PIO XII
UDIENZA GENERALE*
Mercoledì, 24 gennaio 1940
Aspetti della nuova vita
La settimana scorsa, diletti figli e figlie, ricevevamo i novelli sposi qui adunati la vigilia del giorno dedicato alla memoria della Cattedra di S. Pietro in Roma. Voi siete a Noi venuti la vigilia di un'altra festa : la conversione di S. Paolo; come se la Provvidenza abbia voluto una volta di più associare questi due grandi Apostoli, sempre uniti nel culto che loro rende la Chiesa, i quali sono, secondo la espressione di S. Leone Magno, quasi i due fulgidi occhi del corpo mistico, di cui Cristo è il capo (S. Leonis Magni Sermo LXXXII, c. 7).
Come mercoledì passato raccogliemmo l'insegnamento di S. Pietro, così oggi ascolteremo con voi quello di S. Paolo. Se i due Principi degli Apostoli hanno convertito Roma e « da maestra di errore l'hanno fatta discepola della verità » (l. c., c. i), San Paolo è chiamato nella liturgia per eccellenza « Maestro del mondo » « Mundi Magister » (Hym. in I Vesp. SS. Petri et Pauli, 29 Iun.). I suoi insegnamenti si indirizzano a tutti; tutti, dice S. Giovanni Crisostomo, dovrebbero conoscerli e meditarli assiduamente; ma, aggiunge, molti di quelli che ci circondano hanno da occuparsi della educazione dei figli, debbono aver cura della loro moglie e della loro famiglia, e non possono quindi applicarsi ad un simile studio. Procurate almeno, egli conclude, di mettere a profitto ciò che altri hanno raccolto per voi (Comm. in Ep. ad Komanos, Arg. ante Hom. I, n. I).
Le grandi lezioni di S. Paolo, concernenti specialmente il matrimonio, non possono essere esposte in un breve discorso. Ci limiteremo perciò a qualche punto tratto dalla conversione di lui. Saulo di Tarso, che aveva cooperato alla lapidazione del martire S. Stefano ed era un fiero persecutore della Chiesa nascente, munito di pieni poteri dal principe dei sacerdoti, si recava a Damasco per arrestare quanti cristiani vi avesse trovati, uomini e donne, e condurli legati a Gerusalemme. Ma, avvicinandosi a quella città, d'improvviso una luce del cielo gli sfolgoreggiò d'intorno, e, caduto a terra, udì una voce che disse: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» «Chi sei tu, Signore?» egli rispose. E il Signore a lui: «Io sono Gesù, che tu perseguiti ». Al tempo stesso Saulo, tremante ed attonito, più non vedeva. Ma dopo tre giorni il discepolo Anania fu inviato a lui da Dio, e subito caddero dai suoi occhi come delle scaglie, immagini dei veli di ignoranza e di passione che lo avevano fino allora accecato, e ricuperò la vista. Saulo persecutore non esisteva più; era divenuto Paolo l'Apostolo.
1) Il primo insegnamento, che possiamo dedurre da questo prodigio, è che non si deve mai disperare della conversione di un peccatore, anche se si tratti di un nemico dichiarato di Dio e della Chiesa. Tale era stato Saulo, come apparisce dalle sue stesse testimonianze: «fui prima bestemmiatore e persecutore e oppressore » (I Tim., I, 13). « Voi avete sentito dire quale fosse una volta la mia condotta . . .: come oltre misura io perseguitavo la Chiesa di Dio e la devastavo » (Gal., I, 13). Eppure di quest'uomo Iddio dopo dirà : « Egli è uno strumento da me eletto a portare il mio nome dinanzi alle genti e ai re e ai figlioli d'Israele » (Act., IX, 15).
Senza entrare nel segreto delle predilezioni divine, è permesso di pensare che questa grazia insigne e gratuita fosse quasi una risposta del Signore alle preghiere del Protomartire Stefano e dei primi cristiani, i quali, compiendo esattamente il precetto di Gesù (Luc., VI, 27-28), facevano del bene a quelli che li odiavano e pregavano per i loro calunniatori (Act., VII, 59). La preghiera per i peccatori ha continuato sempre ad operare nella Chiesa le sue benefiche meraviglie. Quante pie spose e madri ne hanno provato gli effetti! Quante donne cristiane hanno richiamato a Dio un marito talvolta nettamente ostile, più spesso indifferente o noncurante delle pratiche religiose! Quante madri, come S. Monica, hanno ottenuto colle loro lagrime e colle loro suppliche il ritorno a Dio di un Agostino! Ecco come il Signore domanda che si preparino le vie alle sue grazie di conversione.
2) Ma la storia di Saulo persecutore offre un secondo insegnamento utile agli sposi cristiani. Perché questo giovane dall'intelligenza viva, dal giudizio retto, dalla volontà tenace, dall'anima ardente, non fu uno dei primi a seguire Gesù? Perché fu in principio spietato nemico di ciò che egli doveva più tardi amare, predicare, difendere sino alla morte? Anche qui egli stesso ci risponderà. Essendo Fariseo, figlio di Farisei (Act., XXIII, 6), oltremodo fervente zelatore delle sue paterne tradizioni (Gal., I, 14), agì per ignoranza nella incredulità (I Tim., I, 13). L'odio di Saulo era dunque il frutto della ignoranza e dell'errore, e questa ignoranza e questo errore erano alla loro volta il frutto di una falsa educazione. Egli aveva attinto prima dai suoi genitori, poi dal suo maestro Gamaliele (Ad., XXII, 3), lo spirito rigidamente formalista e settario, che i Farisei dalle tempia ingiallite avevano infiltrato, come un veleno disseccante, nella legge divina e nelle sublimi profezie dello Antico Testamento. Egli aveva così da essi ereditato un odio preconcetto e implacabile contro tutto ciò che sembrava poter minacciare l'impalcatura minuziosamente artificiosa dei loro sofismi.
Tali sono i risultati di una educazione viziata o anche semplicemente difettosa dai suoi inizi. Sposi cristiani, pensate di buon'ora ai vostri doveri di educatori. Guardate intorno a voi le schiere di fanciulli che una deplorevole negligenza espone ai pericoli delle cattive letture, degli spettacoli disonesti, delle compagnie malsane, o di quelli che una tenerezza cieca alleva nell'amore smodato degli agi o delle frivolezze, nella dimenticanza pratica, se non nel disprezzo, delle grandi leggi morali : il dovere della preghiera, la necessità del sacrificio e della vittoria sulle passioni, gli obblighi essenziali della giustizia e della carità verso il prossimo.
3) Il terzo insegnamento, che S. Paolo convertito vi impartisce, è contenuto in queste sue parole: «Gratia eius in me vacua non fuit» (I Cor., XV, io): la grazia del Signore, che è in me, non è stata infruttifera, io ho collaborato alla grazia divina.
Rialzandosi dopo l'urto prodigioso ricevuto davanti alla porta di Damasco, Paolo avrebbe potuto credere che questo colpo fulmineo bastasse per trasformarlo definitivamente da persecutore in apostolo.
Ma no. La grazia di Dio esige, per raggiungere il suo pieno effetto, una libera e assidua collaborazione della nostra volontà personale. Saulo, benché pienamente convertito e chiamato all'apostolato, restò tre giorni immobile a Damasco nella preghiera e nel digiuno (Ad., IX, 9). E avanti di tornare a Gerusalemme, passò tre anni nel ritiro prima in Arabia e poi a Damasco. Allora soltanto andò nella città santa per vedere Pietro, e rimase quindici giorni con lui (Gal., I, 17-18). Egli era ormai pronto per l'azione apostolica, vale a dire per un lavoro che sarebbe stato sempre una cooperazione della sua volontà alla grazia. Gratia Dei mecum (I Cor., XV, 10).
Così anche voi non dovete credere che, per assicurare la perseveranza nella vostra vocazione, vale a dire nei doveri del matrimonio, o per garantire la felicità del vostro domestico focolare, basti, come suol dirsi, un « coup de foudre », un colpo di folgore iniziale. Anche nell'ordine del sentimento naturale, l'esperienza insegna che una provata conformità di credenze, di tradizioni e di aspirazioni vale più e meglio di una subitanea emozione del cuore e dei sensi. Come i fuochi di artificio, che incantano la vista nelle notti di estate, l'amore nato da una esplosione può facilmente con essa estinguersi, ridotto ben presto in vano ed acre fumo. Invece, l'amore vero e durevole, come il fuoco delle mura domestiche, si fonda su premurose attenzioni e sopra una costante vigilanza, e si mantiene non solo colle grosse legna che si consumano silenziose e lente sotto la cenere calda, ma anche coi minuti ramoscelli, che gli apportano lo sfavillio e il lieto crepitare delle loro scintille.
Come potrebbe la grazia del sacramento del matrimonio vivere e operare in voi, se non avrete mutua ed assidua cura di alimentarla e coltivarla in voi stessi? Che saranno le vostre giornate, che diverranno, le vostre notti, se le une e le altre non saranno consacrate a Dio colla preghiera? Perché, pur troppo, tante infedeltà tra sposi anche cristiani, perché tante sventure, tanti naufragi nella fede coniugale? Perché, dopo la sincerità delle promesse scambiate dinanzi all'altare, tanti vincoli violentemente, dolorosamente spezzati? E se anche non si giunge fin là, quante giovani coppie, che si erano giurate una tenerezza per la vita, si vedono ben presto tirate di qua e di là in sensi diversi, per il loro egoismo sempre rinascente, per le sensibilità offese, per le gelosie prematuramente sospettose! Quanti sposi e spose, giovani ancora e poco prima traboccanti di gioia effimera, ma poi precocemente disillusi a cui, come a Paolo, « cadono le scaglie dagli occhi », le scaglie dei loro sogni chimerici, vivono oppressi sotto il peso di catene strette inconsideratamente e senza il soccorso della preghiera!
No. Voi, cari figli e figlie, non sarete del numero di questi infelici. Giacché voi non lascerete nelle anime vostre senza risposta l'intimo invito alla preghiera, gli appelli della grazia, la voce nobilmente imperiosa ed austera del dovere, l'eco dolcemente insinuante della tradizione familiare, la insistenza tenacemente persuasiva della coscienza personale.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, I,
Primo anno di Pontificato, 2 marzo 1939 - 1° marzo 1940, pp. 495-499
Tipografia Poliglotta Vaticana
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