libertà dei figli di Dio ed è questa la vera maturità. Le due cose che sembrano diverse se non opposte, maturità e fanciullezza, sono invece cose che si completano. È una dialettica evangelica. Sappiamo bene che il Vangelo è pieno di paradossi. Uno di questi riguarda l’essere maturo, anzi l’essere vecchio, come me, e il rimanere, ma non soltanto il rimanere: il diventare bambino. “Se non diventerete . . . ” (cf. Gal 5, 13).
Auguro a voi in questa circostanza -come auguro a me e ai miei carissimi collaboratori i Vescovi Ausiliari di Roma, con a capo Monsignor Ruini, e ai vostri superiori -di risolvere questo paradosso nella vostra vita in modo più adeguato possibile. E penso che per la vocazione sacerdotale e poi per la vita e la missione sacerdotale, di solito, questo paradosso evangelico è di grandissima importanza.
Ecco il mio augurio e devo dire che questa comunità mi sembra più numerosa dell’anno scorso e di due anni fa. Cresce dunque quantitativamente il Seminario Romano, almeno così mi pare. Auguro che la crescita sia quantitativa, sì, perché abbiamo bisogno di tanti operai della messe, a Roma come dappertutto, ma che sia anche qualitativa. E di solito, risolvere il paradosso evangelico -maturità e figliolanza -certamente appartiene all’aspetto qualitativo della nostra vocazione.
Che il Signore benedica tutti voi, le vostre famiglie, le vostre parrocchie e i vostri Paesi, poiché questo è un Seminario multinazionale.
La meditazione pronunciata nella Chiesa, dopo l’ascolto dell’Oratorio Sacro “Apostolo delle genti”
Ogni anno abbiamo la gioia di poter partecipare in questo Seminario Romano, nel giorno onomastico della Patrona, la Madonna della Fiducia, a un oratorio diventato il regalo onomastico che questo Seminario, insieme con i suoi ospiti, offre alla sua Patrona. Sono grato di poter partecipare anche io a questa gioiosa vicenda del Seminario Romano. Quest’anno avete scelto come tema dell’Oratorio la conversione di San Paolo. Dico così, ma non c’è però solo la conversione: si tratta di una sintesi paolina, una sintesi delle sue lettere, di quello che ha vissuto, di quello che ha scritto dalla conversione fino alla morte. Anzi, da prima della conversione, quando ha partecipato all’uccisione di Santo Stefano. Ma le due cose si contengono reciprocamente. Possiamo dire che la conversione contiene già in nucleo tutto ciò che Paolo ha scritto dopo, tutto ciò che leggiamo nelle sue lettere o che leggiamo su di lui, soprattutto negli “Atti degli Apostoli”: tutto è già contenuto nella sua conversione. È stato un avvenimento forte, uno dei più forti avvenimenti spirituali della storia umana, della storia del mondo: non so se si può trovare un avvenimento ancora più forte, superiore a questo. Dobbiamo osservare che anche gli altri Apostoli sono stati chiamati. Gesù diceva a tutti: “Seguimi”, e lo hanno seguito. La chiamata di Paolo, invece, è una cosa a sé, è anzi una conversione drammatica, radicale: da persecutore ad apostolo. Noi tutti sentiamo, dopo tanti secoli, che la sua conversione personale, individuale, ha configurato la storia della salvezza, la storia della Chiesa, la storia spirituale del mondo: non si può interpretare il mondo e la sua storia, specialmente la sua storia spirituale senza il riferimento essenziale a questa conversione. E poi, tutto quello che segue alla conversione, tutta l’opera apostolica di Paolo, gli scritti, le lettere, costituisce già un commento a questo fatto fondamentale della sua vita: la conversione.
Naturalmente è una conversione straordinaria, possiamo dire unica questa di Paolo: Saulo-Paolo. Unica per la sua radicalità, per la sua densità, una conversione che è quasi un’“esplosione” spirituale: come esplode una bomba. Oggi si pensa a questo anche con tremore. Come esplode la bomba nell’ordine medico, così esplose lo spirito di Paolo nel suo incontro con Gesù Nazareno, crocifisso e risorto. La densità, la condensazione dei contenuti e la drammaticità interna fra il bene e il male, fra la coscienza erronea e la coscienza retta, tutto quello che fa parte della conversione di Paolo, è diventato il paradigma per tante altre conversioni.
Possiamo dire per tutte; per ogni conversione di qualsiasi persona umana, di qualsiasi cristiano, di qualsiasi convertito. In ogni conversione si trova qualche analogia -meno clamorosa, meno drammatica, meno radicale, forse -con la conversione di Paolo.
Penso che abbiate scelto molto bene questa tematica paolina per il vostro Oratorio, per diversi motivi. Soprattutto per ricordarci questa conversione paradigmatica; poi, per suggerire che la Chiesa intera vive sempre “in statu conversionis”, e non può essere diversamente. La Chiesa tutta intera, come Corpo di Cristo, e dentro la Chiesa ogni cristiano, vivono - devono vivere - in questo stato: “in statu conversionis”. E se già ha diritto di cittadinanza questa espressione per la Chiesa che vive “in statu missionis”, le due espressioni sono legate. Per vivere “in statu missionis”, la Chiesa deve vivere “in statu conversionis”. E ciò lo vediamo soprattutto grazie a Paolo, attraverso la sua missione-conversione, la sua vocazione-conversione.
Pensiamo alla coincidenza tra la festa della Conversione di San Paolo -il 25 gennaio -e la giornata conclusiva dell’Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, per la conversione della cristianità. Che cosa vuol dire infatti “unione dei cristiani”? Il ritorno all’unione è “conversione”, è conversione auspicata, è conversione sperata. È bene che il momento culminante di questa Settimana di preghiera si celebri nel giorno della Conversione di San Paolo, perché questo ci dice come dovrebbe essere intensa la conversione di tutti noi cristiani per raggiungere di nuovo l’unità che Cristo volle: “ut omnes unum sint”, “sicut tu, Pater in me, et ego in Te, ut et ipsi in nobis unum sint”.
Insieme a questa riflessione che è nata ascoltando l’Oratorio, il pensiero naturalmente torna all’ambiente del Seminario Romano che è, lo si comprende bene, luogo privilegiato della conversione. Se ogni vita cristiana, se la vita della Chiesa in genere, è segnata dallo “statu conversionis”, il Seminario Romano, qualsiasi Seminario - il Seminario Romano tra i tanti altri -è il luogo privilegiato della conversione. Qui si vive “in statu conversionis” più profondamente, più sistematicamente, più intensamente che altrove; e non può essere diversamente, perché la vocazione e la conversione vanno insieme. Quanto si riferisce a tutti gli Apostoli e a tutti coloro che sono stati chiamati da Cristo durante i secoli, si riferisce naturalmente a chiunque voglia servire Cristo, a chiunque Cristo abbia chiamato, come ha chiamato una volta gli Apostoli. Auguro a questo luogo della conversione, il Seminario, di essere il luogo autentico e fruttuoso di tante conversioni. Naturalmente, vi sono molte volte vocazioni nascoste, poco percepibili, celate nelle umane coscienze, nella personalità di ciascuno dei membri della comunità seminaristica. Vi sono poi gli ospiti che trovano anche loro in questo Seminario un luogo privilegiato per la loro diversa vocazione: religiosa, matrimoniale, familiare. Ogni vocazione cristiana non può non essere una conversione specifica. Auguro al Seminario di essere e di rimanere sempre luogo privilegiato, ambiente privilegiato, spazio privilegiato delle vocazioni, delle conversioni nascoste, discrete, ma autentiche e fruttuose.
Infine si deve rivolgere un augurio anche alla Madonna della Fiducia che protegge il Seminario con la sua icona davanti alla quale ci troviamo in questo momento. “Mater mea, fiducia mea”. Auguro a Te, Madre della Fiducia, di poter essere testimone silenziosa, non soltanto guida discreta, delle conversioni che si operano qui, nel Seminario Romano. La Tua presenza in questo luogo, così, sia anche e sia sempre simile alla Tua presenza a Cana di Galilea. Non era certamente presente la Madonna della Fiducia alla conversione di Paolo. Paolo l’ha scoperta insieme con Cristo. Ma la Madonna era presente prima, era presente sotto la Croce, era presente il giorno di Pentecoste, era presente nel Cenacolo. In questi luoghi già si preparava la conversione di Paolo.
Auguro a tutti voi una santa Quaresima per una buona preparazione alla Pasqua del Signore. Sia lodato Gesù Cristo.
Saluto conclusivo ai seminaristi
Vi ringrazio per questa ultima parola che è arrivata dai seminaristi. Ciascuno di voi ha parlato e ha riassunto l’importanza dell’incontro e della celebrazione patronale del vostro Seminario Romano.
Il protagonista di questa serata è certamente San Paolo, grazie al nostro carissimo don Marco. Ma le ultime parole ci hanno rievocato Pietro che certamente rispetto a San Paolo aveva un’esperienza diversa anche se complementare. È stato uno che ha vissuto accanto a Cristo tutti gli anni della sua missione messianica pubblica e che ha dato prova delle proprie debolezze, ma anche del proprio amore verso il Maestro.
Mi colpisce la parola “testimone”. È facile capire che testimone di Gesù è stato Pietro, sono stati gli altri Apostoli che hanno vissuto, veduto con i loro occhi, e toccato con le proprie mani, come scrive San Giovanni (cf. Gv 1, 1ss.). Ma, come si spiega questa testimonianza, questo essere testimone, -“Sarete miei testimoni” (At 1, 8) -, alle generazioni posteriori, dopo tanti secoli, dopo duemila anni? Noi siamo testimoni. È questo un primo mistero al quale troviamo risposta nelle parole di Cristo, perché Egli ha detto: “Io sono con voi”. Tornando al Padre, Egli ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Questo “Sono con voi” spiega come possano esserci i testimoni. Se Egli è con noi, allora noi possiamo essere suoi testimoni anche in questo XX secolo.
Come Cristo è con noi? Attraverso il Vangelo e il sacramento dell’Eucaristia, certamente; ma la sua presenza tra noi è soprattutto opera misteriosa dello Spirito Santo: Lui è con noi con la forza, con la testimonianza dello Spirito Santo. Quando Cristo ha detto: “Sarete miei testimoni”, ha anticipato queste parole dicendo: “Lo Spirito Santo, Spirito di Verità, Lui vi darà testimonianza” (cf. Gv 16, 13ss.). La vostra testimonianza di Cristo è radicata sempre nella testimonianza che dà lo Spirito Santo.
Così, alla fine dell’incontro, abbiamo affrontato un problema essenziale per la vostra comunità, perché in questa comunità, di futuri sacerdoti, una comunità di testimoni, si preparano coloro che devono dare testimonianza a Gesù Cristo. Tutti i cristiani sono chiamati ad essere testimoni, tutti. Lo Spirito Santo agisce per tutti nei sacramenti, nella loro esperienza dell’identità cristiana, nella preghiera. Tutti possono essere -e sono -testimoni. Ma la comunità seminaristica, i sacerdoti, devono avere questa caratteristica come principale.
Concludendo il nostro incontro di oggi, auguro al vostro Seminario, alla vostra comunità di essere un luogo dove si preparano testimoni di Cristo, possibilmente maturi, possibilmente efficaci; direi -per analogia -“oculari”, quasi come coloro che hanno detto: Abbiamo visto con i nostri occhi, abbiamo toccato con le nostre mani, abbiamo sperimentato anche con la nostra debolezza. Con la nostra debolezza e con la nostra infedeltà, come Pietro.
Ecco è il mio augurio per la vostra comunità, per i vostri superiori e, naturalmente, per ciascuno di voi. Questo vi lascio anche come consegna per il prossimo periodo quaresimale di preparazione alla santa Pasqua.
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