ENCICLICA
QUAE IN PATRIARCATU
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO IX
Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi Vescovi, e ai diletti Figli Sacerdoti, Monaci e a tutti i fedeli del Patriarcato Babilonese dei Caldei che sono in grazia e comunione con la Sede Apostolica.
Il Papa Pio IX. Venerabili Fratelli e diletti Figli, salute e Apostolica Benedizione.
1. Non crediamo che Voi ignoriate le cose che sono avvenute nel Patriarcato di rito Caldaico da diversi anni a questa parte, e che ancora avvengono, tuttavia è conveniente ricordarle, affinché sappiate come sono andate realmente le cose, quanto è stato fatto da Noi e che cosa rimane ancora da fare per allontanare i danni che minacciano la vostra fede cattolica e l’unità.
Abbiamo ragione di temere che non si sia agito sinceramente con voi e che la verità sia stata oscurata con capziose ambiguità di parole, e i fatti siano stati esposti calunniosamente o distorti in senso malvagio. Seguendo pertanto l’esempio dei Nostri Predecessori, che in simili congiunture non tralasciarono di rendere edotti i Vescovi, il Clero e il popolo sulla vera situazione, vogliamo fare anche Noi la stessa cosa, affinché non appaia che siamo carenti per nessuna ragione al dovere del Nostro Apostolato.
2. È stata tanto grande la rovina recata alle vostre regioni dall’eresia di Nestorio, che ha devastato codesta vigna del Signore, una volta così fiorente, come se un cinghiale, animale particolarmente selvatico, fosse uscito dalla selva e l’avesse distrutta. Infatti si affievolì poco a poco la scrupolosa osservanza dei Canoni; scomparve la solenne autorità dei Pontefici; prese piede l’ambizione di uomini che, privi del timor di Dio, aspiravano alle cariche ecclesiastiche; s’introdusse l’obbrobrio della successione ereditaria dei Patriarchi; e la dottrina cattolica si trovò infettata, oltre che degli antichi errori quasi obsoleti, anche di nuovi, al punto che sembrava dovesse considerarsi cancellato lo stesso nome Cristiano. I Romani Pontefici non cessarono mai di curare attentamente tutti questi mali, finché fu loro permesso di inviare in Oriente uomini Apostolici, per opera dei quali non pochi Presuli Nestoriani, dopo avere abiurata l’eresia, sono ritornati alla fede cattolica e all’unità. Con quanta attenzione e con quanta carità siano stati accolti, sia quelli che inviarono lettere ai Nostri Predecessori, sia quelli che, dopo aver superato le molestie e le fatiche di un lungo pellegrinaggio, giunsero a questa santa Città, appare manifesto tanto dagli Atti della Sede Apostolica, quanto dalle lettere della stessa che riteniamo esistano ancora nei vostri archivi.
3. Giunse finalmente l’auspicato giorno luminoso nel quale, tolte di mezzo tante difficoltà e specialmente rimosso l’impedimento della successione ereditaria dei Patriarchi, era lecito sperare che, ristabilito e ricomposto l’ordine della disciplina ecclesiastica, che è custodia e baluardo della fede, potesse rinascere e rifiorire la Chiesa di rito Caldaico. Noi speravamo che questo potesse avvenire per opera del Venerabile Fratello Giuseppe Audu, che allora era Vescovo di Amida. Animati quindi da tale speranza, lo abbiamo nominato Vicario Apostolico del Patriarcato Caldaico, allorché questo si rese vacante per la rinuncia di Isaia Giacomo, resa nelle Nostre mani. In seguito Ci siamo molto rallegrati quando abbiamo saputo che la medesima persona era stata richiesta e poi eletta alla dignità patriarcale con i voti dei Vescovi. Successivamente abbiamo confermato con tanta soddisfazione questa elezione, o istanza, nel Concistoro dell’11 settembre 1848, e con la Nostra autorità Apostolica abbiamo nominato il predetto quale Patriarca di Babilonia dei Caldei, difendendolo strenuamente quando fu assalito da tanti obiettori.
La speranza che avevamo precedentemente concepito, fu confermata non soltanto dalla fedeltà e dall’obbedienza che egli promise con solenne giuramento a Noi e ai Nostri Successori, come è costume e dovere di tutti i Patriarchi cattolici, ma anche con lettere ossequiose con le quali espose i suoi egregi sentimenti di una devota volontà e di un animo sottomesso a Noi e a questa Santa Sede.
4. Ma non molto dopo scrisse una e più volte alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide che gli erano state recapitate lettere dei Malabarici, per opera ed iniziativa di un Vescovo eretico dei Siro-Giacobiti che dimorava colà, nelle quali gli stessi Malabarici, raccogliendo molte proteste e accuse contro i Missionari Latini e i Vescovi che li curavano spiritualmente in Nostro nome, chiedevano che fosse loro concesso dal Patriarca un Vescovo del loro rito. Sebbene fosse certo che lo stesso Patriarca non poteva avere nessuna giurisdizione sui Malabarici, tuttavia era giusto esaminare diligentemente le loro doglianze per poter provvedere alle loro necessità spirituali con tanta maggiore efficacia e celerità, quanta maggior sollecitudine la Sede Apostolica deve avere verso coloro che essa stessa regge e governa tramite i suoi Vicari. Per tali ragioni fu disposta un’accurata indagine per accertare la verità, al fine di poter giudicare che cosa si doveva fare e stabilire per il loro vantaggio spirituale. Mentre ritardava una risposta definitiva, si venne a sapere quello che poi fu provato da una lettera autografa inviata in data 21 dicembre 1856 a un sacerdote Malabrico di nome Emmanuele: le richieste venivano eccitate dallo stesso Patriarca dei Malabarici; veniva favorita la speranza e insegnato il modo con i quali si potevano soddisfare i desiderata, stancando la Santa Sede con lamentele contro i Missionari e con frequenti e ripetute istanze. Frattanto Noi, desiderando comporre la questione con miti provvedimenti, abbiamo dato mandato al Nostro Pro-Delegato in Mesopotamia di far recedere il Patriarca dal suo intento. Questi fu anche invitato a non interessarsi più della regione Malabarica.
5. Egli però non diede ascolto agli ordini, e pretendendo che la regione dei Malabarici a buon diritto fosse di sua competenza, scelse fra i suoi familiari Tommaso Rokos e, ordinatolo Vescovo, lo mandò a Malabar, nonostante si opponesse e lo proibisse, anche sotto la minaccia di censure, il Nostro Venerabile Fratello Enrico Amanton, Vescovo – finché visse – di Arcadiopoli e Nostro Delegato in Mesopotamia. Il Rokos, giunto colà, asserendo falsamente di essere stato inviato dallo stesso Patriarca su Nostro comando, usurpò la giurisdizione ecclesiastica, promosse agli Ordini sacri molti individui, anche se poco degni, e non ebbe scrupolo di sovvertire in su e in giù la Chiesa Malabarica. Mossi da questi misfatti e stimolati dalle proteste dei Sacerdoti malabarici, abbiamo dato ordine al Venerabile Fratello Bernardino, Arcivescovo di Farsalo, che presiedeva allora come Vicario, su Nostro mandato, a quella Chiesa, che invitasse secondo i Canoni quel Vescovo Tommaso ad andarsene e, se renitente, lo scomunicasse pubblicamente; il che avvenne. Noi frattanto richiamammo a Roma il Patriarca, lo rimproverammo apertamente per la grave mancanza, e gli comandammo di revocare immediatamente quel Vescovo Rokos, che egli aveva temerariamente introdotto in Malabar. Al Patriarca, che ubbidì, concedemmo il richiesto perdono e l’assoluzione dalle censure.
6. Allora ordinammo che tutta la materia e ciò che era accaduto venissero esaminati dai Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa della Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di Rito Orientale. Nella riunione svoltasi il 6 marzo 1865, furono esaminate accuratamente e sollecitamente tutte queste vicende, e a suffragio unanime, con la Nostra approvazione, fu stabilito che non si doveva estendere la giurisdizione del Patriarca di Babilonia dei Caldei alla regione di Malabar. Inoltre furono approvate molte altre decisioni, sia per procurare la sicurezza ai Malabarici, sia per sedare il turbamento degli animi che si era creato fra i Caldei in conseguenza di quanto il Patriarca aveva sconsideratamente compiuto. Il Patriarca accettò, seppure a malincuore, questi provvedimenti, o almeno parve li accettasse: e questa opinione fu confermata dalle sue successive azioni. Anche se in seguito dovemmo dolerci di alcuni provvedimenti da lui adottati poco rettamente, tuttavia egli si dimostrò accondiscendente verso di Noi come si conveniva, e riconoscendo, come di dovere, la Nostra autorità, diede un preclaro esempio di obbedienza, sia pubblicando – come avevamo comandato – il Nostro decreto con il quale si abrogavano le censure da lui temerariamente comminate, sia negando la consacrazione episcopale a un Malabarico che gli era stata richiesta da alcuni che macchinavano innovazioni in quella regione.
7. In tale situazione stabilimmo pure che s’instaurasse nella Chiesa Caldea l’auspicata disciplina ecclesiastica, poco osservata, trascurata e, per la malizia dei tempi, quasi dimenticata, fatti salvi pero i suoi riti, che anticamente erano stati istituiti dai Santi Padri e che furono sempre riconosciuti e approvati da questa Sede Apostolica. Questo Nostro proposito fu notificato al Patriarca dalla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, per Nostro mandato, il 3 settembre 1868, e contemporaneamente fu inviato a lui un esemplare della Nostra Costituzione, pubblicata il 12 luglio 1867, nella quale erano stati sanciti alcuni capitoli di disciplina ecclesiastica, specialmente relativi all’elezione dei Vescovi, da osservarsi nel Patriarcato Armeno. Non appena ricevette tale materiale, per mezzo del Vescovo Elia Mello che allora era presente a Roma, con proprie lettere [Litt. dat. 31 Iulii 1868, aliae dat. die 24 Maii 1869] inviate alla predetta Congregazione volle assicurarci che egli non dissentiva per nulla dalla Nostra volontà riguardo alle regole sulla elezione dei Vescovi, professando di accoglierle con ogni devozione ed obbedienza. Anzi, sperava che dal previsto ordinamento sulle elezioni dei Vescovi sarebbero derivati vantaggi, ed egli si sarebbe sempre comportato come appariva conveniente ed opportuno a Noi; il che fu per Noi motivo di gioia e letizia. Frattanto, essendo rimaste orbate dei loro Pastori le Chiese di Diyarbekir e di Mardin di rito Caldaico, Ci propose i nomi di alcuni sacerdoti, affinché mettessimo a capo di queste Diocesi coloro che secondo la Nostra autorità avessimo giudicato in Domino più degni e più idonei: il che fu fatto con Nostra Lettera Apostolica in data 22 marzo 1869. Fummo talmente commossi da tali segni di devozione ed obbedienza, che avendo egli umilmente esposto che preferiva che colui che avevamo destinato alla Chiesa di Amida venisse assegnato come Vescovo alla Chiesa di Mardin, e viceversa, Noi abbiamo deciso di acconsentire in pieno a tale richiesta.
8. Dopo questi avvenimenti, abbiamo ritenuto che non si dovesse differire oltre il ripristino della disciplina nel Patriarcato di rito Caldaico, nel quale si doveva assolutamente iniziare dalla retta elezione dei Vescovi. Infatti, se non si scelgono per tale oneroso compito, spaventoso per le stesse spalle angeliche, uomini ragguardevolissimi, che agiscano secondo il cuore e la volontà di Dio, si producono gravissimi danni e calamità quasi irrimediabili per la Chiesa: lo attesta la storia di tutti i tempi e di tutti i luoghi, e lo conferma l’esperienza. A questo scopo fu pubblicata da Noi il 31 agosto 1869 la Costituzione Apostolica Cum ecclesiastica disciplina nella quale, riguardo alla elezione dei Vescovi, veniva stabilito di osservare all’incirca quello che lo stesso Patriarca – come abbiamo detto sopra – aveva già fatto volentieri per le Diocesi di Diyarbekir e di Mardin: cioè, quando si rendesse vacante una Sede episcopale, venissero a Noi proposti dal Sinodo dei Vescovi tre uomini ragguardevoli, onde giudicassimo chi era il più degno e il più idoneo e lo collocassimo alla guida della Diocesi vacante. Veniva inoltre decretato che sarebbe stato illegale e invalido tutto ciò che si fosse tentato di fare contro queste disposizioni.
9. Frattanto era stato indetto il Concilio Ecumenico Vaticano, al quale furono convocati i Vescovi di ogni Nazione e Rito.
Intervenne fra gli altri anche lo stesso Venerabile Fratello Patriarca dei Caldei con quasi tutti i Vescovi del suo Rito; ma avvertimmo con dolore che egli era molto mutato da quello che prima Ci aveva dato tanti segni di riverenza e di obbedienza. Infatti si rifiutò di consacrare come Vescovi delle predette Chiese di Diyarbekir e di Mardin i sacerdoti Pietro Attar e Gabriele Farso, che avevamo eletto fra quelli da lui proposti, assegnando a ciascuno la Chiesa da lui preferita. Allorché stava per partire da Roma, abbiamo ordinato che gli venisse richiesta una dichiarazione di totale adesione e di accettazione della Costituzione De Ecclesia Christi approvata nella quarta Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano, alla quale egli non era stato presente. Noi stessi lo esortammo e scongiurammo a compiere questo dovere, prospettandogli l’esempio di altri Vescovi che, non essendo intervenuti alla quarta Sessione, non esitarono ad aderire a quella dichiarazione. Egli da principio cominciò a frapporre indugi e a tergiversare, poi asserì pervicacemente che lo avrebbe fatto più utilmente dopo che fosse tornato alla sua sede, promettendo contemporaneamente che non avrebbe tralasciato nulla per darci soddisfazione. Questo fatto Ci procurò grande dolore e ansietà, che poi crebbero quando, recatosi a Costantinopoli, subornato dalle blandizie e dalle menzogne degli Armeni Neoscismatici e incitato dal loro esempio, egli non esitò a celebrare occasionalmente con loro in divinis; mentre professava con un atto solenne la sua fedeltà alle leggi civili del Sultano, insinuava che le Nostre Costituzioni Apostoliche erano contrarie ad esse. In quella circostanza accadde anche che egli trascurò di presentare i debiti doveri di urbanità al Nostro Legato straordinario che in quel tempo dimorava a Costantinopoli. Non diede alcuna risposta alla lettera inviata dalla Nostra Sacra Congregazione nella quale erano espresse le opportune ammonizioni. Inoltre, ritornato in Mesopotamia, si unì ai promotori di novità e fece sconsideratamente certe affermazioni che, come fu riferito, non potevano accordarsi in alcun modo col ministero di un Vescovo cattolico, anzi neppure con la stessa fede ortodossa.
10. Udendo con gran dolore tutte queste cose, Ci assillava l’animo il precetto del Signore, dato al Beato Pietro, di confermare i fratelli, e insieme il dovere di provvedere alla salvezza della anime e di difendere il gregge del Signore. Era secondo Noi gravissima la condizione alla quale era stato ridotto il Nostro Venerabile Fratello Timoteo, Arcivescovo dei Caldei di Diyarbekir, per l’inimicizia e le male arti di alcuni che si dicevano sostenuti dal patrocinio del Patriarca. Anzi l’Arcivescovo, sentendo che gli era ostile l’animo del Patriarca, ci aveva inviato più volte lagnanze e dolenti preghiere perché gli concedessimo di cessare dal ministero episcopale. Pertanto incaricammo il Venerabile Fratello Zaccaria, Vescovo a vita di Maronea, di partire alla volta di Mauxilio per incontrare il Patriarca e per comunicargli la rinuncia all’episcopato del predetto Venerabile Fratello Timoteo: rinuncia da Noi riconosciuta. Lo stesso Patriarca, con la Nostra autorità, investisse quale Vicario Apostolico della Diocesi di Diyarbekir la persona che preferiva. Infine, il Vescovo Zaccaria inducesse il Patriarca a sottoscrivere la necessaria dichiarazione di adesione e sottomissione ai decreti della quarta Sessione del Concilio Vaticano: adesione che per lui era assolutamente necessaria, non soltanto perché contro di essi blateravano i Neoscismatici Armeni (e lo stesso comportamento che il Patriarca aveva tenuto dopo il suo ritorno era di grande meraviglia per i fedeli), ma soprattutto perché si preoccupasse dell’eterna propria salvezza, rimovendo lo scandalo o almeno prevenendo quel che stava nascendo dal suo silenzio.
11. Finalmente il predetto Patriarca accolse questi ammonimenti, e consegnò la sua adesione per iscritto. Aggiunse tuttavia che egli voleva che fossero conservati e riservati tutti i diritti e i privilegi del Patriarcato. Sebbene potessimo sospettare che in tal modo egli agiva verso di Noi poco sinceramente, tuttavia, considerando la sua antica fedeltà – che ricordava nella stessa dichiarazione – e la forte pressione che su di lui esercitavano i malvagi; avendo davanti agli occhi l’esempio di Colui del quale è scritto che non rompe la canna sconquassata e non spegne il lucignolo fumigante (Is 42,3; Mt 12,20), abbiamo preferito vedere in quella dichiarazione più un desiderio del Patriarca che una iniqua condizione o limitazione nella professione della fede. Cosi abbiamo deciso di accettare quell’atto di adesione pur dichiarando manifestamente con quale sentimento intendevamo accoglierlo: cioè nel rispetto della dottrina cattolica, sia sul Primato Pontificio, sia sui diritti dei Patriarchi. Per questo gli inviammo la seguente Lettera Apostolica il giorno 16 novembre 1872.
[Gli Atti di Pio IX omettono il paragrafo 12 che, secondo la successione aritmetica, dovrebbe trovarsi a questo punto della presente Enciclica].
Al Venerabile Fratello Giuseppe, Patriarca Babilonese dei Caldei.
Il Papa Pio IX. Venerabile Fratello, salute e Apostolica Benedizione.
13. “Dobbiamo ringraziare l’Autore di ogni bene, che si è degnato di concedere generosamente ciò che avevamo ininterrottamente richiesto con assidue preghiere, come Ci ha dimostrato dalla tua lettera del 29 luglio di quest’anno, e Ci rallegriamo per il sentimento della tua devozione. Infatti hai dichiarato apertamente che aderisci ai Decreti e alle Costituzioni del Sacro Concilio Vaticano e soprattutto alla definizione dogmatica dell’infallibile magistero del Romano Pontefice in materia di fede e di costumi, che fu promulgata nella quarta sessione dello stesso Concilio. Con grandissimo piacere abbiamo ricevuto proprio da Te, devoto a questa Sede Apostolica fin dall’infanzia, l’attestazione che ti sei sempre attenuto fermamente a tutto ciò che la Chiesa Romana insegna e dispone, e che quindi già prima credevi in cuor tuo, per senso di giustizia, a ciò che ora apertamente professi per la tua salvezza.
“Né in verità avrebbe potuto essere diversamente, dato che nelle sacre Epistole e negli scritti dei santi Padri, nelle espressioni dei Concili ecumenici e nei sacri Canoni non c’è nulla di più evidente di quel che il Concilio Ecumenico Vaticano ha decretato e sancito a proposito della suprema potestà del Pontefice Romano, ribadendo ed esprimendo con ulteriore chiarezza – così come esigevano gli errori più recenti – la definizione scaturita sul medesimo argomento nel Sinodo Ecumenico Fiorentino, cioè che la Chiesa Romana, per volontà di Dio, possiede la supremazia su tutte le altre realtà di diritto ordinario e che questa potestà di giurisdizione del Pontefice Romano, che è propriamente episcopale, non ha intermediari; che nei confronti di tale giurisdizione tutti i sacerdoti ed i fedeli, di qualunque rito e grado, sia considerati come singoli sia tutti insieme, sono tenuti al dovere della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza, non soltanto in materia di fede e di comportamenti, ma anche in quei settori che attengono alla disciplina ed all’organizzazione della Chiesa diffusa in tutto il mondo; cosicché – salvaguardata l’unità sia di comunione, sia di professione della propria fede con il Pontefice Romano – la Chiesa di Cristo sia un solo gregge sotto un solo sommo pastore: questa dunque è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi conservando intatte la fede e l’aspirazione alla salvezza. Noi non abbiamo mai dubitato che tu abbia voluto professare pienamente e rettamente tutte e singole queste verità, aderendo alle costituzioni del Concilio Vaticano.
“Tu ricavi da ciò, Venerabile Fratello, quanto Cristo Signore volle personalmente stabilire a proposito del regime gerarchico e dell’ordinamento della Chiesa. La diversità e la gerarchia di potere dei Vescovi (che per diritto divino hanno uguale dignità) sono state introdotte dal diritto ecclesiastico “per evitare che tutti rivendicassero tutto per sé: ma fossero ciascuno in una diversa provincia, detenendo fra i confratelli il primo giudizio; ed inoltre, coloro che vengono assegnati alle città principali avessero una funzione maggiore, affinché tramite loro l’impegno della Chiesa universale si ricompatti nell’unica sede di Pietro, e niente assolutamente s’allontani dal suo vertice [S. Leo PP. Ad Anastas. Thessalonicen. Ep. 14. Ed. Baller., tomo I]. Da questo, infatti, come se fosse una testa, il Signore volle che si diffondessero in tutto il corpo i suoi doni” [S. Leo PP. ad Hilar. Arelaten. Ep. 10. Ed. Baller., tomo I]: ed in realtà da Lui e dai suoi successori le sedi principali hanno ricevuto tutto ciò che correttamente loro spetta in onore e potere. Poiché il Beato Pietro che vive nella propria Sede e la presiede [Epist. S. Petri Crysolog. ad Eutich. Inter Op. S. Leon., tomo I, edit. cit], offre la verità della fede a coloro che la cercano, e la Sua dignità non vien meno nei Suoi successori, vedi, Venerabile Fratello, che è dovere e diritto di costoro individuare dalle premesse ciò che nel nome del Signore avrà costituito, a seconda dei tempi e dei luoghi, bene a vantaggio per la Chiesa ed autentica salvezza per le anime: il che è la suprema legge.
“Quando questi fondamenti della fede cattolica vengono trascurati, si apre un’ampia strada agli scismi e persino alle eresie, come testimonia la storia di tutti i tempi e come mostra anche quella attuale, visto che alcuni non rispettano né la moderazione della giustizia né la sacralità della fede. Hai conosciuto, Venerabile Fratello, il luttuoso scisma che recentissimamente alcuni Armeni hanno provocato a Costantinopoli: costoro, anche se ritengono di potersi chiamare cattolici, per ingannare gl’incauti e gl’impreparati, tuttavia si sono tragicamente allontanati dalla verità e dall’unità cattolica e sono condannati dal Nostro giudizio e dalla Nostra autorità. Costoro, per altro, tutto smuovono, tutto osano, come è comportamento consolidato degli eretici, per trarre a sé discepoli e conquistare credito di qualsiasi provenienza per la loro sciaguratissima causa; in questo modo hanno tramato anche contro i fedeli di rito caldeo e tuttora non smettono di tramare. Noi non dubitiamo che ai fedeli che ti sono stati affidati per mantenerli nella verità e nell’unità cattolica, come esigono la tua dignità e il tuo incarico, Tu, Venerabile Fratello, spiegherai apertamente che il nuovo scisma Armeno è stato da Noi già sconfessato; e che Tu insegnerai loro che non è lecita alcuna commistione con gli stessi Neoscismatici, men che meno nelle pratiche religiose. Che costoro infatti siano completamente esclusi e cacciati dalla Chiesa Cattolica lo testimonia più che a sufficienza la stessa lettera emanata dal Romano Pontefice, cioè dalla prima ed Apostolica Sede [S. Nicephorus Adv. Iconomachos, cap. 13 ap. Zonaram in can. 28 Conc. Chalced.].
“In quest’occasione inoltre non possiamo tacere, Venerabile Fratello, quel che accade nella chiesa di Diyarbekir, facente parte del tuo patriarcato; Tu non ignori che da molti anni essa è appesantita e divisa da tensioni e lotte intestine; ed inoltre quante ne abbia dovute sopportare colui che di recente ne è stato il capo, il Vescovo Pietro Di-Natale. Alla sua morte, quando su tua proposta vi nominammo Vescovo il Venerabile Fratello Pietro Timoteo Attar, apprendemmo con gran dispiacere che le predette tensioni non si erano risolte; anzi, sotto la spinta dello spirito Neoscismatico, si era arrivati a tal punto che, come già rimproverava l’Apostolo ai Corinzi, uno diceva di essere di Paolo e l’altro di Cefa; e lo stesso Venerabile Fratello Timoteo più e più volte Ci supplicò che gli concedessimo di lasciare l’incarico che gli avevamo affidato e che lo aveva trascinato in tanta tempesta. Scismi e scandali di tal fatta devono essere assolutamente tolti di mezzo. Perciò ti esortiamo e scongiuriamo nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo, Venerabile Fratello, affinché ti impegni prioritariamente e con la massima efficacia nel comporre ed azzerare codesti dissidii. Vogliamo che tu sia certo che per ottenere questo risultato non ti verranno mai meno il Nostro consiglio, il Nostro aiuto e la Nostra autorità.
“È vecchio e nello stesso tempo ben noto il metodo degli eretici di isolare prima e poi scindere in fazioni quei cattolici che mirano ad opprimere con gli inganni, la paura, la violenza; poi incalzare Re e Principi con calunnie e lamentele, per procurarsi in tal modo il loro patrocinio e suscitare odio ed indignazione contro i cattolici. Essi agiscono con il massimo impegno per allontanare dall’unità e dalla comunione con la Sede Apostolica coloro che tentano di trarre dalla loro parte, per farseli poi complici di malvagità e perdizione. Per questo motivo, quando i fedeli siano turbati dall’eresia e dallo scisma, è da sempre consuetudine per i cattolici, e soprattutto per i Vescovi, implorare – come diceva il grande Basilio di Cesarea – la mano risanatrice del Pontefice Romano ed invocarne l’autorità; affinché, nella fermezza del Beato Pietro, Principe degli Apostoli, si consolidino le fondamenta della Chiesa Orientale.
“Impegnati dunque, Venerabile Fratello; segui i precetti e gli esempi dei predecessori, che hanno pronunciato parole di vita; analizzando l’obiettivo del loro discorso, imitane la fede. Cristo è lo stesso ieri, oggi e nei secoli futuri; nessuno potrà sradicare ciò che Egli pose come fondamento della Chiesa, così come nessuno che voglia rimanere nel gregge del Signore potrà mai allontanarsi da Colui che Egli prepose come Pastore di tutti.
“Questo devi insegnare, e proclamare in Cristo Gesù; a questo attieniti e nessuno si approprierà della tua corona. Siamo invecchiati entrambi, Venerabile Fratello, ed è imminente la conclusione del nostro attendamento terreno; perciò diamoci da fare al massimo per compiere al meglio il nostro ministero; Tu nei confronti del popolo che, per Nostro tramite, Dio ti ha dato da governare; Noi nei confronti della Chiesa tutta che, con imperscrutabile scelta, Dio stesso ha affidato alla Nostra debolezza, perché la nutrissimo e la governassimo. E se ci capita di dover soffrire un po’ per questa causa, rallegriamoci ed esultiamo di essere ritenuti degni di sopportare qualche offesa nel nome del Signore e di guadagnare una mercede più copiosa in cielo. Noi preghiamo di ciò il Signore, Venerabile Fratello, per Te che abbiamo sempre trattato e trattiamo con sincero affetto, e per Noi; volendo aggiungere a ciò un nuovo pegno, a conferma della Nostra benevolenza, e desiderando andare incontro alle tue necessità spirituali, date le perturbazioni attuali della Chiesa Orientale, ad esse soccorriamo per quanto è necessario con il Nostro potere Apostolico e con la Nostra indulgenza, per mezzo di questa lettera.
“Mentre scrivevamo queste cose, abbiamo ricevuto da Te un’ulteriore lettera datata 16 settembre di quest’anno, e contemporaneamente un chirografo del Venerabile Fratello Simeone, Arcivescovo di Senhanen, firmato il primo dello stesso mese, per attestare la sua adesione alle Costituzioni del Sacro Concilio Vaticano; il che già aveva fatto il Venerabile Fratello Tommaso, Arcivescovo di Bassora, il 29 luglio di quest’anno. Di ciò ringraziamo i Venerabili Fratelli e Te, poiché tutti i Presuli del tuo patriarcato sono unanimi e insieme procedono nella casa del Signore; non soltanto nel chiuso del cuore coltivano questo consenso degli animi, ma lo dichiarano pubblicamente e solennemente; nulla più di questo è opportuno per impedire od estinguere gli scismi e per conservare la pace tra i fedeli.
“Il Dio stesso della pace Ti sorregga in ogni buon impegno e Ti doni la pace sempiterna; nel Suo nome e con la Sua autorità Noi impartiamo di cuore la Benedizione Apostolica a Te e a tutti i Vescovi, sacerdoti, monaci ed al fedele popolo del Patriarcato Babilonese che si mantengono in comunione ed obbedienza con la Sede Apostolica.
“Dato a Roma, presso San Pietro, il 14 novembre 1872, anno ventisettesimo del Nostro Pontificato”.
14. Nella risposta che diede a questa Nostra lettera, il Patriarca [Litt. dat. die 12 Maii 1873] dichiarava con molte parole obbedienza e devozione nei Nostri confronti e verso questa Cattedra Apostolica di San Pietro e prometteva che si sarebbe pienamente impegnato affinché i fedeli del suo Patriarcato restassero immuni dagli errori del nuovo scisma Armeno, ed anzi lo detestassero dal più profondo del cuore. Di conseguenza Ci saremmo rallegrati che tutto fosse finito bene, se non Ci avesse offerto motivo di preoccupazione la reiterata richiesta dell’autorizzazione a mandare Vescovi del suo rito in Malabaria; per ottenerla, da un lato asseriva che non si era provveduto sufficientemente alle necessità di quella gente; dall’altro si sforzava di mettere avanti l’ansietà della sua coscienza, se non si fosse intervenuti sollecitamente. Dopo che l’argomento fu esaminato attentamente dalla citata Nostra Congregazione incaricata dei rapporti con i Riti Orientali, ricevuta la relazione Noi disponemmo che si rispondesse al Patriarca [Litt. dat. die 30 Septembris 1873] che Noi non potevamo essere d’accordo con le sue tesi a proposito della Malabaria. Infatti Ci risultava chiaro che esse non si sarebbero tradotte minimamente in beneficio per le anime; che da parte Nostra si era provveduto a sufficienza alla salvezza spirituale dei Malabarici; perciò si calmasse e deponesse ogni ansietà a questo proposito. Molti altri concetti vennero aggiunti in quella stessa risposta, per fortificare il suo animo, che sapevamo tentato dai suggerimenti dei malvagi, perseguitato dalle ingiurie, atterrito dalle minacce.
15. Ma poco dopo apparve chiaro quanto gli sforzi dei malvagi riescano a trascinare con sé un uomo, anche probo, quando il tempo li aiuti; in effetti, non avrebbero potuto desiderare nulla di più favorevole ai loro spregiudicati disegni. A quell’epoca infatti un nuovo scisma si era sviluppato fra gli Armeni, già era divampato e già tentava di trarre dalla propria parte ed ai propri perfidi progetti, anche controvoglia, le Chiese degli altri Riti Orientali, con lo scopo di perseguitare e depredare i cattolici. Così il 24 maggio 1874, nella solennità della Pentecoste, il Venerabile Fratello Patriarca Giuseppe osò offendere lo Spirito Santo. In quello stesso giorno infatti ebbe l’impudenza di elevare in modo sacrilego alla dignità episcopale due sacerdoti del suo rito, uno di nome Elia, l’altro Matteo; gli fecero da assistenti Elia Mello, Vescovo di Akra dei Caldei, ed Eliseo, Abate generale dei monaci di Sant’Ormisda. I due consacrati furono posti uno a capo della chiesa di Iezira, l’altro di quella di Amida, arbitrariamente e senza alcun fondamento. Lo impediva infatti la predetta Nostra Costituzione edita nel 1869. A quel punto, in spregio alle altre lettere ed ai decreti della Sede Apostolica, destinò Elia Mello come Vescovo in Malabaria; a trattenere questi dall’intraprendere il viaggio non valsero né il Nostro divieto, né la condanna della sospensione, annunciata da parte Nostra, nella quale sarebbe incorso ipso facto se avesse osato porsi in viaggio; tutto ciò gli era stato opportunamente comunicato.
16. Spinti dalla gravità e dalla frequenza di queste azioni scellerate, ordinammo che lo stesso Patriarca venisse pesantemente ammonito tramite il Nostro diletto figlio Alessandro Franchi, Cardinale di Santa Romana Chiesa al titolo di Santa Maria in Trastevere e Prefetto della ricordata Nostra Congregazione di Propaganda Fide per gli affari dei Riti Orientali. Questi inviò al Patriarca una lettera datata 27 agosto dello stesso anno, per richiamare alla sua memoria le disposizioni ed i divieti della Sede Apostolica. Le motivazioni con le quali egli s’era ingegnato di contestare tali provvedimenti erano da considerarsi confutate; disapprovato l’invio del citato Vescovo Mello in Malabaria; riprovata l’illegittima consacrazione dei due Vescovi (l’elezione di costoro era dichiarata nulla e priva assolutamente di qualunque effetto); agli stessi veniva interdetto l’esercizio di qualunque attività d’ordine episcopale. Al Patriarca veniva ordinato espressamente di richiamare personalmente il Vescovo Mello dalla Malabaria e gli altri dalle Diocesi nelle quali erano stati da lui introdotti, e di rendere conto dei suoi atti; se non l’avesse fatto entro un lasso di tempo stabilito, il Sommo Pontefice, per quanto a malincuore, avrebbe dovuto applicare nei suoi confronti le pene canoniche. Allo stesso modo furono ammoniti, per Nostra disposizione, i due sacerdoti Matteo ed Elia; fu resa loro nota la nullità della loro elezione, vietato l’esercizio dei pontificali, ordinato l’allontanamento dalle Diocesi che avevano occupato, minacciati di pene ecclesiastiche se non avessero obbedito. A questo punto dovevano essere ammoniti coloro che erano stati partecipi della consacrazione sacrilega. Dio tolse di mezzo l’abate Eliseo: questi infatti morì non molto tempo dopo, senza aver dato alcun segno di pentimento. Il Vescovo Mello, non appena arrivato in Malabaria, fu solennemente scomunicato dal Venerabile Fratello Leonardo, Arcivescovo di Nicomedia, Vicario Apostolico di Verapolis, in forza dell’autorità che gli avevamo conferito con la lettera inviatagli il 1° agosto 1874, che comincia Speculatores: una volta insediatosi, Mello fu ammonito canonicamente di andarsene, ma rifiutò di obbedire.
17. La risposta del Patriarca [Litt. dat. die 20 Februarii 1875], fattasi aspettare a lungo, Ci dimostrò a sufficienza che egli non voleva attenersi alle Nostre disposizioni; tutto in essa tendeva ad asseverare l’integrità della sua fede e a garantire la sua devozione e sottomissione verso la Cattedra Apostolica del Beato Pietro, ma intanto egli proteggeva i suoi pretesi diritti patriarcali; e premeva perché gli permettessimo di goderli liberamente, revocando ciò che la Sede Apostolica aveva decretato per il Malabar e l’elezione dei Vescovi. Alla fine, ricordando la canizie della propria età e le fatiche sopportate, Ci incitava ad aver pietà di lui e della sua gente. Nel frattempo però non modificava la posizione né i comportamenti temerari, ché anzi non esitò a consacrare Vescovi arbitrariamente e sacrilegamente altri due sacerdoti del suo Rito, Ciriaco e Filippo Giacomo (destinando uno dei due alla diocesi di Zaku, l’altro all’India), con l’assistenza e la cooperazione all’empia consacrazione del Vescovo Tommaso Rokos e di Matteo, precedentemente consacrato in modo sacrilego dallo stesso Patriarca. A questo punto Noi Ci rattristammo terribilmente, considerando come si era ridotto miseramente, spinto dai suggerimenti dei malvagi, lo stesso Venerabile Fratello Patriarca Giuseppe, che un tempo si era mostrato sostenitore strenuo della fede cattolica e dell’unità. Riflettendo inoltre che la misericordia non deve essere remissiva, ma giusta; che se una colpa viene cancellata sconsideratamente, colui che è colpevole potrebbe esser trascinato più pesantemente nel reato; che non sarebbe misericordia ma segno di torpore e debolezza essere indulgenti in qualcosa che soddisfacesse alla voglia di uno o più, ma che poi risultasse dannosa e mortale per la salvezza di molti, ritenemmo che al Patriarca dovesse essere mandata un’altra lettera, nella quale – volendo mantenere contemporaneamente misericordia e discernimento – abbiamo ricostruito per sommi capi tutto ciò che da lui era stato e veniva erroneamente compiuto; abbiamo voluto rendergli evidente l’inconsistenza delle motivazioni con le quali egli tentava di giustificarsi, e di nuovo ammonirlo affinché obbedisse, almeno stavolta, alle disposizioni Apostoliche, com’era suo dovere; se non l’avesse fatto alla svelta, denunciavamo che Noi non Ci potevamo astenere dal seguire le orme dei Nostri Predecessori, che in caso di necessità non trascurarono di colpire anche i vecchi Patriarchi con la scomunica e persino con la deposizione. Con questo orientamento, il 15 settembre 1875 gli mandammo la seguente lettera monitoria.
Al Venerabile Fratello Giuseppe, Patriarca Babilonese dei Caldei.
Il Papa Pio IX. Venerabile Fratello, salute e Apostolica Benedizione.
18. “La risposta che tu hai fornito il 20 febbraio di quest’anno alla lettera monitoria che su Nostro comando e con la Nostra autorità ti è stata inviata dalla Nostra Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di Rito Orientale Ci ha riempito di dolore e tristezza. Da essa infatti abbiamo capito fino a che punto il tuo cuore sia lontano da Noi, anche se Ci onori a parole, poiché dichiari che non puoi eseguire ciò che per lettera ti è stato trasmesso in Nostro nome e per Nostro volere. Se rifiuterai di obbedire alle predette ammonizioni e confermerai questa tua disubbidienza con ulteriori azioni sacrileghe, questo solo Ci rimarrebbe da fare: seguendo le regole ecclesiastiche e le norme istituite dai Santi Padri, colpirti, come è giusto, con le censure canoniche. Riflettendo però che in altri tempi tu hai professato (e anche per lettera continui a professare) la fede cattolica e il dovuto ossequio verso questa Sede Apostolica e che un tempo hai comprovato ciò con i fatti, abbiamo preferito ritenere che tu sia stato ingannato dagli astutissimi cavilli dei neo-eretici, mediante i quali si tenta di conciliare la riverenza con la disubbidienza che ti ha fatto venir meno, in effetti, ai tuoi convincimenti cattolici.
“Cercando, per quanto è possibile alla Nostra debolezza, di imitare la carità di Colui che agisce con pazienza, non volendo condannare a morte alcuno ma portare tutti sulla strada della penitenza, Ci asteniamo dall’attuare nei tuoi confronti le censure che ti sei attirato, finché non ti sia consegnata questa Nostra lettera, che consideriamo ultima, perentoria ammonizione. Noi confidiamo in Dio, Padre delle misericordie, affinché tu voglia ritornare in te, riconoscendo la malvagità dei tuoi atti, la futilità delle motivazioni con le quali hai voluto giustificarli, ed inoltre il gravissimo debito del quale sei tenuto a dar sollecita soddisfazione alla Chiesa di Dio; speriamo che tu non tardi a detestare e ad odiare tutto ciò che hai iniquamente compiuto.
“Conviene dimenticare tutto quello che hai fatto dopo la tua partenza da Roma, prima a Costantinopoli e poi nel tuo Patriarcato, fino alla dichiarazione della tua adesione e sottomissione ai decreti del Concilio Vaticano, resa il 29 luglio 1872. Infatti tu sai bene quel che hai portato a termine erroneamente in quell’arco di tempo e con quale Apostolica sollecitudine Noi siamo venuti in soccorso delle tue necessità spirituali. Noi speravamo che non Ci avresti procurato in futuro una causa di dolore ancora più grave. Dopo questo periodo, tu inviasti alla citata Nostra Congregazione una lettera datata 12 maggio 1873, nella quale chiedevi ti fosse concessa la facoltà di consacrare Vescovi in Malabaria. Poiché Noi non potevamo consentire a tale richiesta, per le ragioni che già molte volte ti avevamo illustrate, non molto dopo tu non hai esitato a superare i confini prestabiliti, avendo ricevuto e disatteso sia la Nostra lettera Apostolica che comincia “Cum ecclesiastica”, nella quale avevamo fissato le regole da seguire nella scelta dei Vescovi, sia le altre lettere con le quali più e più volte ti ordinavamo di non osare alcunché in Malabaria. Ma tu non hai avuto riguardo di dotare del carattere episcopale due sacerdoti e di affidare loro arbitrariamente le Diocesi, e di destinare a Malabar, contro le Nostre disposizioni, il Vescovo Elia Mello, che osa definirsi metropolita di quella regione.
“Non piangeremo mai abbastanza i mali che fecero immediatamente seguito a questi tuoi ardimenti, i danni che essi arrecarono alla stessa Chiesa cattolica sia in Malabaria sia in Mesopotamia, ed il grande disdoro che comportarono per la tua dignità e per la tua fede. Infatti la disciplina ecclesiastica è stata turbata dall’operato del predetto Vescovo Elia, che hai mandato a Malabar violando il Nostro comando, e al quale hai ordinato di restare colà nonostante fosse stato colpito da solenne scomunica da Noi disposta; agli ordini sacri sono stati promossi giovani inidonei e persino indegni; chiese cattoliche sono state strappate con l’inganno e talora con la violenza; con ingiurie e con calunnie sono stati aggrediti non soltanto i missionari Apostolici ma persino lo stesso Venerabile Fratello Leonardo, Arcivescovo di Nicomedia, che in quella regione esercita la Nostra potestà vicaria; ed un luttuoso scisma è stato introdotto ed alimentato. Da qui le discordie e le contese sviluppatesi fra i fedeli Malabarici, gli uni fermamente stretti al loro legittimo Presule, gli altri legati all’intruso Elia, il quale non cessò mai di mettere in campo qualunque subdola ed iniqua manovra per ingannare gli incauti e i semplici. Codesto figlio della perdizione s’azzardò non soltanto ad affermare pubblicamente che la Nostra lettera Apostolica Speculatores, inviata ai Malabarici il 1° agosto dell’anno scorso, era falsa; ma arrivò al punto d’inventarsi di sana pianta un Breve apostolico, al quale mise la data del 20 agosto 1872, e di promulgarlo pubblicamente e solennemente come Nostra lettera. In tale testo, codesto falsario di lettere Apostoliche dice calunniosamente che nel Concilio Ecumenico Vaticano si era trattato del tuo preteso diritto in Malabaria, e che esso era stato riconosciuto dai Padri ed approvato da Noi; non ha avuto paura di chiamare a suffragio di questa sua menzogna tanti testimoni quanti furono i Padri che presero parte al Concilio Ecumenico Vaticano. Così, tramite voi, con inganni di tal fatta vengono diffusi negli animi errore e confusione, e la verità viene corrotta in malizia; oscillano i fedeli, trascinati in diverse direzioni, ed alcuni di loro si trovano ad aderire all’usurpatore scismatico, ritenendo al contrario di essere in consonanza con la Cattedra Apostolica del Beatissimo Pietro.
“Se in verità analizziamo quanto è accaduto in Mesopotamia, riscontriamo con gran dolore che alle Diocesi sono preposti Vescovi che non hanno alcuna comunione con questa Cattedra del Beatissimo Pietro, da te scelti in maniera temeraria ed illegale, contro le disposizioni apostoliche, consacrati in modo sacrilego ed iniquamente insediati. Come avresti potuto ignorare – proprio tu che ricordi anche troppo spesso di essere stato disciplinatamente educato nella fede cattolica – che nessuno può essere legittimamente creato Vescovo contro il parere della Sede Apostolica? Che non è investito di nessun potere colui che la stessa Sede Apostolica ha dichiarato privo di qualunque giurisdizione? E forse ti sembrano poca cosa il sovvertimento dell’ordine ecclesiastico suscitato dalla tua opera, il turbamento dei fedeli, le lotte, lo spirito di emulazione, ed il gravissimo scandalo che è stato recato ai fedeli, e tuttora perdura, per la tua disobbedienza alle disposizioni Apostoliche? A causa di essa esultano gli infedeli e gli eretici; oscillano confusi coloro che sono deboli nella fede; si dolgono e piangono coloro che l’hanno più salda, e non vedono per quale ragione debbano restare sottomessi ad un Patriarca che spregia l’obbedienza dovuta al Pontefice Romano.
“Che tu stesso abbia capito queste cose e le tema è dimostrato con chiarezza dalle lettere con le quali hai voluto sollevare i Venerabili Fratelli Vescovi del tuo Patriarcato contro le Nostre stesse disposizioni e costituzioni, per trarli dalla tua parte. Questo confermano le dicerie calunniose sparse fra la gente contro i missionari apostolici e contro lo stesso Nostro Delegato, il Venerabile Fratello Ludovico, Arcivescovo di Damietta; lo conferma l’impegno che, come abbiamo saputo, tu hai profuso affinché i fedeli, ed il clero in particolare, non avessero rapporti con i Nostri missionari, né potessero far ricorso alle loro parole, al loro parere o al loro ministero, instillando anzi la paura che coloro che avessero avuto frequentazioni avrebbero ricevuto censure da te. Lo conferma infine l’inimicizia contro costoro suscitata nel potere civile, che si dice tu abbia invocato come presidio contro disposizioni e censure della Sede Apostolica, che senti di aver ampiamente meritate. A coronamento di tutto ciò, si aggiunse l’altra nefasta consacrazione dei Vescovi, uno dei quali tu destinasti alla diocesi di Zaku e l’altro a quella delle Indie; maggior scandalo per i fedeli derivò dal fatto che la cerimonia fu compiuta con il massimo apparato e la massima solennità, in spregio a questa Sede Apostolica.
“Questo, Venerabile Fratello, è ciò che è accaduto ed accade in Malabaria ed in Mesopotamia per tua iniziativa, per tacer del resto; di ciò siamo costretti dal Nostro ufficio a chiedere ragione a te, che ben più gravemente renderai conto all’eterno Principe dei pastori. Che tu non abbia avuto ripensamenti, e che anzi tu disprezzi tutto ciò, è espresso temerariamente dalla ricordata tua lettera alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, con la quale ti sforzi di dimostrare la tua innocenza, confermando la tua fiducia nel primato pontificio ma adducendo argomenti a sostegno dei tuoi pretesi diritti sulla scelta dei Vescovi e sulle regioni Malabariche.
“Invano, infatti, tu proclami nella tua lettera di riconoscere e di onorare il primato del Pontefice Romano, se poi non ti adegui in ogni comportamento a quanto sancì il Concilio Ecumenico Fiorentino e che il Concilio Ecumenico Vaticano ha esplicitato con maggior chiarezza e confermato. Non è certo atteggiamento cattolico ammettere un primato di giurisdizione costituito per diritto divino, per poi opporgli quelli che tu chiami diritti patriarcali, istituiti per disposizione ecclesiastica, dai quali il Pontefice Romano non potrebbe derogare per ragioni di causa, di tempo e di luogo; per un Vescovo cattolico è indegno riservarsi qualunque diritto o privilegio mediante il quale intenda sottrarsi al potere ed alla disposizione piena e legittima del Beato Pietro e dei suoi successori.
“In verità Noi abbiamo sempre ritenuto che la fede cattolica fosse in te pienamente integra, e che tu non avessi mai voluto dissentire dalla dottrina e dallo spirito di tutta la Chiesa. Perciò, quando – nella lettera della tua adesione ai decreti del Concilio Vaticano, che stilasti il 29 luglio 1872 – dichiarasti che volevi ti fossero riservati e conservati tutti i diritti ed i privilegi patriarcali, come tu li chiamavi, non potemmo ritenere che tu avessi voluto fissare un limite ovvero porre una condizione alla professione cattolica da te resa: né l’una né l’altra infatti avrebbero potuto conciliarsi con la verità e con l’unità cattolica. Poiché lo spirito del tuo discorso appariva troppo duro e ambiguo, Noi ritenemmo che fosse doverosamente da respingere, rispetto a quella dottrina integra che tu dichiaravi di voler proclamare; avrai potuto rendertene conto dalla lettera che, in occasione della tua citata adesione, ti inviammo il giorno 16 novembre 1872; in quel caso accogliesti la Nostra dichiarazione in essa espressa, e da ciò che Ci rispondesti per iscritto risultò che tu ti uniformavi ad essa integralmente e tranquillamente.
“Dopo questo, tuttavia, non ti trattenesti dal diffondere la tua rivendicazione tra i tuoi Vescovi, per sostenere i tuoi pretesi diritti. Se avessi mandato loro anche una copia della Nostra lettera citata, certamente essi avrebbero capito che Noi non avevamo approvato la tua riserva, e dalla stessa Nostra lettera avrebbero desunto l’autentica dottrina cattolica, da Noi riferita, in materia di privilegi dei Patriarchi; e avrebbero notato con ammirazione la Nostra benignità nei tuoi confronti; benignità che nella stessa lettera esprimemmo con motivazioni assolutamente eccezionali e con la massima dolcezza di linguaggio, proprio quando tu avevi bisogno dell’indulgenza e dell’assoluzione della Sede Apostolica, per tutto ciò che iniquamente avevi compiuto perturbando la Chiesa Orientale.
“Non possiamo inoltre nascondere che ha costituito grande tristezza per Noi e grave scandalo per i fedeli il fatto che – per giustificare la tua disubbidienza alla Nostra Costituzione Apostolica Cum ecclesiastica – tu abbia tentato di contrastarne il valore e l’efficacia asserendo che non era stata da te ricevuta; questo in verità avrebbe potuto accadere senza scapito per la fede, dato che la Costituzione in oggetto è da annoverarsi non fra quelle dogmatiche ma fra quelle meramente disciplinari. Ma in che modo mai può essere accettato, una volta ammesso il fondamento divino della Chiesa, che la forza e l’efficacia delle Costituzioni Apostoliche dipendano dall’accoglimento dei Vescovi o di chiunque altro? Non pensavi certo questo, tu, Venerabile Fratello, quando – chiedendo la conferma della tua elezione – nella tua lettera [Epist. 15 Decembris 1847] promettevi che saresti stato obbediente e soggetto a Noi per tutto il tempo futuro della tua vita e dimostravi questa soggezione con il tuo comportamento. Questo certo non pensarono i Patriarchi cattolici della Caldea che ti hanno preceduto. Questo infine non pensò certo il famoso Simone Sulaka, che ti vantavi di aver avuto come predecessore. Egli infatti professò con tanto vigore il primato della giurisdizione del Romano Pontefice da promettere che “egli avrebbe sempre ottemperato, come figlio dell’obbedienza, agli ordini, alle disposizioni, ai divieti e ai comandi del nuovo Papa Giulio III, dei suoi successori assurti canonicamente al ruolo di Pontefici Romani, e della Sede Apostolica”. Riteniamo che questa professione di fede sia conservata nei tuoi archivi, dato che fu inserita integralmente nella lettera Apostolica che lo stesso Giulio, Nostro Predecessore, inviò a Sulaka il 20 febbraio 1553 per confermargli l’elezione a Patriarca.
“Che dire poi del pretesto che accampi: il timore dei mali che dici potrebbero derivare a te ed ai tuoi dal potere civile, nel caso tu obbedissi alla Nostra citata Costituzione, portando l’esempio dei mali che toccarono al Venerabile Fratello Patriarca Armeno ed alle Chiese cattoliche dello stesso Rito? Ecco dove approdano anche i più solidi Presuli della Chiesa quando cominciano ad allontanarsi da questa Sede del Beatissimo Pietro Principe degli Apostoli dalla cui solidità trae linfa vitale ogni forza dei sacerdoti! I Santi Apostoli di Dio insegnarono che si deve obbedire ai Principi terreni e si devono pagar loro i tributi: nella Chiesa cattolica, che ha sempre rispettato e rispetta questa dottrina, è sempre stata disapprovata e condannata la ribellione contro i poteri legittimi. Non sarà però lecito venire meno al rispetto ed all’obbedienza che si debbono alle leggi divine ed ecclesiastiche, se per caso il potere civile abbia qualcosa contro di loro. Infatti Colui che disse di dare a Cesare quel ch’è di Cesare, ordinò anche di dare a Dio quel ch’è di Dio; e quando si trattò di difendere le disposizioni di Cristo nostro Signore, gli Apostoli si esposero intrepidamente davanti al potere civile: è necessario obbedire più a Dio che agli uomini. Se non è vano riportare alla mente e riflettere sui tanti esempi di santissimi uomini e di antichi martiri, che hanno subìto torture terribili dai poteri di questo mondo per non venir meno al rispetto della legge divina od ecclesiastica, guarda anche quel che accade alle Chiese Cattoliche, sia quelle orientali – soprattutto l’Armena – sia quelle occidentali, in particolare quella Tedesca e quella Elvetica. Colà i Vescovi, il clero ed anche i più eminenti fra i laici, pur conservando il pieno rispetto e la dovuto sudditanza ai legittimi poteri, non hanno paura delle loro minacce quando si deve rendere a Dio ciò che è di Dio; né, per paura di punizioni, tradiscono la verità o il loro dovere, o si allontanano dalla Sede Apostolica. Anzi, sopportano con animo sereno la sottrazione dei beni, il carcere, l’esilio, sapendo di avere assicurato la massima grazia e la mercede in cielo.
“Per difendere poi i tuoi pretesi diritti sulla Malabaria, tu sostieni che i fedeli di quella regione ti debbono essere sottoposti perché mantengono il rito caldeo e perché un tempo erano soggetti ai Patriarchi caldei. Non abbiamo intenzione di introdurci in dispute storiche, nelle quali ciascuno la pensa diversamente. Anche se le cose stessero come tu sostieni, non per questo raggiungeresti il tuo obiettivo. Anche se un Vescovo, di qualunque dignità ed ordine, ha ricevuto un tempo la giurisdizione su una regione, non per questo la regione dovrà essere soggetta in perpetuo al Vescovo di quella sede e non c’è alcun motivo per cui, con una decisione legittima e per legittima causa, non possa esser trasferita alla giurisdizione di un altro Vescovo. Molti esempi tratti dagli Annali della Chiesa e dagli Atti dei vecchi Concilii confermano questa tesi. Per la verità, i Nestoriani ed altri Patriarchi scismatici si sono arrogati abitualmente la giurisdizione ecumenica ed universale su tutti i fedeli del loro rito, in qualunque terra abitino; infranti i vincoli che li congiungevano a questa Sede Apostolica, essi non riconoscono alcun superiore. Ciò non è mai stato concesso ai Presuli cattolici, né autorizzato dai canoni legittimi, ne dalle Costituzioni pontificie.
“Inoltre hai sostenuto che la giurisdizione sul territorio di Malabar ti era stata promessa, affermando che a ciò si era formalmente obbligato nei tuoi confronti il Venerabile Fratello Zaccaria, Vescovo di Maronea, recentemente sottratto ai vivi. Egli, che pure Ci ha riferito molte cose di quelle che ha fatto costà, non ha mai scritto nulla alla Nostra Congregazione su una promessa di questo tipo; né Noi gli demmo mai alcuna facoltà di formularla. Comunque non apparirebbe valida alcuna ragione che avesse potuto indurlo a fare una tale promessa. Infatti non possiamo accettare che l’abbia fatta per ottenere la tua adesione alle Costituzioni del Concilio Vaticano, perché l’autorità del Concilio non aveva bisogno della tua adesione ed un simile modo di agire si sarebbe tradotto in onta non solo per la tua coscienza e la tua dignità, ma anche per la sua.
“Per dimostrare le concessioni della Sede Apostolica, tu presentasti una lettera, inviata il 28 aprile 1553 dal Nostro predecessore Giulio III di felice memoria, con la quale venivano concessi il sacro pallio ed alcune facoltà speciali al ricordato Sulaka, Patriarca del rito caldeo. Tu hai ordinato che nelle chiese venisse diffusa la traduzione araba – neppure molto fedele – di quella lettera, per contrapporre alle Nostre disposizioni e alle Nostre Costituzioni i decreti e le lettere dei Nostri Predecessori. I quali, tu dici, avrebbero confermato la giurisdizione dei Patriarchi caldei sulle regioni dell’India ed inoltre avrebbero concesso loro l’arbitrio di scegliere i Vescovi. Giulio III, come tu stesso sai, nella ricordata lettera concesse al Patriarca Sulaka la facoltà di confermare con la sua autorità patriarcale l’elezione di Vescovi ed Arcivescovi suoi sudditi, una volta che essa fosse avvenuta correttamente, secondo il rito e la prassi della Chiesa Romana, e di impartire ai Vescovi ed agli Arcivescovi così eletti, dopo che le loro elezioni fossero state ratificate, il potere della consacrazione, secondo il rito e la prassi predetti, dopo aver ricevuto da essi, nel nome del Pontefice Romano e della predetta Chiesa Romana, il solito giuramento della dovuta fedeltà. Perciò devi capire, come appare chiaro a chiunque legga quella lettera, che egli non vi ha sancito o fissato nulla che riguardi i luoghi in cui debba essere esteso il diritto patriarcale di Sulaka: l’impiego della potestà concessa era anzi espressamente vietato per quei luoghi nei quali i Presuli vengono designati dal Pontefice Romano. Perciò quella lettera non ti aiuta assolutamente ad estendere la tua giurisdizione oltre i confini nei quali è racchiusa attualmente; alle tue aspirazioni sulla Malabaria, dove i Presuli sono istituiti dal Pontefice Romano, contraddicono apertamente quei Cristiani che proprio per questo motivo, rigettata nel Sinodo Diamperitano del 1599 l’eresia Nestoriana, si sono aggregati alla Chiesa Cattolica. In quel Sinodo essi giurarono e promisero formalmente che non avrebbero mai riconosciuto alcun Vescovo, Arcivescovo, Prelato, Pastore o Governatore, se non quello che fosse direttamente nominato dalla Santa Sede Apostolica tramite il Papa Pontefice Romano. Ciò fu sancito e ribadito dall’autorità dei Nostri Predecessori Clemente VIII e Paolo V, ed è stato osservato fino ad oggi.
“In questa lettera monitoria, Venerabile Fratello, riconoscerai il segno della Nostra singolare longanimità e carità nei tuoi confronti; con essa Ci siamo impegnati con sollecitudine a mostrarti la debolezza dei sofismi nei quali ti sei invischiato ed a recuperarti a saggi consigli, nella speranza che, con l’aiuto della grazia di Dio, ascoltando una buona volta la Nostra voce, tu ti ravveda e ritragga dal pericolo di un imminente scisma te e le chiese di rito caldeo a te affidate. Perciò, con la Nostra autorità Apostolica, nel rispetto della santa obbedienza e sotto la minaccia del giudizio divino, ti ordiniamo esplicitamente, Venerabile Fratello, di richiamare al più presto dalla Malabaria il Vescovo Elia Mello e quanti altri vi siano, sacerdoti, monaci ed anche Vescovi del tuo rito; e di lasciare che quella regione, nella quale abbiamo già dichiarato e ripetiamo che non hai nessuna giurisdizione, sia governata dal suo legittimo Presule in pace e cattolica armonia.
“Ordiniamo inoltre che tu richiami dalle Diocesi alle quali li avevi arbitrariamente, sacrilegamente e inefficacemente preposti, i sacerdoti Elia e Matteo e gli altri che, contro la Nostra Costituzione, avevi recentemente elevato alla dignità episcopale. Quanto alle Diocesi del tuo Patriarcato che mancano di un legittimo pastore, affidane il governo e l’amministrazione ad altri sacerdoti del tuo rito che ne siano degni ed idonei, fintanto che alle stesse Diocesi non siano assegnati Vescovi legittimi, correttamente nominati. Se trascurerai di adempiere questa Nostra disposizione, Noi stessi Ci occuperemo di quelle Diocesi, come C’impone doverosamente il ruolo del Nostro Apostolato.
“Inoltre ti ammoniamo di evitare assolutamente l’abuso di punizioni ecclesiastiche, che abbiamo saputo esser state da te comminate e utilizzate spesso con arbitrio e senza giusta causa. Se infatti tu le irrogherai per ragioni non giuste ed adeguatamente gravi, non potremo esimerci dall’assolvere, con la Nostra autorità (come già altre volte Ci hai costretto a fare) quei fedeli che, colpiti da pene ingiuste, fanno ricorso a Noi. Vogliamo in definitiva che tu ti attenga assolutamente a tutto ciò che la Nostra Congregazione ti ha scritto nella lettera del 27 agosto dell’anno scorso.
“Confidiamo che tu eseguirai con scrupolo tutto ciò che ti abbiamo ordinato nel Signore; a questo scopo invochiamo per te la pienezza delle grazie divine. Se – ma speriamo di no! – trascurerai di obbedire a questa Nostra perentoria ammonizione e persisterai nella caparbietà, sappi che Noi seguiremo le orme dei Nostri Predecessori, che non tralasciarono, quando si rese necessario, di colpire con pene e censure ecclesiastiche gli antichi Patriarchi, nonostante in qualche caso fossero protetti dal patrocinio dei potenti; e li castigarono non soltanto con la pena della scomunica, ma anche della deposizione. Se sarà necessario, seppure con grande dolore Noi attueremo nei tuoi confronti questa stessa procedura, per non essere rimproverati dall’eterno Principe dei Pastori di aver tradito il Nostro ministero e di aver trascurato la fede e la salvezza di tante anime, trascinate ad un gravissimo punto nodale.
“Noi ti preghiamo, Venerabile Fratello, e ti scongiuriamo nel nome del Signore Nostro Gesù Cristo, affinché tu riconsideri seriamente di fronte a Dio la tua malvagia condotta, il grado della tua dignità, la tua età ed il gravissimo pericolo per la tua eterna salvezza; implorata con umili preghiere la luce divina, prendi dunque quelle decisioni che dimostrino nei fatti il tuo ossequio verso la Sede Apostolica, tante volte asserito a parole; quelle decisioni che allontanino da te la rovina nella quale, finché presti orecchio agli iniqui consiglieri, deploriamo che trascinerai te stesso ed il popolo che ti è stato affidato dalla Nostra autorità.
“Affinché la misericordia divina si sparga benignamente, a te Venerabile Fratello, insieme con i Vescovi, il clero, i monaci ed i fedeli che rimangono in comunione ed obbedienza con la Sede Apostolica, impartiamo con affetto la Benedizione Apostolica nel Signore.
“Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 settembre 1875, anno trentesimo del Nostro Pontificato”.
19. La risposta a questa Nostra lettera tardò a lungo. Dapprima accettammo che il ritardo fosse dovuto ad una malattia, ma dopo che egli si era ripreso niente più poteva scusarlo. Nel frattempo i suoi comportamenti, che seguivamo con la massima attenzione, Ci fornivano una risposta più eloquente di una lettera. Infatti non furono richiamati dalla regione Malabarica coloro che vi erano stati inviati, e nemmeno dalle Diocesi i sacerdoti sconsideratamente investiti della dignità episcopale. Per di più, l’intruso nella diocesi di Amida ebbe l’ardire di promuovere agli ordini alcuni monaci, che poco dopo il Patriarca in persona non si peritò di avviare al sacerdozio. I sacerdoti che non volevano accettare questo malvagio comportamento furono vessati con minacce e punizioni; in alcuni casi furono fatti passare come perturbatori del popolo e ribelli al Patriarca; in altri puniti con l’aiuto del potere civile. Né possiamo fingere di ignorare la risposta che il Patriarca diede il 7 febbraio di quest’anno alla lettera inviatagli da alcuni Mauxiliesi. In essa dichiarava con estrema franchezza che non aveva mai rinunciato – né mai lo avrebbe fatto – ai suoi pretesi diritti; che questo era dimostrato dai suoi comportamenti, chiari, diceva, come il sole; che egli poteva valersi del ministero patriarcale, così come se n’erano valsi i suoi predecessori Patriarchi cattolici, mantenendosi come loro congiunto in fede e disciplina con il Sommo Pontefice; al qual proposito ordinava loro di non avere nessun dubbio e nessun sospetto. Questa esplicita dichiarazione fu resa ancor più inequivoca dalla lettera che gli stessi Mauxiliesi inviarono al Patriarca il 20 dello stesso mese di febbraio. Costoro, infatti, mentre lo ringraziavano e promettevano di trarre forza e coraggio dalla sua dichiarazione, affermavano di essere, allora ed in futuro, concordi fino alla morte con il Patriarca nel rifiutare la Costituzione Apostolica, nel proteggere i suoi diritti e nel proseguire l’invio di Vescovi in Malabaria.
20. Mentre tutto ciò poco alla volta veniva a galla, i fedeli si meravigliavano che quest’uomo, completamente immemore della propria dignità e così cambiato rispetto a colui che in altri tempi aveva dimostrato la propria fede e la propria obbedienza alla Sede Apostolica, avesse potuto procedere impunemente fino a quel punto; tanto che i Caldei, invasori della Malabaria, da ciò traevano argomento per difendere lo scisma che avevano introdotto colà e per negare impudentemente l’autenticità o la fondatezza della Lettera Apostolica con la quale avevamo comandato d’intervenire contro il Vescovo Mello e contro i suoi seguaci; si seppe che altri erano giunti ad un tal limite d’impudenza da negare che il Patriarca potesse essere da Noi scomunicato.
21. Si era dunque arrivati al punto in cui per Noi non sarebbe più stato lecito evitare di comminare le pene canoniche al Patriarca, che, più volte ammonito, aveva rifiutato di obbedire agli ordini e non si tratteneva dal rendere nota la sua disobbedienza con le azioni e con gli scritti. Frattanto, con data 19 marzo di questo anno, Ci giunse la sua risposta, così a lungo aspettata; da essa ricavammo la certezza, non senza grande dolore del Nostro animo, che la sua ostinazione era più che abbondantemente confermata. Che cosa infatti di più sciocco o di più ingiurioso avrebbe potuto escogitare che mettere in dubbio, come il Patriarca fa all’inizio della sua risposta, l’autenticità della Nostra lettera che gli era stata mandata secondo la prassi per il tramite del Nostro Delegato in Mesopotamia? Tutta la sua risposta consiste nel garantire più e più volte, con gran giro di parole e con adulazione, la propria fede cattolica e la propria obbedienza nei Nostri confronti. A quel punto egli cerca di tutelare e rivendicare i suoi interessi, sia in riferimento all’elezione dei Vescovi, sia per quanto riguarda la Malabaria, ripetendo una volta di più quei concetti che già tante volte Ci aveva scritto a questo proposito; fingendo tuttavia di non conoscere assolutamente le risposte che, per soddisfare compiutamente la giustizia, gli avevamo fatte avere nella Nostra lettera monitoria. Ripetendo sempre le stesse frasi, aggiunge anche molte lamentele contro i Missionari Apostolici, ai quali attribuisce – in modo tanto calunnioso quanto impudente – la causa dello scompiglio dei Caldei. Egli non si perita inoltre di scongiurarci affinché manifestiamo la Nostra approvazione al fatto che egli invii successivamente in Malabaria dei Vescovi di rito caldeo. Alla fine annuncia di avere in animo di convocare dopo l’inverno alcuni suoi Vescovi per renderli partecipi delle Nostre disposizioni, e decidere unanimemente con loro che cosa sia opportuno fare; ciò egli Ci farà sapere al più presto.
22. Voi vedete, Venerabili Fratelli e diletti Figli, quale risposta Noi possiamo dare a quest’ultima sua lettera, tenuto anche contro di quel che abbiamo detto nelle Nostre missive precedenti. La divina Sapienza (Sir 32,6) infatti ammonisce a non spendere parole dove esse non possono essere udite. Lo stesso Patriarca ricorda di aver dovuto molto subire per aver difeso e propagato la fede cattolica; per questo abbiamo usato con lui la massima pazienza. Ma va ricordato anche che colui che abbia osservato tutta la legge, ma si sia reso colpevole di una cosa, sarà considerato colpevole di tutto (Gc 2,10); e non chi avrà cominciato, ma chi sarà arrivato fino in fondo sarà salvato. Che cosa possiamo dire di quel che ha messo insieme contro i Missionari? Noi abbiamo accertato che essi si sono valsi dei loro diritti religiosamente; se risulta che essi abbiano compiuto qualcosa di malvagio, ne venga riferito a Noi, con un’esposizione diligente ed accurata di tutto lo svolgimento della vicenda; né certamente verremo meno all’obbligo di rendere giustizia a ciascuno. Non siamo disposti a prestare orecchio tollerante a vaghe accuse, soprattutto sapendo che i Missionari hanno affrontato le calunnie e l’invidia dei malevoli e per di più furono talora perseguitati con gravissime offese, non solo con la connivenza e la condiscendenza del Patriarca, ma persino per sua iniziativa.
23. Stando così le cose, è evidente che il Venerabile Fratello Patriarca Giuseppe, per quanto più volte ammonito, non soddisfece né volle soddisfare Noi e la Sede Apostolica. A che cosa serve, infatti, proclamare il dogma cattolico del primato del Beato Pietro e dei suoi successori, ed aver diffuso tante dichiarazioni di fede cattolica e di obbedienza verso la Sede Apostolica, quando le azioni in sé smentiscono apertamente le parole? Forse che non diventa persino meno scusabile la caparbietà, quanto più si riconosce il doveroso impegno dell’obbedienza? Forse che l’autorità della Sede Apostolica non si estende oltre ciò che è stato da Noi disposto, o basta avere comunione di fede con essa, senza obbligo d’obbedienza, perché si possa considerare salva la fede cattolica? Fino ad ora nei confronti del Patriarca Noi abbiamo agito con la massima mitezza e nei suoi confronti abbiamo usato una pazienza così grande, quale da Noi non si sarebbe dovuto aspettare. È tuttavia giusto che anche la pazienza e la longanimità abbiano una loro misura: per evitare, come spiega il Nostro Predecessore San Gregorio Magno [Regul. Pastor., part. 3, admon. 17], che la forza della punizione sia addolcita oltre misura da un eccessivo languore. Lo stesso Cristo Signore ci ha insegnato che colui che sarà stato ammonito inutilmente più e più volte e non avrà dato ascolto nemmeno alla Chiesa, dev’essere considerato come un pagano e un pubblicano. Perciò i Pontefici Romani, per l’autorità ricevuta da Dio sopra tutti, di qualunque ordine e dignità, per conservare l’integrità dell’unità e della Fede Cattolica, e per annullare l’arroganza dei ribelli, spesso hanno dovuto far ricorso alla scomunica degli stessi Patriarchi, deponendoli anche, quando si è reso necessario, come risulta più volte negli annali delle Chiese Orientali, e come voi non potete assolutamente ignorare.
24. È perciò necessario che Noi, sia pur mal volentieri e rattristati, teniamo lo stesso comportamento col predetto venerabile Fratello Giuseppe, affinché egli non si burli ulteriormente di questa Sede Apostolica e del popolo cristiano con le lusinghe delle parole; affinché non si trinceri dietro la comunione con Noi mentre invece è contro di Noi e trasgredisce le disposizioni dei Padri. Perciò abbiamo ritenuto di dover spedire questa lettera enciclica a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti e a ciascuno dei fedeli del vostro rito, affinché conosciate la realtà autentica delle cose e tutto ciò che fino ad ora il vostro Patriarca ha compiuto e sta compiendo e che è – come abbiamo detto sopra – contrario alle decisioni ed alle Costituzioni Nostre e di questa Sede Apostolica; e sappiate che tutto ciò viene da Noi rigettato e condannato. Perciò Voi non dovete – e nemmeno potete – obbedirgli in quei casi in cui sia accaduto o accada che egli disponga contro gli ordini Nostri e della Sede Apostolica. State attenti a non essere ingannati dalle false narrazioni e dalle dicerie calunniose che vengono messe in giro per invidia, specialmente su questioni rituali o – come dicono – nazionali. Si tratta infatti, Venerabili Fratelli e diletti Figli, dell’obbedienza che si deve prestare o negare alla Sede Apostolica; si tratta di riconoscerne la suprema potestà, anche nelle vostre Chiese, quanto meno per ciò che riguarda la fede, la verità e la disciplina; chi l’avrà negata è un eretico. Chi invece l’avrà riconosciuta, ma orgogliosamente rifiuti di obbedirle, è degno dell’anatema. Se qualcuno, ritenendo di giudicare diversamente lo stato delle cose, si allontanerà dalla retta via, si affretti a pentirsi. In verità, se tutti coloro che debbono averla useranno nei confronti del loro Patriarca sincera carità, essi tenteranno di riportarlo alla buona messe con ammonizioni, esortazioni, frequenti preghiere elevate a Dio, secondo ciò che il Signore avrà concesso a ciascuno.
Perché tutto ciò accada aspetteremo fino a quaranta giorni, pregando anche personalmente Dio fra i gemiti, affinché il cuore di colui non s’indurisca, ma oda alla fine la Nostra voce e ritorni a saggi consigli e con questa decisione procuri a sé ed alla sua gente la vera utilità ed il vero bene. Una volta trascorsi quaranta giorni dacché questa lettera sarà giunta nelle sue mani, se egli persevererà – Dio non voglia! – nella sua ribellione e nella sua disobbedienza, e non darà seguito nei fatti a tutto ciò che Noi gli abbiamo ordinato, saremo costretti a rendere operativa nei suoi confronti, senza ulteriore dilazione, la sentenza in forza della quale egli sarà completamente allontanato dalla comunione con Noi, cioè dalla comunione con la Chiesa cattolica, e, legato dal vincolo della scomunica maggiore, per ciò stesso sarà privato di ogni e qualunque giurisdizione spirituale nei confronti dei fedeli del suo Patriarcato.
25. Non potremmo impiegare verso di lui pazienza e commiserazione tanto grandi senza preoccuparci contemporaneamente con efficacia della salvezza delle anime, individuando fin d’ora che cosa sia necessario per garantire la loro incolumità e per strapparle dai gravissimi pericoli nei quali sono state trascinate, ed ogni giorno vengono spinte vieppiù, per la disobbedienza del Patriarca. Come possiamo infatti tollerare che i fedeli delle Diocesi di Iezira, Amida, Zaku siano stati affidati fino ad ora all’arbitrio di pseudopastori, dei quali è sacrilega la consacrazione, illegittima la missione, nulla la giurisdizione? Che tutti costoro tentino di raggirare i più ingenui, ingannare gl’incauti, spaventare i più dedoli ed allontanare tutti dal centro della comunione cattolica, anche se a parole ripetono espressamente il contrario? E mentre si gloriano di essere baluardo della potestà patriarcale e velame della propria malvagità, facciano di tutto per irretire le coscienze? Forse che non dovremmo privarli completamente di questo presidio e strappare dalla loro tirannia i fedeli delle Diocesi che furono loro affidate?
Perciò, su suggerimento dei Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa preposti agli affari del rito orientale con la Nostra autorità Apostolica sospendiamo il Venerabile Fratello Giuseppe Audu, Patriarca Babilonese dei Caldei, da ogni e qualsivoglia giurisdizione sulle ricordate Diocesi di Iezira, Amida e Zaku e su tutte le altre del suo rito che attualmente sono prive di un Pastore legittimo o che lo diverranno in futuro. Riserviamo a Noi ed a questa Sede Apostolica il loro governo e la loro amministrazione, fintanto che non siano assegnati loro regolarmente Vescovi legittimi.
26. Vogliamo e disponiamo che i Vescovi intrusi Matteo, Ciriaco ed Elia, che una consacrazione temeraria e sacrilega ha insignito del carattere episcopale, e che non hanno alcuna giurisdizione, si allontanino immediatamente dalle predette Diocesi e adempiano tutto ciò che abbiamo loro ordinato nella lettera della ricordata Nostra Congregazione. Se non avranno attuato tutto ciò nell’arco, come sopra, di quaranta giorni, e soprattutto se non si saranno allontanati dalle citate Diocesi e non ne avranno rimessa completamente e concretamente l’amministrazione malvagiamente usurpata, procederemo anche contro di loro con la sentenza di maggiore scomunica.
27. Quanto al Vescovo Tommaso Rokos, che nella seconda sacrilega consacrazione ha affiancato il Patriarca Giuseppe, svolgendo il ruolo dei Vescovi consacranti, per quanto reiteratamente ammonito, egli si presenta ancora ribelle; perciò puniremo anche lui con analoga pena di scomunica se entro il termine di quaranta giorni, da calcolare come sopra, non avrà riprovato per iscritto il suo delitto e tutto ciò che il Patriarca ha illegittimamente commesso contro le Nostre Costituzioni e disposizioni.
28. Noi stessi Ci occuperemo del governo delle Diocesi che mancano di un legittimo Pastore, affidandone l’amministrazione ad idonei Sacerdoti del medesimo rito Caldeo, con le opportune e necessarie facoltà per dirigerle, indipendentemente non solo dagli pseudovescovi intrusi, che non hanno né possono avere alcuna autorità, ma anche dallo stesso Patriarca, al quale, con questa Nostra lettera, viene sottratta qualunque giurisdizione su quelle diocesi.
29. In verità, poiché non ignoriamo che il Patriarca si era accanito con censure e pene ecclesiastiche contro quei sacerdoti, chierici e fors’anche altri fedeli, che avevano rifiutato di concordare con i suoi malvagi disegni, facciamo presente che Noi avevamo già concesso una speciale facoltà al Venerabile Fratello Ludovico, Arcivescovo di Damietta, Nostro Delegato in Mesopotamia, per esaminare la forza e la fondatezza di queste censure e pene che, in quanto comminate dal legittimo Pastore, nessuno può rigettare; e di sollevarne coloro che avrà giudicato essere stati ingiustamente condannati nel Signore. Noi confermiamo questo potere speciale e straordinario al medesimo Delegato Apostolico, finché lo stesso Patriarca non avrà dato piena e totale soddisfazione a Noi ed a questa Sede Apostolica, o la stessa facoltà non gli sia revocata in altro modo.
30. Mentre adempiamo, con queste scelte necessarie, il gravissimo incarico del Nostro Apostolato, non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che Voi ottempererete al vostro dovere, sia verso i fedeli a Voi affidati, sia verso la Sede Apostolica, con diligenza tanto maggiore quanto più difficili sono le circostanze che Ci tormentano. Vi rattristerete probabilmente e sopporterete amaramente che il vostro Patriarca sia stato pesantemente punito e che ancor più pesantemente lo sarà in futuro. Ci rattristiamo anche Noi, che lo abbiamo sempre amato e che, per quanto riluttante e disobbediente, non lo abbiamo mai privato della Nostra carità, e vi chiamiamo a testimoni di quanta carità, pazienza e longanimità abbiamo usato con lui. Al punto però in cui il Patriarca rifiuta pervicacemente di obbedire alle Nostre disposizioni ed ai Nostri comandi, ed offre agli altri un esempio di disobbedienza, non Ci è più lecito continuare ad essere pazienti e trattenerci ancora dal comminargli le pene meritate. Infatti temiamo e tremiamo di fronte alla condanna che il sacerdote Heli meritò di ricevere per aver castigato negligentemente i suoi figli, mentre sarebbe stato necessario espellerli dalla porta del tempio dato che perseveravano nella nequizia, dopo esser stati ammoniti una prima e una seconda volta [Theodoret. Cyren. in lib. 1, Reg. int. 7]. Da ciò discese che gli stessi figli furono uccisi in un sol giorno, trentamila popolani vennero ammazzati, l’arca del testamento fu catturata e lo stesso sacerdote, cadendo all’indietro, morì miseramente con la testa spaccata. Intanto Voi agite presso il vostro Patriarca con la stessa Nostra carità, dandovi da fare affinché il periodo che gli abbiamo concesso per pentirsi non abbia a trascorrere invano e senza esito. Stategli vicino, affinché non sporchi con questa macchia la sua età avanzata e la sua elevatissima dignità, cosicché colui che un tempo si adoperò per la tutela e la crescita della Fede cattolica, colui che un tempo fu obbediente e devoto a Noi ed a questa Sede Apostolica, non debba essere riprovato dalla stessa Sede Apostolica e privato a buon diritto di quel potere che da Lei aveva ricevuto.
Conviene che teniate tutto questo come vostro modello, Sacerdoti, Monaci e quanti siete chiamati al servizio di Dio; che educhiate il vostro popolo alla rettitudine contemporaneamente con le parole e con l’esempio, affinché non accada che, ingannato con malvagie dottrine e falsi discorsi, esso sia allontanato, inconsapevole o controvoglia, dalla solidissima pietra sulla quale Cristo Dio ha edificato la Sua Chiesa.
31. Infine esortiamo Voi, genti tutte del Rito Caldeo, ad invocare con fervide preghiere presso Dio e l’eterno Principe dei Pastori Cristo Gesù, con l’intercessione della Beatissima Maria, Madre di Dio, la luce e la potenza della grazia per il vostro Patriarca e per gli altri che hanno miseramente sbagliato; ed in auspicio del sostegno celeste, ed in pegno del Nostro affetto impartiamo amorevolmente la Benedizione Apostolica a Voi, Venerabili Fratelli e Diletti Figli, che rimanete in comunione ed obbedienza con la Sede Apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro, il primo settembre 1876, anno trentunesimo del Nostro Pontificato.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana