MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE, 1982
Venerati fratelli e carissimi figli e figlie della Chiesa!
All’avvicinarsi della prossima Giornata Missionaria Mondiale desidero, come ogni anno, rivolgere a voi tutti un mio personale messaggio, che giovi ad una comune riflessione sulla dimensione missionaria, che appartiene all’essenza stessa della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo e Popolo di Dio, ed altresì sul conseguente impegno, che tutti ci coinvolge, perché il Vangelo di Gesù sia predicato ed accolto in tutto il mondo.
Quest’anno il mio messaggio prende lo spunto da un evento particolarmente significativo: il 25° anniversario dell’Enciclica «Fidei Donum» del mio venerato predecessore Pio XII. Con essa aveva inizio, nel campo della pastorale missionaria, una importante svolta, che ha ricevuto, poi, dal Concilio Vaticano II quelle direttrici, lungo le quali la Chiesa, cosciente della propria intrinseca natura e missione e sempre rivolta a studiare i segni dei tempi, continua oggi il suo cammino nell’intento di servire l’uomo e di condurlo alla salvezza dischiudendogli «le imperscrutabili ricchezze di Cristo» (Ef 3, 8).
Tale importante documento, pur concentrando la sua attenzione specifica sull’Africa, conteneva delle chiare direttive, valide per l’attività missionaria della Chiesa in tutti i continenti della terra, ed il suo originale contributo è confluito, come è noto, specialmente nel Decreto Conciliare «Ad Gentes» e, ancor più recentemente, nelle «Notae directivae» «Postquam Apostoli» della Sacra Congregazione per il Clero.
1. I vescovi, responsabili della evangelizzazione del mondo
L’enciclica «Fidei Donum» richiamava anzitutto solennemente il principio della corresponsabilità dei vescovi, in forza della loro appartenenza al Collegio Episcopale, nella evangelizzazione del mondo.
Ad essi, infatti, quali successori degli Apostoli, Cristo ha affidato ed affida, prima che a chiunque altro, il mandato comune di proclamare e propagare la Buona Novella fino ai confini della terra. Essi, quindi, pur essendo pastori di singole parti del gregge, sono e debbono sentirsi solidamente responsabili, in unione con il Vicario di Cristo, del cammino e del dovere missionario della Chiesa intera; saranno pertanto vivamente solleciti verso «quelle parti del mondo dove la parola di Dio non è stata ancora annunciata o dove, a motivo dello scarso numero di sacerdoti, i fedeli sono in pericolo di allontanarsi dalla pratica della vita cristiana, anzi, di perdere la stessa fede» (Christus Dominus, 6).
Questo principio basilare fortemente approfondito e sviluppato dal Concilio (cfr. Lumen Gentium, 23-24; Ad Gentes, 38), desidero oggi sottolineare ancora una volta, sia per porne in evidenza l’attualità, sia per esortare tutti i miei venerati fratelli nell’Episcopato a prendere sempre più coscienza di questa loro altissima responsabilità, ricordando che essi «sono stati consacrati non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo» (Ad Gentes, 38).
Tale principio risulterà ancor più chiaro tenendo presenti le mutue e strette relazioni fra le Chiese particolari e la Chiesa universale. Se, infatti, in ogni Chiesa particolare, che ha nel suo vescovo il cardine e il fondamento, «è presente ed agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica, apostolica» (Christus Dominus, 11), ne consegue che essa, nel suo ambiente concreto, deve promuovere tutta l’attività che è comune alla Chiesa universale.
Ogni diocesi è perciò chiamata a prendere sempre più coscienza di questa dimensione universale, cioè a scoprire o riscoprire la propria natura missionaria, allargando «gli spazi della carità fino ai confini della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che ha per coloro che sono suoi membri (Ad Gentes, 37).
Pertanto ogni vescovo, a capo e guida della Chiesa locale, dovrà impegnare in questo senso le sue energie, dovrà cioè adoperarsi il più possibile per imprimere un vigoroso impulso missionario alla sua diocesi: a lui spetta innanzitutto creare nei fedeli una mentalità cattolica nel senso pieno della parola, aperta alle necessità della Chiesa universale, sensibilizzando il popolo di Dio al dovere imprescindibile della cooperazione nelle sue varie forme; promuovere le opportune iniziative di sostegno e di aiuto spirituale e materiale alle missioni, potenziando le strutture già esistenti o realizzandone di nuove; favorire in modo specialissimo le vocazioni sacerdotali e religiose, aiutando contemporaneamente i presbiteri ad acquistare consapevolezza della dimensione tipicamente apostolica del ministero sacerdotale (cfr. Ad Gentes, 38).
2. La carenza di apostoli urgenza primaria della missione
Forma concreta di cooperazione, cui i vescovi potranno ricorrere per realizzare questa loro corresponsabilità nell’opera di evangelizzazione, è l’invio di sacerdoti diocesani in missione, poiché una delle urgenze più vive di molte Chiese è oggi proprio la preoccupante carenza di apostoli e di servitori del Vangelo.
È questa la grande novità, cui la «Fidei Donum» ha legato il suo nome. Una novità che ha fatto superare la dimensione territoriale del servizio presbiterale per destinarlo a tutta la Chiesa, come sottolinea il Concilio: «Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell’Ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima e universale missione di salvezza “fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8), dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli» (Presbyterorum Ordinis, 10).
Poiché uno degli ostacoli più gravi alla diffusione del messaggio di Cristo è proprio la carenza di «operai della vigna del Signore», vorrei cogliere questa occasione per esortare tutti i vescovi, nella loro opera di ausilio e promozione delle opere di evangelizzazione, ad inviare generosamente propri sacerdoti in quelle regioni che ne hanno urgente necessità, anche se la loro diocesi non sovrabbondi di clero. «Non si tratta - ricordava Pio XII citando San Paolo - di mettere voi in ristrettezza per sollevare gli altri, ma di dare uguaglianza (2 Cor 8, 13). Le diocesi che soffrono la scarsezza del clero non rifiutino di ascoltare le istanze supplichevoli provenienti dalle missioni che chiedono aiuto. L’obolo della vedova secondo la parola del Signore sia l’esempio da seguire: se una diocesi povera soccorre un’altra povera non potrà seguire un suo maggior impoverimento poiché non si può mai vincere il Signore in generosità».
Ma, oltre ai sacerdoti, la «Fidei Donum» chiamava in causa direttamente anche i laici, la cui prestazione a fianco dei sacerdoti e religiosi in missione si presenta oggi più che mai preziosa ed indispensabile (cfr. Ad Gentes, 41). Ciò ha creato i presupposti per l’esperienza di quel fenomeno tipico del nostro tempo, che vivamente desidero raccomandare, quale è il volontariato cristiano internazionale.
3. Sviluppo della coscienza missionaria delle Chiese locali
L’introduzione di queste forme di cooperazione, nonché il forte richiamo al principio della corresponsabilità del Collegio Episcopale nella evangelizzazione del mondo, hanno avuto il merito indiscutibile di dare l’avvio al rinnovamento missionario della Chiesa, i cui presupposti appaiono già nella lungimirante affermazione di Pio XII secondo la quale «la vita della Chiesa nel suo aspetto visibile», anziché dispiegare di preferenza la sua forza - come in passato - «nei paesi della vecchia Europa donde si spandeva... verso quel che si poteva chiamare la periferia del mondo», si configura oramai, al giorno d’oggi, come «scambio di vita e di energia fra tutti i membri del Corpo Mistico» (Pio XII, Fidei Donum: AAS 49 [1957] 235).
Si è acquisita, anzitutto, sempre più profondamente l’idea base, poi ampiamente sviluppata ed affermata dal Concilio, del dovere imprescindibile per ogni Chiesa locale, di impegnarsi direttamente, secondo le proprie possibilità, nell’opera di evangelizzazione; e si è determinato, quindi, un innegabile approfondimento della coscienza missionaria delle Chiese particolari, essendo state queste sollecitate a superare la mentalità e là prassi di «delega», che aveva in gran parte caratterizzato il loro atteggiamento verso il dovere missionario.
Si è così verificata per codeste Chiese una decisa spinta a divenire sempre più soggetti primari di missionarietà (cfr. Ad Gentes, 20), responsabili in prima persona della missione (cfr. Ad Gentes, 36-37), come ho potuto constatare personalmente nei miei viaggi in Africa, America Latina, Asia.
L’aver accentuato, inoltre, questo ruolo di «soggetto di missionarietà», ha spinto le Chiese particolari a porsi in rapporto alle Chiese sorelle sparse nel mondo in quella «comunione»-«cooperazione» che è «tanto necessaria per svolgere l’opera di evangelizzazione» (cfr. Ad Gentes, 38), e che è una delle realtà più attuali della missione, in un interscambio di valori e di esperienze, che permette alle singole Chiese di beneficiare dei doni, che lo Spirito del Signore va disseminando dappertutto (cfr. Ad Gentes, 20).
Nessuna chiusura, quindi, da parte delle Chiese particolari, nessun isolazionismo o ripiegamento egoistico nell’ambito esclusivo e limitato dei propri problemi; ché, altrimenti, lo slancio vitale perderebbe il suo vigore portando inevitabilmente ad un pernicioso impoverimento di tutta la vita spirituale.
4. La cooperazione missionaria reciproco scambio di energie ed esperienze
Ecco allora delinearsi il concetto nuovo di cooperazione, non più intesa «a senso unico», quale aiuto fornito alle Chiese più giovani dalle Chiese di antica fondazione, bensì quale scambio reciproco e fecondo di energie e di beni, nell’ambito di una comunione fraterna di Chiese sorelle, in un superamento del dualismo «Chiese ricche»-«Chiese povere», come se esistessero due categorie distinte: Chiese che «danno» e Chiese che «ricevono» solamente. In realtà esiste una vera reciprocità in quanto la povertà di una Chiesa, che riceve aiuto, rende più ricca la Chiesa, che si priva nel donare.
La missione diventa così non solo generoso aiuto di Chiese «ricche» a Chiese «povere», ma grazia per ogni Chiesa, condizione di rinnovamento, legge fondamentale di vita (cfr. Ad Gentes, 37).
Bisogna comunque sottolineare che l’appello rivolto alle Chiese particolari per l’invio di sacerdoti e di laici, non ha voluto significare un superamento delle forme e forze tradizionali di cooperazione missionaria, che continuano a portare il peso maggiore della evangelizzazione. È stata una novità, che non si è posta in sostituzione o in alternativa, ma in complementarietà, come ricchezza nuova, suscitata dallo Spirito, affiancatasi alle forze tradizionali.
Dopo venticinque anni di queste esperienze, che hanno raggiunto una notevole consistenza e solidità, si incominciano tuttavia ad avvertire alcuni segni di stanchezza, dovuti da una parte al calo delle vocazioni e dall’altra all’urgenza di far fronte alla crisi nella quale si dibattono molte comunità cristiane di antica tradizione. Di fronte al fenomeno della scristianizzazione, può nascere la tentazione di ripiegarsi su se stessi, di chiudersi nei propri problemi, di esaurire la spinta missionaria al proprio interno.
Occorre pertanto un vigoroso rilancio missionario, radicato nella ispirazione più profonda, che proviene alla Chiesa direttamente dal divino Maestro (cfr. Evangelii Nuntiandi, 50), dettato da una fiduciosa speranza e sostenuto dal comune impegno delle Chiese particolari e di tutti i cristiani.
5. Ruolo prioritario delle Pontificie Opere Missionarie
Nella programmazione di questo vigoroso rilancio missionario, fattore indispensabile per la vita stessa e la crescita delle Chiese locali e di tutta la Chiesa, desidero infine raccomandare il ricorso a quello strumento insostituibile della cooperazione missionaria tanto vivamente raccomandato dai miei predecessori, costituito dalle Pontificie Opere Missionarie, cui sempre e dappertutto, come dichiara l’«Ad Gentes» (n. 38), «deve essere riservato il primo posto» e che è quanto mai opportuno potenziare e sviluppare in tutte le diocesi.
La Giornata Missionaria Mondiale ci fa ricordare, in particolare, la Pontificia Opera della Propagazione della Fede, alla quale spetta il merito di aver proposto a Sua Santità il Papa Pio XI, nel 1926, la felice iniziativa di indire l’annuale Giornata in favore dell’attività missionaria della Chiesa, ed ha l’incarico di promuovere e di organizzare, col concorso delle altre Opere Pontificie e sotto la direzione dei rispettivi vescovi, questa stessa Giornata.
Sia anche dato il debito impulso alla Unione Missionaria del Clero, cui spetta il compito precipuo di animare e sensibilizzare alle urgenze del problema missionario - attraverso la rete capillare dei sacerdoti, religiosi e religiose - tutte le fasce del popolo di Dio.
Da un giusto sviluppo di tale associazione dipenderà in buona parte il grado di «missionarietà» della intera Chiesa locale e, in modo speciale, la sensibilità missionaria dei sacerdoti, cui l’Unione primariamente si dirige, sicché questi saranno naturalmente sospinti - in una presa di coscienza sempre più viva e profonda della apostolicità intrinseca al loro sacerdozio - a valicare non solo spiritualmente, ma anche materialmente, i confini della propria diocesi, per prestare il loro servizio anche nelle Chiese più lontane della terra, laddove più forti si levano invocazioni di aiuto.
A conclusione di questo messaggio, desidero esprimere tutta la mia riconoscenza a quanti - vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici - sovente a prezzo di inimmaginabili fatiche e sacrifici, spendono le loro migliori energie, la loro vita, «in prima linea», ma anche «nelle retrovie», per propagare l’annuncio di salvezza fino ai confini del mondo, sicché il nome di Cristo Redentore sia da tutti conosciuto e glorificato.
A voi tutti, venerati fratelli e carissimi figli e figlie della Chiesa, imparto di cuore la mia paterna apostolica Benedizione, pegno di copiosi favori celesti e segno della mia costante benevolenza.
Dal Vaticano, il 30 maggio, solennità di Pentecoste, dell’anno 1982, quarto di Pontificato.
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