DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL IX COLLOQUIO INTERNAZIONALE
ROMANISTICO CANONISTICO ORGANIZZATO
DALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE
Sabato, 11 dicembre 1993
Reverendissimo Padre Rettore,
Illustri Professori, Signore e Signori,
1. Sono lieto che abbiate voluto concludere il IX Colloquio Giuridico Internazionale, promosso dall’“Institutum Utriusque Iuris” della Pontificia Università Lateranense, con questo incontro. La vostra presenza conferma l’attaccamento alla cattedra di Pietro e la fedeltà al suo Magistero, che caratterizzano la lunga tradizione di questa istituzione della Santa Sede, chiamata a formare giuristi in entrambi i diritti, quello della Chiesa e quello della Comunità civile, in una prospettiva che è insieme storica e moderna.
A tutti il mio saluto cordiale. Rivolgo un vivo ringraziamento al P. Umberto Betti, ofm, Rettore Magnifico dell’Università Lateranense, che ha voluto cordialmente manifestarmi i sentimenti e l’augurio di voi tutti. Un grato pensiero va anche ai Decani delle Facoltà di Diritto Canonico e di Diritto Civile, i Professori Domingo Andrés Gutierrez e Gian Luigi Falchi, che di questo Colloquio hanno curato l’organizzazione e la direzione.
2. Durante i lavori del Convegno voi avete richiamato il valore attuale della radice romano-canonica di quel diritto che è proprio delle Comunità cristiane del Mediterraneo orientale. Ne è testimonianza la presenza numerosa di studiosi provenienti da Paesi e culture differenti, che con competenza e impegno hanno dato il loro contributo per l’approfondimento del tema.
Come è noto, il cristianesimo ha riconosciuto fin dalle sue origini una sana laicità delle strutture della società civile, favorendo la fondamentale distinzione tra l’ordine temporale e l’ordine spirituale. Da questo atteggiamento, a partire dall’Editto di Tolleranza, è scaturito il riconoscimento della libertà di religione.
La consapevolezza della distinzione tra i compiti dello Stato e la missione evangelizzatrice della Chiesa ha consentito alle Comunità cristiane d’Oriente di conservare la loro specifica identità nel corso dei secoli. Fu preservata l’autonomia del diritto proprio, che si era già formato dall’epoca dei primi Concili strutturandosi secondo la tradizione giuridica di Bisanzio, e che attribuiva un rinnovato e più incisivo valore agli ordinamenti giuridici locali. Questa peculiarità si è conservata fino ai nostri giorni, nonostante le alterne vicende storiche, religiose e politiche, che hanno interessato quelle regioni, soprattutto a partire dal settimo secolo in poi. Ne sono testimonianza i molteplici riti che contraddistinguono la vita liturgica delle diverse Comunità cristiane dell’area, con riflessi nella disciplina ecclesiastica, come pure nel diritto di famiglia e matrimoniale.
I vostri lavori hanno messo in evidenza come le Comunità cristiane, perseverando nella fede e nell’adesione alle proprie tradizioni e alla propria cultura, abbiano saputo far fronte anche alle circostanze più difficili, reggendo alla scomparsa di regimi politici o al succedersi di differenti forme di governo. In presenza anche di turbamenti assai rilevanti, i cristiani dell’Oriente Mediterraneo hanno sempre mostrato leale disponibilità nel favorire la convivenza tra le diverse componenti sociali, culturali e religiose della popolazione. Ne sono esempio le traduzioni degli antichi testi legislativi del periodo bizantino o, più ampiamente, il tentativo di comporre con altre tradizioni giuridiche il diritto romano-canonico quanto agli istituti patrimoniali, successori e processuali. La sola tendenza che appare costante nel variare dei tempi e delle circostanze è quella di proteggere rigorosamente gli istituti fondamentali del diritto matrimoniale e della famiglia, nonché le norme relative all’organizzazione ecclesiale. Si nota cioè la consapevole difesa sia della famiglia, cellula fondamentale della società, che della Chiesa, comunità di salvezza.
3. Dalla storia si trae quindi l’insegnamento che ogni Comunità ha il diritto naturale e primario di vivere collettivamente ed in forma organizzata la propria dimensione religiosa nei suoi vari momenti. Quello alla libertà religiosa è, infatti, diritto che sta alla radice di ogni altro diritto e di ogni altra libertà, poiché si fonda nella dignità dell’essere umano, che è, per sua natura, un essere sociale, bisognoso di rapporti con gli altri per esplicare appieno le proprie doti (cf. Gaudium et Spes, 12).
Questo particolare rapporto dell’uomo con il suo Creatore gli consente di realizzarsi pienamente nella sua natura spirituale e razionale; di essere cioè parte di quell’ordine naturale di cui la Rivelazione cristiana ha riconosciuto l’autonomia. Come ha affermato San Tommaso, “Jus divinum, quod est ex gratia, non tollit jus humanum, quod est ex naturali ratione” (Summa theologiae, II-II, q. 10, a. 10).
È nella maturata coscienza di questa realtà che le Comunità cristiane dell’Oriente Mediterraneo affermano anche oggi la propria autonomia. Pur vivendo in un’area in cui esistono progetti di società ispirati a credenze religiose diverse, esse sono consapevoli che la dignità dell’uomo è unica, indivisibile, irripetibile, e come tale da rispettare e garantire con ferma coerenza.
La Chiesa, da parte sua, ha sempre affermato che, nell’impegno per l’arricchimento del bene comune della società civile, è necessario il concorso di quanti ne sono parte, anche se di credenze diverse. L’appartenenza ad una religione non può mai essere motivo di discriminazione; né alcuno deve sentirsi semplicemente ospite nel proprio Paese. È in questa prospettiva che si collocano anche gli accordi conclusi dalla Santa Sede con alcuni Paesi dell’area del Mediterraneo orientale, per consentire il pieno rispetto dell’identità delle Comunità cristiane e l’autonomia della missione della Chiesa che vive e opera in quei Paesi.
Per i cristiani che vivono in queste situazioni, i profondi mutamenti sociali rendono ormai insufficienti le sole garanzie tradizionalmente riconosciute alle situazioni personali o agli aspetti del culto individualmente intesi. La libertà di religione non può, infatti, ridursi alla sola libertà di culto, ma comporta anche il diritto alla non discriminazione nell’esercizio degli altri diritti e della libertà propri di ogni persona umana, considerata sia nella sua dimensione individuale che comunitaria.
Tale prospettiva è stata ribadita autorevolmente anche di recente a livello internazionale, con conseguente richiamo agli Stati perché modifichino eventuali ordinamenti interni di senso contrario (cf. ONU-Comité des Droits de l’Homme, Observation générale n. 22 (48), art. 18, Doc. CCPR/C/CRP.1/ Add. 26, 22 juillet 1993).
4. Va rilevato che in alcuni Paesi l’esercizio della libertà religiosa è accordato ai membri della religione maggioritaria e riconosciuto con molte limitazioni ad altri cittadini di credenza diversa. Una matura concezione dello Stato e del suo ordinamento giuridico, ispirata a quanto la coscienza comune dell’umanità ha espresso nelle regole della Comunità internazionale, richiede lo sforzo di assicurare parità di trattamento ad ogni persona, indipendentemente dalla sua origine etnica, linguistica, culturale e religiosa (cf. Discorso nella “Friendship Hall” di Khartoum, in “L’Oss. Rom.”, 11 febbraio 1993).
Pertanto, pur nello status di minoranze, i cristiani dell’Oriente Mediterraneo hanno diritto al rispetto della loro identità anche sotto il profilo giuridico, e ciò non può essere considerato come una concessione, né come la risultante di interventi esterni. Una effettiva reciprocità passa oggi necessariamente attraverso il rispetto delle norme maturate a livello internazionale quanto ai diritti della persona umana, e non più in via preferenziale attraverso accordi particolari tra Stati, come è avvenuto nel corso della storia.
Gli sforzi sinceri degli uomini che credono in Dio, insieme all’interdipendenza degli interessi, delle situazioni e delle culture, sono una efficace garanzia per porre termine a discriminazioni e restrizioni e per favorire, in un clima di tolleranza, un dialogo che sia ad un tempo interreligioso e interculturale. Si potrà così garantire sempre meglio anche ai cristiani dell’Oriente Mediterraneo un futuro che preservi la loro peculiare identità, e sia rispettoso della persona umana e dei suoi diritti fondamentali.
Con questo auspicio, illustri professori e cari fratelli, invoco la benedizione dell’Onnipotente sul vostro importante lavoro di studiosi e di docenti, e chiedo copiose grazie sull’attività dell’“Institutum Utriusque Iuris”.
© Copyright 1993 - Libreria Editrice Vaticana
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana