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PAOLO VI

APOSTOLORUM LIMINA 

LETTERA APOSTOLICA

  

Le memorie apostoliche, cioè i luoghi sacri di Roma, dove sono custoditi e venerati i sepolcri degli apostoli Pietro e Paolo, i "padri santi" per i quali l’urbe divenne non soltanto "l’alunna della verità", ma anche la maestra della verità (1) e il centro dell’unità cattolica, avvicinandosi l’anno giubilare che vi sarà celebrato, appaiono oggi in luce più fulgida, quali nobilissime mete proposte alla spiritualità dei fedeli. 

Queste memorie hanno sempre suscitato nel popolo cristiano atti di fede e testimonianze di comunione ecclesiale, poiché la chiesa ritrova se stessa e il motivo della propria unità nel "fondamento" posto da Gesù Cristo: gli apostoli (2). Sin dal II secolo si veniva a Roma per vedere e venerare i "trofei" dei due apostoli Pietro e Paolo nei luoghi in cui erano conservati (3), e si peregrinava alla chiesa romana per contemplarne la "regale maestà" (4). Nel IV secolo il pellegrinaggio a Roma diventa la principale forma di pellegrinaggio nell’occidente, parallelo e convergente, nella sua idea religiosa, con quello verso Gerusalemme, nell’oriente, che custodiva il sepolcro del Signore (5). Nell’alto medioevo Roma è la meta di pii pellegrini che vengono dalle diverse parti dell’Europa sentendosi "collegati alla cattedra di Pietro" (6), ed anche di pellegrini che vengono dall’oriente, specialmente monaci, per testimoniare sulla tomba dell’apostolo la propria professione di fede ortodossa (7). 

Questa stessa idea del pellegrinaggio si sviluppa dal XII al XIII secolo, arricchita dai nuovi motivi di religiosità e di pietà popolare che si diffondono in tutta l’Europa, imprimendo un più profondo contenuto a quell’antica idea che la chiesa aveva assunto dalla tradizione, comune anche ad altre religioni, del "pellegrinare per amor di Dio" (8). Nasce così il giubileo, frutto di una maturazione dottrinale, biblica e teologica (9), che ha una sua prima pubblica manifestazione nel giubileo indetto, nel 1220, dal pontefice Onorio III per il pellegrinaggio alla tomba di s. Tommaso Becket (10), poi - come è noto - converge a Roma, alle basiliche di s. Pietro e di s. Paolo, nel grande movimento popolare e penitenziale dell’anno 1300, in un’ansia di perdono da Dio e di pace agli uomini, sancito dal nostro predecessore Bonifacio VIII (11) e indirizzato al fine più alto: "per l’onore di Dio e per l’esaltazione della fede" (12). 

Il giubileo romano del 1300 rappresentò l’inizio e il modello dei giubilei che seguirono più tardi (ogni venticinque anni dal secolo XV, salvo interruzioni provocate da vicende esterne), rivelando una continuità e vitalità che han sempre confermato l’attualità della veneranda istituzione. 

È da dire che anche i giubilei dell’età contemporanea hanno mantenuto tale valore, rappresentando veri momenti di unità e di rinnovamento per la chiesa e appelli a tutti gli uomini, perché si riconoscano fratelli e percorrano le vie della pace. All’inizio di questo stesso secolo, si manifestò un tale anelito con la celebrazione del giubileo del 1900, indetto da Leone XIII; questa fu l’ansia della famiglia umana che, dopo venticinque anni, continuava ad esser agitata da pericolosi e gravi fermenti di contesa; queste furono le finalità dell’anno santo straordinario, indetto nel 1933, per il XIX centenario della redenzione; queste furono le nobili aspirazioni di giustizia e di pacifica convivenza umana, additate da Pio XII nell’ultimo giubileo del 1950. 

I 

Ci sembra che nel presente anno santo tutti i motivi fondamentali dei giubilei del passato siano presenti e siano espressi sinteticamente in quei temi che noi stessi abbiamo fissato, fin dal suo primo annuncio, nel nostro discorso del 9 maggio 1973: il rinnovamento e la riconciliazione (13). Noi abbiamo offerto questi temi alla riflessione dei pastori e dei fedeli particolarmente durante la celebrazione del giubileo nelle chiese locali, che abbiamo accompagnato con le nostre esortazioni e la nostra catechesi. Ma le aspirazioni che i due temi interpretano e gli ideali che essi esprimono troveranno una più completa attuazione in Roma, dove i pellegrini alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo e alle memorie degli altri martiri, entreranno più facilmente in contatto con le antiche fonti della fede e della vita della chiesa, per essere convertiti nella penitenza, ritemprati nella carità e uniti maggiormente con i fratelli dalla grazia di Dio. 

Saranno un rinnovamento e una riconciliazione interiori, anzitutto, perché è nel profondo del cuore la radice di ogni bene e, purtroppo, di ogni male; è là, dunque, che deve avvenire la conversione, o metanoia, cioè il cambiamento di orientamento, di mentalità, di scelta, di vita. 

Ma anche per la chiesa nel suo insieme, ci sembra che, a dieci anni dalla fine del concilio Vaticano II, l’anno santo possa essere la conclusione di un tempo di riflessione e di riforma e l’apertura di una nuova fase di costruzione teologica, spirituale e pastorale che si sviluppi sulle basi faticosamente gettate e consolidate negli scorsi anni, sempre secondo i principi della vita nuova in Cristo e della comunione di tutti in lui, che ci ha riconciliato al Padre con il suo sangue (14). 

Per il mondo intero questo richiamo al rinnovamento e alla riconciliazione s’incontra con le aspirazioni più sincere alla libertà, alla giustizia, all’unità e alla pace che vediamo presenti ovunque gli uomini prendono coscienza dei loro più gravi problemi e soffrono delle sventure prodotte dalle divisioni e dalle guerre fratricide. A tutti gli uomini di buona volontà la chiesa vuole dunque indicare, col messaggio dell’anno santo, la dimensione verticale della vita che assicura il riferimento di tutte le aspirazioni ed esperienze ad un valore assoluto e veramente universale, senza del quale è vano sperare che l’umanità ritrovi un punto di unificazione, una garanzia di vera libertà. Nel processo di secolarizzazione che caratterizza molti settori del mondo odierno, la chiesa, senza invadere i campi che non sono di sua competenza, vuole far sentire agli uomini l’esigenza della conversione a Dio, unico necessario (15), e l’obbligante dovere di ispirare al timore e all’amore di lui tutte le azioni: presidio validissimo, la fede in Dio, della coscienza umana e solida base per quei rapporti di giustizia e di fraternità, ai quali il mondo aspira. 

Il pellegrinaggio a Roma da parte dei rappresentanti di tutte le chiese locali - pastori e fedeli - sarà dunque segno di un nuovo processo di conversione e di riconciliazione fraterna. 

A questo segno delle interiori disposizioni dei pellegrini e del movimento di ripresa del popolo cristiano che essi rappresentano, noi rispondiamo come dispensatori della parola e della grazia della riconciliazione, con l’elargire, per quanto sta in noi, a tutti i pellegrini di Roma e a tutti coloro che, essendo impediti di compiere il viaggio, li accompagneranno spiritualmente, il dono dell’indulgenza giubilare. 

II 

È noto che, nella tradizione più antica della chiesa, l’indulgenza, annessa a molte pratiche penitenziali, è stata particolarmente concessa in dono in occasione del pellegrinaggio ai luoghi santificati dalla vita, morte e risurrezione del nostro salvatore Gesù Cristo e dalla confessione degli apostoli. E anche oggi ci ricolleghiamo a questa veneranda tradizione, secondo i principi e le norme che noi stessi abbiamo fissato nella costituzione apostolica "Indulgentiarum doctrina" (16) e che qui vogliamo brevemente ricordare. 

Poiché Cristo è la nostra "giustizia" e, come opportunamente è stato detto, la nostra "indulgenza", noi, come umile ministro di Cristo redentore, estendiamo volentieri la partecipazione del dono dell’indulgenza - secondo la tradizione della chiesa - a tutti i fedeli che, per profonda conversione dell’anima a Dio, attraverso le opere di penitenza, di pietà e di fraterna solidarietà, sinceramente e fervorosamente attestano la loro volontà di rimanere nella carità verso Dio e i fratelli, e di progredire anzi in essa (17). In effetti, una tale partecipazione è data da quella "pienezza delle realtà salvifiche", che è innanzitutto lo stesso Cristo redentore, "nel quale sussistono in tutto il loro valore le soddisfazioni ed i meriti della sua redenzione" (18). È nella stessa pienezza di Cristo, dalla quale tutti abbiamo ricevuto (19), che si manifesta "l’antichissimo dogma della comunione dei santi, per cui la vita dei singoli figli di Dio, in Cristo e per Cristo, viene meravigliosamente a congiungersi con la vita di tutti gli altri fratelli cristiani nella soprannaturale unità del corpo mistico di Cristo, costituendo quasi una sola mistica persona " (20). 

Difatti, "per un arcano e misericordioso mistero predisposto da Dio, gli uomini sono tra loro congiunti da un vincolo soprannaturale, per cui come il peccato di uno nuoce anche agli altri, così anche la santità di uno porta agli altri vantaggio" (21). Con l’indulgenza la chiesa, avvalendosi della sua potestà di ministra della redenzione operata da Cristo signore, comunica ai fedeli la partecipazione di questa pienezza di Cristo nella comunione dei Santi (22), fornendo loro in misura larghissima i mezzi per raggiungere la salvezza. 

In tal modo, la chiesa, quasi abbracciandoli e soccorrendoli maternamente, sostiene i suoi figli deboli e infermi, i quali trovano un fermo appoggio nel corpo mistico di Cristo, che tutto insieme si adopera con la carità, con l’esempio e con la preghiera per la loro conversione. Così il fedele pentito in questa forma singolare di carità ecclesiale trova un valido aiuto per deporre l’uomo vecchio e rivestire l’uomo nuovo, ed in questo propriamente consiste la conversione e il rinnovamento (23). Il fine, infatti, che la chiesa si propone nel largire le indulgenze non è soltanto quello di aiutare i fedeli ad espiare le pene meritate, ma anche quello di stimolarli a compiere le opere di pietà, di penitenza e di carità, ed in particolare le opere che servono a favorire la crescita della Fede e il bene comune (24). 

III 

Perciò, quasi interpretando il materno sentire della chiesa, a tutti i fedeli, convenientemente disposti, i quali, dopo essersi confessati e comunicati, pregheranno secondo le intenzioni del sommo pontefice e del collegio episcopale, elargiamo il dono dell’indulgenza plenaria: 
1) se compiranno un pio pellegrinaggio ad una delle basiliche patriarcali (cioè alla basilica di S. Pietro in Vaticano, o a quella di San Paolo sulla via Ostiense, o all’arcibasilica del ss.mo Salvatore al Laterano, o alla basilica Liberiana sull’Esquilino), o ad altra chiesa o luogo della città di Roma, designato dalla competente autorità, e ivi parteciperanno devotamente ad una celebrazione liturgica, specialmente al sacrificio della messa, o ad altro esercizio di pietà (ad es. la Via Crucis, il Rosario mariano); 
2) se visiteranno, in gruppo o singolarmente, una delle quattro basiliche patriarcali, e quelle solamente, ed ivi attenderanno per un congruo periodo di tempo a pie meditazioni, concludendole col "Padre nostro", con la professione di fede in qualsiasi legittima forma, e con l’invocazione della b.v. Maria;  

3) se, essendo impediti per malattia o per altra grave causa dal partecipare, dal luogo in cui si trovano, al pio pellegrinaggio a Roma, ad esso si uniranno spiritualmente, offrendo a Dio le loro preghiere ed i loro dolori; 
4) se, trovandosi a Roma ed essendo impediti per malattia o per altra grave causa dal partecipare - come si è detto sopra ai nn. 1-2 - alla celebrazione liturgica, o all’esercizio di pietà, o alla visita che vien fatta dalla loro comunità (ecclesiale, familiare o sociale), ad essa si uniranno spiritualmente, offrendo a Dio le loro preghiere ed i loro dolori. 

Nel corso dell’anno giubilare rimangono, inoltre, in vigore le altre concessioni di indulgenze, ferma restando tuttavia la norma secondo la quale l’indulgenza plenaria si può lucrare soltanto una volta al giorno (25) . Tutte le indulgenze, però, possono sempre essere applicate ai defunti a modo di suffragio (26). 

Per le stesse ragioni, cioè per offrire ai fedeli la più ampia possibilità di usufruire dei mezzi della salvezza, e per agevolare il compito dei pastori e specialmente dei confessori, disponiamo che i confessori, i quali parteciperanno al pellegrinaggio giubilare, possono avvalersi delle facoltà di cui sono stati provvisti nella propria diocesi dalla legittima autorità (27), per ascoltare, durante il viaggio e a Roma, le confessioni dei fedeli che con essi fanno il pellegrinaggio, ed anche di altri che, unendosi agli stessi pellegrini, ad essi si rivolgeranno, salvo il diritto dei penitenzieri delle basiliche patriarcali circa le sedi di confessioni loro riservate (28). A questi, poi, saranno conferite speciali facoltà dalla penitenzieria apostolica. 

IV 

Abbiamo già premesso che all’anno santo sono stati assegnati questi due fini principali: il rinnovamento spirituale in Cristo e la riconciliazione con Dio; e tali fini riguardano non soltanto la vita interiore di ciascun fedele, ma anche tutta la chiesa nel suo insieme e, in qualche modo, anche tutta la comunità umana. Perciò noi esortiamo vivamente tutti i responsabili a riflettere intorno a questi intendimenti, a prendere iniziative, a prestarsi reciproco aiuto, di modo che durante l’anno santo si compiano passi decisivi nel rinnovamento ecclesiale e nel cammino verso alcune mete, che ci stanno particolarmente a cuore secondo lo spirito del concilio Vaticano II, proiettato verso l’avvenire: è cioè necessario che la penitenza, la purificazione interiore e la conversione a Dio procurino, come loro naturale conseguenza, un ulteriore sviluppo della azione apostolica della chiesa. 

Bisogna dunque che, durante l’anno santo, si ridesti un generoso impegno nel promuovere l’evangelizzazione, la quale va indubbiamente considerata come il primo punto da realizzare nel quadro di una tale attività. Difatti, "inviata da Dio alle genti per essere sacramento universale di salvezza" (29), la chiesa peregrinante è per sua natura missionaria (30), e in tanto si rinnova nel suo storico cammino, in quanto si rende disponibile ad accogliere e ad approfondire nella fede il vangelo di Gesù Cristo, figlio di Dio, ed insieme a darne al mondo l’annuncio salvifico, con la parola e con la testimonianza della vita. 

Orbene, lo stesso sinodo dei vescovi, che sarà prossimamente celebrato e che non ha con l’anno santo un rapporto puramente estrinseco e casuale - al contrario, come già abbiamo avvertito, "bisogna adoperarsi con zelo perché entrambi gli eventi ecclesiali siano ben coordinati e strettamente collegati tra loro" (31) - offrirà ai sacri pastori, che si raccoglieranno attorno al vicario di Cristo, direttive e suggerimenti, perché, alla luce della fede, facciano oggetto di accurato studio l’evangelizzazione del mondo contemporaneo, raccogliendo le istanze della chiesa tutta e guardando alle urgenti necessità del tempo presente, sollecitati dalla carità di Cristo. 

Perciò, l’ascolto religioso della parola di Dio, unitamente all’istruzione catechistica da impartire ai fedeli di ogni ceto ed età, deve procurare la purificazione e l’approfondimento della fede fra gli stessi credenti, illuminare i dubbiosi e muovere gli indifferenti ad una gioiosa e vitale accoglienza della buona novella; deve spingere, inoltre, tutti a una consapevole e fruttuosa partecipazione ai sacramenti; deve, infine, portare comunità e singoli ad una sincera e forte testimonianza di fede nella loro vita, per rendere ragione al mondo della speranza che è in noi (32). 

A dieci anni dal concilio Vaticano II che ha avviato un ampio e salutare rinnovamento nel campo del lavoro pastorale, della pratica penitenziale e della preghiera liturgica, noi riteniamo che sia molto opportuna un’opera di revisione e di incremento che, sulle basi sicure stabilite dall’autorità della chiesa, permetta di ben discernere ciò che è veramente valido nelle molte e diverse esperienze che si sono fatte dappertutto, e di promuoverne una sempre migliore attuazione, secondo i criteri ed i metodi che la saggezza pastorale e la vera pietà potranno suggerire. 

L’incontro a Roma di tanti pellegrini - pastori e fedeli - delle comunità cristiane sparse in tutto il mondo e affratellate nella ricerca dei beni veraci della grazia e dell’amore di Cristo, offrirà senza dubbio delle occasioni privilegiate di informazione, di scambio, di confronto, di valutazione di intendimenti e di idee, e ciò avverrà soprattutto se si effettueranno - ai diversi livelli e tra gruppi qualificati - riunioni e convegni, nei quali si congiungano tra loro l’esperienza della preghiera e il fermo impegno per attendere all’apostolato. 

In modo speciale, vogliamo qui ricordare la necessità di trovare un sano equilibrio tra le diverse esigenze del ministero pastorale odierno, rispecchiando l’armonia mirabile che si è raggiunta nella liturgia: ossia tra la tradizione e il rinnovamento, tra l’essenziale carattere religioso dell’apostolato e i suoi riflessi operativi in tutti i settori della vita sociale, tra la spontaneità nell’esercizio stesso dell’apostolato, che alcuni sogliono definire "carismatica", e la fedeltà a quelle leggi fondate sul mandato di Cristo e dei pastori della chiesa, le quali, emanate dalla chiesa ed incessantemente da lei aggiornate, permettono alle esperienze individuali di trovare la giusta collocazione nell’ambito della comunità cristiana, in modo che servano alla edificazione e non alla disgregazione del corpo di Cristo (33). 

Vogliamo pure ricordare l’urgenza sempre più grave di intensificare l’apostolato cosiddetto di ambiente e di gruppo, cercando di far sì che esso, senza danneggiare l’indispensabile organismo istituzionale che si esprime nelle diocesi e nelle parrocchie, penetri e porti il fermento evangelico in quella realtà sociale moderna - e specialmente nel mondo del lavoro, della cultura e tra i giovani - le cui articolazioni differiscono spesso da quelle della tradizionale organizzazione della chiesa e sembrano estranee alle comunità che riuniscono i fedeli nella preghiera, nella fede e nella carità. 

Anche i metodi di una catechesi e di una predicazione adeguate ai tempi nostri saranno oggetto di studio in vista di risoluzioni efficaci, con particolare riguardo all’impiego dei mezzi di comunicazione sociale nel servizio dello sviluppo umano e cristiano delle persone e delle comunità. 

Sono problemi della più grande importanza, che dovremo affrontare e sui quali bisogna invocare, a fronte china, la grazia dell’anno santo. 

V 

È noto come una delle preoccupazioni più vive della chiesa, in questi anni, sia stata quella di far giungere dappertutto un messaggio di carità, di socialità e di pace, e di promuovere, per quanto sta in lei, opere di giustizia e di solidarietà in favore di tutti gli indigenti, gli emarginati, gli esuli, gli oppressi: di tutti - diciamo - individui o gruppi sociali o popoli che siano. Noi desideriamo che l’anno santo, con le opere di carità che ispira e chiede ai fedeli, sia un tempo propizio anche per un rassodamento della coscienza sociale in tutti i fedeli e nella cerchia più vasta di tutti gli uomini, a cui può essere fatto pervenire il messaggio della chiesa. 

Le antiche origini del giubileo nelle leggi e nelle istituzioni di Israele, attestano che esso ha per sua stessa natura questa dimensione sociale. Infatti, come leggiamo nel Levitico (34), l’Anno del Giubileo, proprio perché era particolarmente dedicato a Dio, importava un nuovo trattamento di tutto ciò che si riconosceva come appartenente a Dio: la terra, che era lasciata in riposo e restituita ai suoi antichi possessori; i beni economici, nella sfera dei quali avveniva la remissione dei debiti; e soprattutto l’uomo, la cui dignità e libertà veniva riaffermata con la liberazione degli schiavi. L’anno di Dio era, dunque, anche l’anno dell’uomo, l’anno della terra, l’anno dei poveri; e su questa realtà cosmica e umana splendeva una nuova luce che derivava dal riconoscimento del supremo dominio di Dio su tutte le cose. 

Ci sembra che anche nel mondo d’oggi i problemi che più agitano e tormentano la nostra umanità - quello economico e sociale, quello ecologico, quello energetico, quello soprattutto della liberazione degli oppressi e dell’elevazione di tutti gli uomini a più ampia dignità di vita - siano illuminati dal messaggio dell’anno santo. 

Ma noi vogliamo invitare tutti i figli della chiesa e specialmente tutti i pellegrini che verranno a Roma, a impegnarsi su alcuni punti concreti, che come successore di Pietro e capo della chiesa che "presiede alla carità universale" (35), segnaliamo all’attenzione di tutti. Si tratta di realizzare opere di carità e di fede, a servizio dei propri fratelli più bisognosi, a Roma e in tutte le chiese del mondo. Non saranno necessariamente opere grandiose, quantunque esse non siano in nessun modo da escludere; in molti casi basteranno delle microrealizzazioni, come oggi si suol dire, così rispondenti allo spirito della carità evangelica. Forse la chiesa dovrà limitarsi sempre più a dare agli uomini, in questo campo l’"obolo della vedova" (36)data la esiguità delle sue risorse; ma essa sa e insegna che il bene che più conta è quello che, per vie umili e spesso ignote, giunge a soccorrere le piccole necessità, a sanare le piccole ferite, che molte volte non trovano alcun posto nei grandi progetti di riforma sociale. 

La chiesa, tuttavia, sente il bisogno di incoraggiare anche questi sforzi più impegnativi per la giustizia e il progresso dei popoli, e rinnova il suo appello a tutti coloro che hanno la possibilità e il compito di instaurare nel mondo un ordine più perfetto di rapporti umani e sociali, perché non desistano da quest’opera per le difficoltà del momento né si lascino sopraffare dagli interessi di parte. Particolarmente vibrante, ancora una volta, vuol essere il nostro appello in favore dei paesi in via di sviluppo e delle popolazioni tuttora afflitte dalla carestia o dalla guerra. Si dedichino speciali cure alle tante necessità da cui sono troppo spesso travagliati gli uomini in questi tempi: ad es. nel procurare il lavoro a coloro che con esso debbono provvedere ai bisogni della vita, nel pensare alla casa di cui molti sono privi, alla scuola che deve essere soccorsa in molteplici maniere, ai sussidi di ordine sociale e sanitario, senza dimenticare il dovere di promuovere e di garantire la pubblica moralità. 

Vorremmo, infine, esprimere umilmente e schiettamente il voto che anche nel presente anno santo, secondo la tradizione dei passati giubilei, le competenti autorità dei vari paesi considerino la possibilità di concedere, seguendo i suggerimenti della loro saggezza, un indulto ispirato a clemenza ed equità, specialmente in favore di prigionieri che abbiano dato sufficiente prova di riabilitazione morale e civile, o che siano vittime di situazioni di disordine politico e sociale troppo più grandi di loro, perché se ne possano ritenere pienamente responsabili. 

Noi fin d’ora esprimiamo la nostra gratitudine e imploriamo una larga benedizione del Signore per tutti coloro che si adopereranno perché questo messaggio di carità, di socialità e di libertà che la chiesa rivolge a tutti, con la viva speranza di essere capita ed ascoltata, sia accolto e tradotto in realtà di ordine politico e sociale. Così dicendo e auspicando, noi abbiamo la coscienza di muoverci sulla linea di una mirabile tradizione che comincia con la legge d’Israele e trova la sua massima espressione nel nostro Signore Gesù Cristo, che fin da principio del suo ministero presentò se stesso come il realizzatore delle antiche promesse e figure connesse con l’anno del giubileo: "Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché Jahve mi ha unto; mi ha inviato ad annunziare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito, ad annunziare ai prigionieri la libertà, a restituire ai ciechi la vista, a rendere liberi gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore" (37). 

VI 

Se un frutto dell’anno santo ci sta particolarmente a cuore, è quello di un nuovo incremento delle vocazioni per i vari ministeri ecclesiali - specialmente per il presbiterato - e per la vita religiosa, perché per impiegare i mezzi della salvezza che l’anno santo particolarmente segnala e fornisce a tutti i fedeli, ci vorranno sempre dei sacri ministri e il mondo, anche quello di oggi e di domani, avrà sempre bisogno di testimoni del vangelo che nella piena sequela di Cristo dimostrino ai loro fratelli la via della penitenza e della santità. 

Pertanto, bisogna accogliere con diligente attenzione la voce di Dio, il quale non cessa mai di stimolare e di invitare gli eletti, perché, svolgendo il ministero sacerdotale e rendendo fedele testimonianza di vita religiosa, si consacrino generosamente al servizio della chiesa e di tutto il genere umano: alcuni saranno da Dio chiamati, nell’offerta di se stessi attraverso l’obbedienza e il sacro celibato, ad insegnare, santificare e guidare il popolo fedele in ogni parte del mondo, come sacerdoti di Cristo; altri egualmente, uomini e donne di varia età o condizione, si sentiranno attratti verso la vita religiosa, per cui, adempiendo le promesse del battesimo secondo un genere di vita più elevato, interamente vivano nello Spirito e arrechino un reale vantaggio alla chiesa stessa ed alla umana società. Noi auspichiamo vivamente che sempre più cresca e fiorisca questa numerosa schiera di scelti cristiani perché essi, grazie al loro sacerdozio ed allo stile della loro vita religiosa, portino fino ai confini della terra l’annuncio beatificante del Cristo, e così tutti diano gloria al Padre celeste. 

VII 

Vogliamo, da ultimo, proclamare che la riconciliazione fra i cristiani è uno degli scopi centrali dell’anno santo. La riconciliazione di tutti gli uomini con Dio, "nostro Padre", dipende, infatti, dal ristabilimento della comunione tra coloro che già hanno riconosciuto ed accolto nella fede Gesù Cristo come il Signore della misericordia, che libera gli uomini e li unisce nello Spirito di amore e di verità. In questo modo, l’anno giubilare, che la chiesa cattolica ha assunto come parte della propria tradizione, può costituire un periodo molto propizio di rinnovamento spirituale a servizio della causa della unità dei cristiani. 

Ricordiamo, inoltre, che il concilio Vaticano II ha indicato come fondamento di questa ricerca della riconciliazione tra tutti i cristiani che non vi è vero ecumenismo senza conversione interiore, poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento dello spirito, dalla rinuncia a se stessi, dal pieno esercizio della carità, dalla fedeltà che si presta alla verità rivelata (38). 

Il movimento ecumenico, al quale la chiesa cattolica, per quanto può, dà la sua adesione e per mezzo del quale le chiese e comunità non ancora in piena comunione con la sede apostolica cercano e desiderano la unità perfetta voluta da Cristo, trova in questo tema una delle sue più concrete realizzazioni. Ristabilire l’unità nella piena comunione ecclesiale è, infatti, responsabilità ed impegno di tutta la chiesa (39). L’"anno di grazia", dunque, in questo senso, offre l’opportunità di fare speciale penitenza per le divisioni tra i cristiani, dà occasione di rinnovamento in quanto esperienza approfondita della vita di santità in Cristo ed è un passo verso la riconciliazione nell’intensificazione del dialogo e della collaborazione concreta dei cristiani per la salvezza del mondo: "Che siano in noi una cosa sola, affinché il mondo creda" (40). 

Abbiamo espresso, ancora una volta, i nostri intenti e i nostri voti circa la celebrazione dell’anno santo in questa città di Roma. Noi ora invitiamo i nostri fratelli nell’episcopato e tutti i pastori e fedeli delle chiese sparse nel mondo, anche di quelle non pienamente unite alla chiesa romana, anzi tutti i credenti in Dio, a partecipare almeno spiritualmente a questa mensa della grazia e della redenzione, dove Cristo stesso si offre a noi come maestro di vita. Uniti, dunque, ai detti pastori e fedeli, pellegrini alle tombe degli apostoli e dei martiri antichi, noi desideriamo di professare la fede in Dio Padre onnipotente e misericordioso e in Cristo Gesù, nostro redentore. 

Per parte nostra, vorremmo che nell’anno santo in modo più visibile, con quanti vengono a Roma per "vedere Pietro" (41), si attuasse anche per opera nostra quello che scriveva san Leone Magno: “In tutta quanta la chiesa, infatti, Pietro quotidianamente ripete: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" e ogni lingua che confessa il Signore è formata dal magistero di questa voce” (42)). 

Vorremmo pure che una grande moltitudine di fedeli si accostasse, mediante il ministero nostro e dei fratelli nel sacerdozio, alle "fonti del Salvatore" (43). La porta santa, che noi apriremo nella notte della vigilia del santo natale, sarà segno di questo nuovo accesso a Cristo, che solo è la Via (44) e insieme la Porta (45), ed anche della carità paterna con cui apriamo il nostro cuore a tutti, con pensieri di amore e di pace. 

Noi preghiamo la Vergine santissima, alma madre del Redentore, madre della chiesa, madre della grazia e della misericordia, ministra della riconciliazione, tipo fulgidissimo di vita nuova, di intercedere presso suo figlio perché sia concessa a tutti i nostri fratelli e figli la grazia rinnovatrice e salvatrice dell’anno santo, il cui inizio, svolgimento e compimento perfetto affidiamo alle sue mani e al suo cuore di madre. Vogliamo che questa nostra lettera abbia piena efficacia ora e in futuro, in modo che quanto in essa è stato esposto e stabilito sia esattamente osservato da tutti gli interessati e ottenga, pertanto, il suo adempimento, nonostante qualsiasi disposizione in contrario. Se poi, consapevolmente o inconsapevolmente, si agirà in maniera diversa da come abbiamo prescritto, dichiariamo che ciò sarà del tutto privo di valore.

 

Roma, presso S. Pietro, solennità dell’ascensione del Signore, 23 maggio 1974, anno undecimo del nostro pontificato.

(1) Cfr. S. LEONE MAGNO, Sermo LXXXII, 1: PL 54, 422

(2) Cfr. Apoc. 21, 14

(3) Cfr. la testimonianza di Gaio, ecclesiastico del tempo di papa Zefirino, inEUSEBIO, Storia Ecclesiastica, II, 25, 7; trad. it. G. DEL TON, Roma 1964, p. 142 

(4) Cfr. l’epigrafe di Abercio, vescovo di Gerapoli di Frigia alla fine del II secolo: testo e traduzione in M. GUARDUCCI, L’iscrizione di Abercio, «Ancient Society» 2,1971, pp. 176-177

(5) Cfr. S. MASSIMO DI TORINO, Homilia 72: PL 57, 405.

(6) L’espressione si trova in una lettera di S. Colombano al papa Bonifacio IV, del 613: Sancti Columbani opera, ed. G.S.M. WALKER, Dublin 1957, p. 48

(7) Accenni a tale consuetudine in F. M. MENANTI , Istoria della sacrosantabasilica Vaticana . . . . Roma-Torino 1867, p. 180

(8) Cfr. in genere B. KOTTING, Peregrinatio religiosa. Wallfahrten in der Antikeund das Pilgerwesen in der alten Kirche, Regensburg 1950

(9) R. FOREVILLE, L’idée de Jubilé chez les théologiens et les canonistes (XII-XIII s.) avant l’institution du Jubilé romain (1300): «Revue d’Histoire Ecclésiastique» LVI, 1961, pp. 401-423

(10) P. PRESSUTI, Regesta Honorii III, Roma 1888 - 95, 1840; testo in R. FOREVILLE,Le Jubilé de Saint Thomas Becket du XIII au XV siècle (1220-1470). Etudes et documents, Paris 1958, pp. 163-164

(11) Bolla Antiquorum habet fida relatio, in data 22 febbraio 1300: Extravagantes comm. V, IX, 1

(12) Cfr. la Glossa del card. Giovanni Monaco alla medesima Bolla

(13) Cfr. PAOLO PP. VI, Discorso durante l’udienza generale del 9 maggio 1973nella Basilica Vaticana: AAS 65, 1973, pp, 322-325

(14) Cfr. 2 Cor. 5, 18-20; Rom. 5, 10

(15) Cfr. Luc. 10, 42.

(16) Indulgentiarum Doctrina: AAS 59, 1967, pp. 5-24

(17) Cfr. PAOLO PP. VI, Lettera al Signor Cardinale Massimiliano de Furstenberg per l’annuncio dell’Anno Giubilare 1975, Iniziandosi ufficialmente, in data 31 maggio1973: AAS 65, 1973, pp. 357-360

(18) Indulgentiarum Doctrina, 5: AAS 59, 1967, p.11

(19) Cfr. Io. 1, 16

(20) Indulgentiarum Doctrina, 5: AAS 59, 1967, pp.10-11; cfr. S. TOMMASOD’AQUINO, Summa Theologiae, III, q. 48, a. 2 ad 1 e q. 49 a.1

(21) Indulgentiarum Doctrina, 4: AAS 59, 1967, p.9

(22) Cfr. Indulgentiarum Doctrina, 8: AAS 59, 1967, p.16

(23) Cfr. PAOLO PP. VI, Lettera al Rev. P. Costantino Koser, Vicario generale dell’Ordine dei Frati Minori, per il 750° anniversario dell’«Indulgenza della Porziuncola», Sacrosancta Portiunculae ecclesia, in data 14 luglio 1966: AAS 58, 1966,pp. 631-634

(24) Cfr. Indulgentiarum Doctrina, 8: AAS 59, 1967, p.17

(25) Cfr. Ench. Indulg. norma n.24, § 1

(26) Cfr. Ibid. norma n.4

(27) Cfr. PAOLO PP. VI, Motu proprio Pastorale Manus, I, n.14: AAS 56, 1964, p. 8

(28) Cfr. Prima Synodus Romana,a. D. MCMLX, art. 63

(29) Ad Gentes, 1: AAS 58, 1966, p.947

(30) Ibid. 2: AAS 58, 1966, p.948

(31) Discorso al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi: L’Osservatore Romano del 6 aprile 1974, p.4

(32) Cfr. 1 Petr. 3, 15

(33) Cfr. Rom. 15, 2; 1 Cor. 14, 3; Eph. 4, 12

(34) Lev. 25. 8 ss.

(35) Cfr. S. IGNAZIO DIANTIOCHIA, Epist. ad Romanos, Instr.: FUNK 1, 252

(36) Cfr. Luc. 21, 2; Marc. 12, 42

(37) Luc. 4, 18-19

(38) Cfr. Unitatis Redintegratio, 7: AAS 57, 1965, p.97

(39) Cfr. Unitatis Redintegratio, 5: AAS 57, 1965, p.96

(40) Io. 17, 21.

(41) Cfr. Gal. 1, 18

(42) Sermo III: PL 54, 146

(43) Cfr. Is. 12, 3

(44) Cfr. Io. 14, 6

(45) Cfr. Io. 10, 7. 9.

 



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